Fonte: Libreidee
Prima di discutere se e quanto durerà l’euro, su cui si abbattono le
alterne vicende delle Borse e dello spread, sarebbe necessario misurarsi
con il fallimento sociale e politico della moneta unica. Diamo pure
credito alle buone intenzioni, quelle di cui è lastricata la via che
conduce all’inferno. Sicuramente i governi italiani ed europei,
soprattutto di centrosinistra, che hanno partecipato alla costruzione
dell’euro pensavano così di contribuire alla unificazione democratica
del continente. La moneta unica unificherà paesi che si sono combattuti
per secoli e alla fine porterà agli Stati Uniti d’Europa.
L’Italia avrà solo da guadagnare ad avere la stessa moneta dei paesi
più ricchi ed efficienti del continente, ne riceveranno giovamento i
conti pubblici, il sistema produttivo e finanziario, la stessa
efficienza della pubblica amministrazione.
Quante volte abbiamo sentito ripetere e argomentare questi concetti,
in particolare da Ciampi e Prodi. Ottimi propositi, solo che la realtà è
andata da tutt’altra
parte e non per una serie di sfortunati eventi. Fin dall’inizio la
costruzione dell’euro è avvenuta attraverso un impianto e economico,
istituzionale e culturale liberista. Dal trattato di Maastricht al
Fiscal Compact, tutti i patti che hanno accompagnato la moneta unica
hanno impegnato i governi a vincoli sempre più brutali nel nome di
quella politica che oggi chiamiamo di austerità. Finché l’economia mondiale cresceva, questa politica frenava lo sviluppo, ma non lo bloccava. Ma con la crisi
quei trattati hanno costretto i governi a fare l’esatto contrario di
ciò che sarebbe stato necessario: le politiche di austerità e rigore
sono state rese ancora più dure invece che essere alleggerite. Così la crisi è diventata profonda recessione.
Economie diverse e con diversa forza, unificate sul piano dei mercati
dalla moneta, ma senza politiche economiche, fiscali e sociali comuni,
non potevano che trasformare l’area dell’euro in una zona di guerra
economica fratricida. Siccome non si poteva più svalutare la moneta, si
svalutavano il lavoro e le tutele sociali. L’effetto pratico dell’euro è
così stato l’esatto contrario delle intenzioni dei suoi sostenitori. La
Germania si è profondamente avvantaggiata da una moneta che
sottovalutava il marco e quindi la rendeva più competitiva. I paesi del
sud, ma anche la Francia, hanno invece avuto sopravvalutate le loro
monete, e hanno perso mercato, in molti casi proprio a favore della
Germania. Le buste paga, che purtroppo non mentono, ci dicono che il
valore reale dell’euro da noi è di mille lire, e in Germania di tremila.
La scelta di unificare le economie partendo dalla moneta e dal
liberismo ha prodotto l’opposto effetto di aumentare le differenze e le
distanze tra le varie aree del continente. Invece che unità ha prodotto
rottura e oggi, proprio a causa della moneta unica, i popoli europei
sono più frantumati e distanti tra le loro diverse condizioni. La
concreta costruzione dell’euro ha fatto solo danno alla prospettiva di
una Europa
solidale e democraticamente unita e sarebbe un atto di onestà
intellettuale se Ciampi, Prodi e chi ha condiviso le loro scelte lo
ammettessero. L’euro ha portato non alla democrazia, ma all’ottuso potere tecnocratico e autoritario della Troika, che affama la Grecia e il Portogallo, ma al tempo stesso è incapace di affrontare la crisi di una piccola economia come quella di Cipro.
L’Europa
dell’euro è politicamente, socialmente e culturalmente fallita, prima
se ne prende atto e prima si trova la via per superare il fallimento.
Questo però non significa cancellare la moneta unica come prima misura.
Su questo piano Grillo ripete, da posizione opposta, l’errore di Ciampi e
Prodi. Non si deve partire dalla moneta, ma dalle politiche economiche e
dalle istituzioni che le sorreggono. Quella che va smontata è l’Europa dei trattati e dei vincoli liberisti. In Italia ed in Europa occorre una banca centrale che stampi moneta e che sia pubblica e non in mano alla finanza
internazionale. Il vincolo del debito non può più essere accettato,
mentre occorrono grandi investimenti pubblici sull’istruzione e sullo
stato sociale. Le nazionalizzazioni devono tornare ad essere un
necessario strumento di politica
economica, invece che un tabù. La svalutazione competitiva del lavoro
per vendere all’estero, anima profonda della moneta unica, deve cessare.
Bisogna rovesciare le politiche di austerità e per questo una
consultazione democratica è necessaria. Ma vanno sottoposti a referendum
i trattati europei e i vincoli che essi ci impongono sui bilanci
pubblici e sulla spesa sociale. È sul Fiscal Compact, ancora ignorato
dalla nostra opinione pubblica e non certo per sua colpa, che i
cittadini italiani devono essere chiamati a decidere. La questione della
moneta verrà dopo, quando, le politiche liberiste saranno state
rovesciate. A quel punto la soluzione monetaria che si troverà sarà
quella più conveniente per far riprendere ad avanzare democrazia ed eguaglianza sociale in Italia ed Europa. Prima la democrazia
e lo stato sociale e poi i mercati e la moneta, questo è il
ribaltamento che dobbiamo compiere per affrancarci da trenta anni di
fallimentari politiche liberiste.
(Giorgio Cremaschi, “Il fallimento dell’euro”, da “Micromega” del 18 marzo 2013).
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