Fonte: Radio Italia
BELGRADO - L'uranio impoverito contenuto nelle bombe sganciate dalla
Nato durante i raid aerei contro la Serbia della primavera 1999 è
sott'accusa per l'impennata delle morti per cancro registrata nel sud
del Paese ex jugoslavo.
Il quotidiano Vecernje Novosti riferisce oggi che, negli ultimi tre
mesi, nella regione meridionale serba di Leskovac, non lontana dal
Kosovo, sono morti più di cento veterani delle guerre degli anni novanta
nella ex Jugoslavia, in massima parte ex combattenti del conflitto
armato in Kosovo. Le vittime sono uomini di età fra i 37 e i 50 anni,
morti al 95% di cancro. "Non passa giorno che la nostra organizzazione
non perda uno dei suoi componenti", ha detto al giornale il presidente
dell'Associazione dei veterani di guerra Dusan Nikolic. Ai primi posti
fra le cause di morte, ha precisato, figurano il cancro all'intestino,
all'esofago, ai polmoni, pochi i casi di infarto. Il quotidiano
belgradese cita anche le ricerche effettuate al riguardo dall'autorevole
Istituto specialistico sanitario 'Batut', secondo cui nei bombardamenti
Nato sulla Serbia (dal 23 marzo al 10 giugno 1999) furono lanciate 15
tonnellate di uranio impoverito, e come conseguenza di ciò sarebbero
morte finora 40'000 persone. La Nato intervenne nella primavera del 1999
per indurre l'allora leader serbo Slobodan Milosevic a porre fine alla
politica di repressione e di pulizia etnica nel Kosovo a maggioranza
albanese. Dopo 78 giorni di pesanti bombardamenti, con migliaia di
vittime e profughi e pesanti distruzioni, Milosevic accettò di ritirare
le sue truppe dal Kosovo, che fu posto sotto il controllo
internazionale. Il 17 febbraio 2008 Pristina si autoproclamò infine
indipendente dalla Serbia, con un atto sostenuto dalla maggioranza dei
Paesi occidentali che Belgrado rifiuta invece di riconoscere come
legittimo.
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