Troppo
grande per fallire. E troppo grande per essere “salvata” alla maniera
della Troika, cioè col prestito a usura che depreda quella che,
nonostante tutto, è ancora la terza economia
europea. Renzi? Troppo difficile da rimpiazzare subito, perché il
quarto primo ministro non eletto sarebbe un azzardo persino per l’ex
demoocrazia italiana. Ma se il premier chiede “mille giorni” per
completare le “riforme”, sarà già tanto se gliene concederanno cento. Lo
sostiene il blog del californiano Wolf Richter, che ospita un post di
“Don Quijones”, freelance di Barcellona, dopo l’intervista che Renzi ha
rilasciato al “Financial Times”. Non è facile essere al governo di un
paese dell’Eurozona: la pressione può essere insostenibile, «stretti
tra le nuove impopolari norme e legislazioni che vengono fuori da
Bruxelles e Francoforte e i mercati finanziari in bilico su una lama di
coltello». Quattro regole d’oro: obbedire sempre alla Merkel, mai
ventilare un referendum su alcunché, mai criticare la Troika e «mai
menzionare – e nemmeno coltivare – l’idea dell’uscita dall’euro».
Secondo il blog, che per Maria Grazia Bruzzone della “Stampa” ha «occhi sempre aperti sull’Europa»,
il primo ministro italiano «ha lanciato un messaggio pericoloso: ha
rotto la regola numero 3». Non è stato il primo leader nazionale a
farlo, e sappiamo quanto salato sia «il prezzo della trasgressione». Il
primo fu il premier greco Andreas Papandreou, che ruppe la “regola
numero 2” annunciando nell’ottobre 2011 l’intenzione del suo governo di
tenere un referendum sul nuovo accordo di salvataggio dell’Eurozona.
«In due settimane venne rimpiazzato dall’ex banchiere centrale ed ex
“goldmaniano” Lucas Papademos. Come se non bastasse, uscirono
indiscrezioni sul fatto che sua madre avrebbe avuto su un conto svizzero
500 milioni di euro non dichiarati. Un prezzo pesante per un momento di coraggio». Il secondo fu l’allora primo ministro Silvio Berlusconi:
nel settembre 2011 «osò discutere in incontri privati con leader
dell’Eurozona, presumibilmente Merkel e Sarkozy, l’uscita dell’Italia
dall’Eurozona». Risultato: «Prima di dicembre Berlusconi era fuori, rimpiazzato dal tecnocrate Mario Monti, già commissario europeo e “goldmaniano” pure lui».
Il
messaggio agli altri leader era chiaro: non pensate di mettere a
repentaglio il Progetto. Da allora, scrive la Bruzzone citando il blog,
la disciplina è stata ripristinata e nessun leader ha più osato
infrangere le regole. Fino a Renzi. Che nell’intervista al “Financial
Times” «ha pericolosamente rotto» la disposizione numero 3, «che impone
di non criticare mai le azioni della Troika o dei suoi componenti».
Nemici pericolosi: il bersaglio di Renzi, scrive “La Stampa”, era il
presidente della Bce Mario Draghi, «il più intoccabile dei membri della
Troika (e rappresentante senior di Goldman Sachs in Europa)». La sua chiacchierata fuori dalle righe – continua il post – era l’ultima escalation in una “guerra
verbale” scoppiata dopo l’insinuazione (leggi: minaccia) di Draghi
verso l’Italia, da commissariare perché caduta in recessione, visto che
non ha fatto abbastanza per “riformare” mercato del lavoro, burocrazie e sistema giudiziario. Il risultato è «un clima sfavorevole per gli investimenti».
In
altre parole, quello di cui l’Italia avrebbe bisogno, per Draghi, è
«una bella dose di intervento amministrato dalla Troika, che magari
finisca per accelerare la spirale del debito arricchendo gli
investitori internazionali». Renzi è sembrato avere altre idee: «Il
nostro modello non è la Spagna ma la Germania»,
ha detto al “Financial Times”. Il blog di Richter ricorda che il
premier è arrivato in febbraio promettendo di far uscire l’Italia dalla
stagnazione che dura da un decennio. Ma i progressi sono stati lenti:
finora si è limitato a togliere 80 euro
di tasse ai salari più bassi. Dovrebbe arrivare una riforma della
giustizia, ma non ci sono garanzie. E col poco da rivendicare su riforma
fiscale e del lavoro,
la comunità imprenditoriale si sta innervosendo: temono che Renzi sia
solo «un piccolo manager, che punta troppo su un gruppo di amici fidati
mentre avrebbe bisogno di consiglieri con esperienza», ha osservato il
giornale. Magari alludendo a consiglieri come Carlo Cottarelli, «lo
zar della “spending revew”». Un tipo «perfetto, in quel ruolo, dopo una
vita al Fmi», dove ha diretto il Dipartimento Affari Fiscali. Ma
Cottarelli incontra resistenze: «Spetta a Renzi decidere dove fare i
tagli, non a un tecnocrate», ha detto il primo ministro italiano al
“Ft” parlando in terza persona.
