Scriveva Orwell: 'Il linguaggio politico... è mirato a far sembrare vera la bugia, rispettabile l'omicidio e a dare una parvenza di solidità al puro vento'. E oggi...
di Germana Leoni.
Scriveva George Orwell nel 1946: «Il
linguaggio politico... è mirato a far sembrare vera la bugia, rispettabile
l'omicidio e a dare una parvenza di solidità al puro vento..»
Ma nemmeno nel suo peggiore
incubo avrebbe immaginato una simile deriva e ipotizzato che quasi settant'anni
dopo un'immane tragedia, quale l'abbattimento del volo MH17 della Malaysia
Airlines, avrebbe potuto essere manipolata e distorta fino a rendere 298 morti
strumentali all'agenda geo-politica di Washington e Bruxelles. Una vicenda che
ha segnato il punto più alto e drammatico di una campagna
propagandistico-mediatica mirata a fabbricare un "mostro" da "sbattere in prima
pagina" ad uso e consumo dell'opinione pubblica occidentale. Obiettivo?
Spianare la strada ad una nuova campagna di espansione ed eventuale aggressione
della NATO a Est. E il mostro, secondo il copione, è naturalmente la Russia di
Vladimir Putin.
È una campagna mediatica
caratterizzata da un'isteria russofobica degna del peggiore maccartismo. La
campagna è costellata da plateali e strumentali menzogne nelle quali nemmeno
entriamo.
Fra esse però ne spicca una,
particolarmente odiosa, diffusa in prima istanza dalla retorica di Kiev e come
tale presa per buona senza nessun controllo dai media occidentali. Trattasi di
un immagine che riprendeva un 'separatista filorusso' che, sulla zona del
disastro, mostrava alle telecamere un pupazzo bianco e nero in stoffa,
chiaramente un giocattolo appartenuto a una delle piccole vittime dello
schianto.
I media anglo-americani, ancor
prima dei nostri,
lo avevano presentato come un 'terrorista' che innalzava al cielo il suo
trofeo, segno inequivocabile della colpevolezza dei filo-russi. [1]
In realtà la scena era stata
convenientemente tagliata ed estrapolata da una più lunga sequenza che mostrava
un gruppo di uomini intenti a ispezionare la zona del disastro e a catalogare
gli oggetti ritrovati. Fra questi il 'mostro' di turno raccoglieva dal suolo il
pupazzo e lo mostrava alle telecamere, azione sulla quale calava opportunamente
la scure della censura, onde occultare quanto seguiva e presentare il poveretto
come quel campione di perversione ascrivibile solo alla genia dei filo-russi.
Ma ciò che seguiva mostrava l'uomo che riponeva il pupazzo a terra, si toglieva il cappello in segno di rispetto, si inchinava e faceva il segno della croce. Meglio tagliare quindi....
Questo è solo uno fra i tanti
esempi di come le televisioni occidentali abbiano manipolato la vicenda
dell'abbattimento del volo MH 17 a reti unificate. A poche ore dalla tragedia,
molto prima dell'inizio della stessa inchiesta, avevano già individuato il
colpevole, agendo al tempo stesso da giudice e giuria: avanguardie della
macchina bellica americana ed europea. Tuonavano: "L'aereo è stato abbattuto da
un missile russo."
Si trattava in effetti di un missile BUK, parte di una sofisticata batteria missilistica terra-aria di fabbricazione russa, ma in dotazione dell'esercito ucraino. Lunghi oltre i 5 metri e in grado di colpire fino a una quota di 14 chilometri, sono necessariamente trasportabili da mezzi cingolati quali camion o carri armati: ben visibili quindi dai satelliti durante il giorno in una zona ultra-monitorata (vi era contemporaneamente un'esercitazione Nato nella zona). Ed è più che eloquente il fatto che Washington non sia mai stata in grado di esibirne le immagini.
I ribelli filo-russi inoltre non
sono mai stati in possesso dei sistemi BUK, come confermato dal procuratore
generale ucraino Vitaly Yarema al quotidiano Ukrainan Pravda: «Dopo
l'abbattimento dell'aereo di linea, l'esercito ha informato il presidente che i
terroristi non hanno i nostri sistemi di difesa missilistica BUK...».
I "terroristi" ai quali il
procuratore si riferiva, erano naturalmente i separatisti filo-russi, i quali,
anche laddove ne fossero entrati in possesso, non avrebbero avuto né le nozioni
tecniche né il personale specializzato per lanciarli. Conseguente deduzione
della stampa occidentale: i missili sono stati forniti ai separatisti ucraini
dai russi stessi. Da qui tutta una serie di conferenze stampa del vice
portavoce Dipartimento di Stato con accuse pesantissime ma vaghe del tipo:
"riteniamo che... pensiamo che...". E il 22 luglio Marie Harf, pressata dalle
domande di un giornalista, era costretta ad ammettere che le sue informazioni
venivano dai... "social-media" (sic sic)
Mille illazioni dunque, ma non
una sola prova a conferma delle accuse. Fatta eccezione per un video postato su
youtube, il cui audio sembrava immortalare una conversazione nel corso della
quale un separatista notificava a un colonnello dell'intelligence delle Forze
Armate russe di aver abbattuto un jet di linea per errore. Peccato che, come in
seguito appurato, la conversazione fosse avvenuta alle 19.10 del 16 luglio
2014: un giorno prima quindi della sciagura. E la 'pistola fumante' spariva per
sempre da tutti i notiziari.