Renzi
se l’è presa con le lobby degli affari: «Roma è una città piena di
lobbisti. In Italia vige un capitalismo di relazioni. Io non sono parte
di quel sistema che ha distrutto il paese. Sono solo col 20% degli
italiani che mi hanno votato, con gli 11 milioni che hanno votato il mio
partito, e soltanto con loro e con la mia squadra il paese cambierà».
Questione di principio, arroganza, ingenuità o un mix di tutto questo?
Se lo chiede il blogger arrivando alle conclusioni: «Può essere una
frase a effetto da dare in pasto al pubblico, o il prodotto di un
calcolo molto astuto: vale a dire che attualmente lui – Renzi – riveste
in Europa una posizione molto più forte di quanto molti credano». Motivo: «Come terza economia
dell’Ue, la debole performance dell’Italia è un grattacapo per
Bruxelles tanto quanto, o anche di più, di quanto lo è per Roma. Con 2
trilioni di debito pubblico – il 133% del Pil – l’Italia non è solo troppo grande per fallire, è troppo grande per essere salvata».
«Deporre Renzi – scrive il blog – si rivelerebbe ben più difficile che togliere di mezzo Berlusconi. Dopotutto, anche in un paese che vanta una storia politica
moderna come l’Italia quattro leader non eletti in tre anni sarebbero
probabilmente un po’ eccessivi: la gente comincerebbe a chiedersi che
fine ha fatto la democrazia». Per cui, «se la Troika mirasse a sferrare
un altro colpo senza spargimento di sangue, dovrebbe quasi certamente
farlo seguire a nuove elezioni». E i maggiori beneficiari della tornata
elettorale «potrebbero essere il Pdl di Berlusconi e il M5S di Grillo», cioè «due partiti che non vorrebbero nient’altro che scrivere l’epilogo della breve storia dell’euro».
Dunque la Troika «deve per forza riporre eventuali piani nel freezer,
almeno per ora». Nel frattempo, «il suo coraggioso (o forse solo pazzo)
giovane leader pretende mille giorni per fare i cambiamenti economici e
politici che ritiene necessari per il suo paese. Sarà fortunato se ne
ottiene cento». Come che sia, conclude “La Stampa”, dopo aver «fatto lo
spavaldo» col “Financial Times”, Renzi ha voluto fugare l’impressione
di dissapori con la Troika volando subito in elicottero da Draghi e poi
incontrando Napolitano. «Sarà anche più forte in Europa di quel che si crede – per mancanza di alternative. Ma è meglio non esagerare».
Troppo
grande per fallire. E troppo grande per essere “salvata” alla maniera
della Troika, cioè col prestito a usura che depreda quella che,
nonostante tutto, è ancora la terza economia
europea. Renzi? Troppo difficile da rimpiazzare subito, perché il
quarto primo ministro non eletto sarebbe un azzardo persino per l’ex
demoocrazia italiana. Ma se il premier chiede “mille giorni” per
completare le “riforme”, sarà già tanto se gliene concederanno cento. Lo
sostiene il blog del californiano Wolf Richter, che ospita un post di
“Don Quijones”, freelance di Barcellona, dopo l’intervista che Renzi ha
rilasciato al “Financial Times”. Non è facile essere al governo di un
paese dell’Eurozona: la pressione può essere insostenibile, «stretti
tra le nuove impopolari norme e legislazioni che vengono fuori da
Bruxelles e Francoforte e i mercati finanziari in bilico su una lama di
coltello». Quattro regole d’oro: obbedire sempre alla Merkel, mai
ventilare un referendum su alcunché, mai criticare la Troika e «mai
menzionare – e nemmeno coltivare – l’idea dell’uscita dall’euro».Secondo il blog, che per Maria Grazia Bruzzone della “Stampa” ha «occhi sempre aperti sull’Europa», il primo ministro italiano «ha lanciato un messaggio pericoloso: ha rotto la regola numero 3». Non è stato il primo leader nazionale a farlo, e sappiamo quanto salato sia «il prezzo della trasgressione». Il primo fu il premier greco George Papandreou, che ruppe la “regola numero 2” annunciando nell’ottobre 2011 l’intenzione del suo governo di tenere un referendum sul nuovo accordo di salvataggio dell’Eurozona. «In due settimane venne rimpiazzato dall’ex banchiere centrale ed ex “goldmaniano” Lucas Papademos. Come se non bastasse, uscirono indiscrezioni sul fatto che sua madre avrebbe avuto su un conto svizzero 500 milioni di euro non dichiarati. Un prezzo pesante per un momento di coraggio». Il secondo fu l’allora primo ministro Silvio Berlusconi: nel settembre 2011 «osò discutere in incontri privati con leader dell’Eurozona, presumibilmente Merkel e Sarkozy, l’uscita dell’Italia dall’Eurozona». Risultato: «Prima di dicembre Berlusconi era fuori, rimpiazzato dal tecnocrate Mario Monti, già commissario europeo e “goldmaniano” pure lui».