Non si capisce inoltre quale
interesse avrebbero mai potuto avere i separatisti ucraini, per non parlare dei
russi stessi, nell'abbattimento di un volo passeggeri della Malaysia Airlines.
La risposta è assolutamente nessuno. Ma qualcun altro avrebbe invece potuto
trarne beneficio.
Tempo fa era trapelata la notizia
che il volo MH17 e l'aereo presidenziale russo, che riportava a Mosca il
presidente, volassero sulla stessa rotta e si fossero intersecati nello stesso
spazio aereo più o meno nello stesso lasso di tempo: due aerei del tutto simili
per colori e dimensioni.
Che gli ultra-nazionalisti
ucraini abbiano attentato alla vita di Vladimir Putin e abbattuto un volo di
linea per errore? In tal caso la non ufficiale smentita del governo russo,
secondo il quale Putin non volava su quella rotta dall'inizio delle ostilità,
potrebbe essere stata solo una dichiarazione di circostanza. Laddove infatti il
Cremlino avesse confermato la notizia, avrebbe necessariamente e
conseguentemente dovuto reagire. E reazione, in un simile caso, avrebbe
significato guerra, che è esattamente ciò che fino ad oggi ha disperatamente
tentato di evitare.
Quella del fallito attentato al
presidente russo è dunque un'ipotesi da non scartare. Ma ne resta un'altra,
un'ipotesi ben più inquietante che si rifa a una strategia ben collaudata, una
strategia che segue un vecchio copione e viene da lontano: commettere un
crimine da attribuire a un qualsivoglia nemico si voglia discreditare e
demonizzare, onde avere in seguito un pretesto per attaccarlo e annientarlo.
Nel caso specifico il nemico attuale è la Russia.
Stiamo parlando della "strategia
della tensione", su scala internazionale s'intende.
Quella su scala nazionale
l'abbiamo già sperimentata a casa nostra e a nostre spese a Milano (piazza
Fontana), a Brescia e Bologna, tanto per fare solo qualche esempio. Si tratta
dell'uso deliberato del terrorismo finalizzato all'uccisione di civili e
strumentale al raggiungimento di determinati scopi.
È una teoria da prendere almeno in considerazione, soprattutto alla luce
delle troppe domande rimaste senza risposta.
Perché, ad esempio, l'aereo è
stato costretto dalla torre di controllo a scendere di quota?
Perché nessuno ha indagato sulla
sagoma di un caccia apparso sugli schermi radar a scorta del volo solo tre
minuti prima del suo abbattimento?
Perché fra Olanda, Belgio,
Australia e Ucraina è stato siglato un "patto di non divulgazione" dei risultati dell'inchiesta? In pratica basta il veto
di uno dei paesi perché l'indagine sia segretata. Cosa devono nascondere
all'opinione pubblica? Forse che non sono stati i separatisti filo-russi (e
tanto meno i russi) ad abbattere il Jet? Perché nessuno ne parla più?
E se non sono stati i filo-russi,
restano due sole opzioni: o siamo di fronte a un fallito attentato a Vladimir
Putin, nel quale è rimasto coinvolto il jet malese per errore, oppure
"qualcuno" lo ha deliberatamente colpito per poter incolpare i filo-russi e
cominciare a preparare psicologicamente l'opinione pubblica a una futura nuova
aggressione militare. E, in questo caso, saremmo davvero nella strategia
della tensione.
È il caso di ricordare che di
essa è stata indicata come responsabile la rete Gladio, altrimenti nota
come "Stay Behind", e cioè una struttura occulta paramilitare e
di intelligence costituita nel 1958 e finanziata almeno inizialmente dalla Cia.
Organizzata clandestinamente in ambito Nato, nella fase della guerra fredda
aveva reclutato in funzione anticomunista nazisti e fascisti di ogni sorta.
Secondo lo scomparso scrittore e
giornalista investigativo americano Jonathan Kwitny «eserciti segreti come
Gladio erano sfuggiti a ogni controllo» - e invece di costituire una forza di
contrasto alla minaccia comunista dell'epoca - «erano stati usati da gruppi
interessati a promuovere il ritorno del fascismo». [2]
L'esistenza di Gladio nei vari
paesi dell'Alleanza Atlantica è stata confermata nel 1990 dallo stesso Giulio
Andreotti. [3]
Ed è stata denunciata anche dal
Parlamento Europeo, che nella risoluzione del 22 novembre 1990 ha evidenziato
come, per oltre 40 anni, l'organizzazione abbia eluso ogni controllo
democratico e sia stata gestita illegalmente dai servizi segreti in
collaborazione con la Nato, laddove: «in certi Stati i servizi segreti militari
sono stati coinvolti in seri casi di terrorismo...»
Fin qui nulla di nuovo dunque,
tutto già confermato. Ma, visto che è durata per decenni, è ragionevole
ipotizzare che la struttura non sia mai stata sciolta e sia oggi operativa in
Ucraina?
Ricordate la telefonata
intercettata lo scorso 26 febbraio, all'apice degli scontri di Euromaidan, fra
il ministro degli Esteri estone Urmas Paet e Catherine Ashton? Di ritorno da
Kiev, Paet aveva rivelato alla Ashton che le indagini in corso avevano concluso
che gli stessi cecchini, responsabili della morte di dozzine di civili, avevano
sparato anche sulle forze di polizia. E concludeva: «E' molto forte la
convinzione che dietro i cecchini non ci sia stato Yanukovich, ma qualcuno
della nuova coalizione».
Tutti sappiamo come è finita la vicenda. Nessuna indagine naturalmente, curiosamente nessuno ha più accennato all'argomento, la colpa di quelle morti è stata attribuita alla polizia antisommossa senza uno straccio di prova e il presidente democraticamente eletto è stato costretto alla fuga, sgombrando il campo al colpo di stato che, a sua volta, ha innestato la rivolta e la guerra civile del Donbass. Missione compiuta?
Sì, secondo il ricercatore,
autore e giornalista tedesco-americano William Engdhal. Citando una
fonte dell'intelligence, lo stesso rivela che un'organizzazione militare
neo-nazista segreta legata alla Nato aveva giocato un ruolo decisivo
nell'attacco dei cecchini e più in generale nella rivolta violenta di Maidan,
che a sua volta aveva causato il collasso del governo. Gli stessi cecchini
sarebbero stati parte di un gruppo paramilitare di estrema destra conosciuto
come Ukrainian National Assembly - Ukrainian People's
Self Defense (Una-Unso). E Una-Unso
sarebbe parte integrante di un'organizzazione segreta della Nato,[4]
che peraltro trae la sua sola ragione di essere dall'esistenza di un nemico: un
nemico da inventare in sua assenza. Leggi: se non c'è più l'Unione Sovietica,
c'è pur sempre la Russia.
Ha dichiarato il segretario
generale della Nato Anders Fogh Rasmussen:
«Non ci sono dubbi che la Russia sia pesantemente coinvolta nella
destabilizzazione dell'Est Ucraina.» L'ex primo ministro danese non aveva dubbi
nemmeno nel 2003, quando sentenziava: «L'Iraq ha armi di distruzione di massa.
Non è qualcosa che pensiamo, è qualcosa che sappiamo.»
Una bufala naturalmente, ma
all'epoca sufficiente a centrare l'obiettivo: a convincere cioè il parlamento
danese a votare a favore dell'invasione. Al massimo poi si ritratta, ma solo a
miccia innestata. E la bufala che non gli è certo costata la carriera. Nel 2009
è stato promosso alla carica di segretario generale della Nato: l'uomo giusto
al posto giusto per decidere i destini dell'umanità.
È finito invece in galera per
quattro mesi Frank Grevil, maggiore dell'intelligence militare danese che lo
aveva sbugiardato diffondendo documenti riservati come prova. Insomma impunità
per chi mente o commette un crimine, e galera o esilio per chi lo espone!
L'evidente allusione è a due dei casi più famosi: Chelsea Manning, che marcisce
in galera, ed Edward Snowden, riparato a Mosca.
Ma quello di Frank Grevil è un
caso più unico che raro, non paragonabile neppure a quello di Daniel Ellsberg (Pentagon
Papers). Nel 2009 Grevil sarebbe infatti stato insignito di un'alta
onorificenza (Sam Adams Award) per la sua integrità come
professionista dell'intelligence e nel 2010 avrebbe firmato una dichiarazione
di sostegno a Wikileaks.
A proposito di Wikileaks...
Julian Assange è bloccato da tre anni all'interno dell'ambasciata ecuadoregna
di Londra, non consentedogli il governo britannico il passaggio verso il paese
di asilo. Analogo comportamento è riscontrabile solo nell'Unione Sovietica, che
aveva costretto il cardinale Jozsef Mindszenty alla segregazione
nell'ambasciata americana di Budapest dal 1956 al 1971, impedendogli di
raggiungere gli Stati Uniti, che gli avevano offerto asilo politico.
Ha commentato al riguardo Paul C.
Roberts, ex assistente segretario al Tesoro di Ronald Reagan ed ex redattore
del Wall Street Journal e di Business Week: «Per
essere onesti e guardare in faccia la realtà, dobbiamo concludere che l'Unione
Sovietica non è collassata. Si è solo spostata a Washington e Londra».
NOTE:
[1] TGCOM24, ad esempio, diffondeva l'immagine
alle 19.45 del 27 luglio.
[2] The
Nation - "The Cia's Secret Armies in Europe" - di Jonathan Kwitny - 6 aprile
1992.
[3] Al riguardo si veda il saggio dello storico
svizzero Daniel Ganser: Nato's Secret Armies - Operation Gladio on Terrorism in
Western Europe.
[4] Ukraine:
Secret Neo-Nazi Military Organization Involved in Euromaidan Sniper Shootings
- F. William Engdhal - Global Research - 3 marzo 2014.
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