Il messaggio agli altri leader era chiaro: non pensate di mettere a repentaglio il Progetto. Da allora, scrive la Bruzzone citando il blog, la disciplina è stata ripristinata e nessun leader ha più osato infrangere le regole. Fino a Renzi. Che nell’intervista al “Financial Times” «ha pericolosamente rotto» la disposizione numero 3, «che impone di non criticare mai le azioni della Troika o dei suoi componenti». Nemici pericolosi: il bersaglio di Renzi, scrive “La Stampa”, era il presidente della Bce Mario Draghi, «il più intoccabile dei membri della Troika (e rappresentante senior di Goldman Sachs in Europa)». La sua chiacchierata fuori dalle righe – continua il post – era l’ultima escalation in una “guerra verbale” scoppiata dopo l’insinuazione (leggi: minaccia) di Draghi verso l’Italia, da commissariare perché caduta in recessione, visto che non ha fatto abbastanza per “riformare” mercato del lavoro, burocrazie e sistema giudiziario. Il risultato è «un clima sfavorevole per gli investimenti».
In altre parole, quello di cui l’Italia avrebbe bisogno, per Draghi, è «una bella dose di intervento amministrato dalla Troika, che magari finisca per accelerare la spirale del debito arricchendo gli investitori internazionali». Renzi è sembrato avere altre idee: «Il nostro modello non è la Spagna ma la Germania», ha detto al “Financial Times”. Il blog di Richter ricorda che il premier è arrivato in febbraio promettendo di far uscire l’Italia dalla stagnazione che dura da un decennio. Ma i progressi sono stati lenti: finora si è limitato a togliere 80 euro di tasse ai salari più bassi. Dovrebbe arrivare una riforma della giustizia, ma non ci sono garanzie. E col poco da rivendicare su riforma fiscale e del lavoro, la comunità imprenditoriale si sta innervosendo: temono che Renzi sia solo «un piccolo manager, che punta troppo su un gruppo di amici fidati mentre avrebbe bisogno di consiglieri con esperienza», ha osservato il giornale. Magari alludendo a consiglieri come Carlo Cottarelli, «lo zar della “spending revew”». Un tipo «perfetto, in quel ruolo, dopo una vita al Fmi», dove ha diretto il Dipartimento Affari Fiscali. Ma Cottarelli incontra resistenze: «Spetta a Renzi decidere dove fare i tagli, non a un tecnocrate», ha detto il primo ministro italiano al “Ft” parlando in terza persona.
Renzi se l’è presa con le lobby degli affari: «Roma è una città piena di lobbisti. In Italia vige un capitalismo di relazioni. Io non sono parte di quel sistema che ha distrutto il paese. Sono solo col 20% degli italiani che mi hanno votato, con gli 11 milioni che hanno votato il mio partito, e soltanto con loro e con la mia squadra il paese cambierà». Questione di principio, arroganza, ingenuità o un mix di tutto questo? Se lo chiede il blogger arrivando alle conclusioni: «Può essere una frase a effetto da dare in pasto al pubblico, o il prodotto di un calcolo molto astuto: vale a dire che attualmente lui – Renzi – riveste in Europa una posizione molto più forte di quanto molti credano». Motivo: «Come terza economia dell’Ue, la debole performance dell’Italia è un grattacapo per Bruxelles tanto quanto, o anche di più, di quanto lo è per Roma. Con 2 trilioni di debito pubblico – il 133% del Pil – l’Italia non è solo troppo grande per fallire, è troppo grande per essere salvata».
«Deporre Renzi – scrive il blog – si rivelerebbe ben più difficile che togliere di mezzo Berlusconi. Dopotutto, anche in un paese che vanta una storia politica moderna come l’Italia quattro leader non eletti in tre anni sarebbero probabilmente un po’ eccessivi: la gente comincerebbe a chiedersi che fine ha fatto la democrazia». Per cui, «se la Troika mirasse a sferrare un altro colpo senza spargimento di sangue, dovrebbe quasi certamente farlo seguire a nuove elezioni». E i maggiori beneficiari della tornata elettorale «potrebbero essere il Pdl di Berlusconi e il M5S di Grillo», cioè «due partiti che non vorrebbero nient’altro che scrivere l’epilogo della breve storia dell’euro». Dunque la Troika «deve per forza riporre eventuali piani nel freezer, almeno per ora». Nel frattempo, «il suo coraggioso (o forse solo pazzo) giovane leader pretende mille giorni per fare i cambiamenti economici e politici che ritiene necessari per il suo paese. Sarà fortunato se ne ottiene cento». Come che sia, conclude “La Stampa”, dopo aver «fatto lo spavaldo» col “Financial Times”, Renzi ha voluto fugare l’impressione di dissapori con la Troika volando subito in elicottero da Draghi e poi incontrando Napolitano. «Sarà anche più forte in Europa di quel che si crede – per mancanza di alternative. Ma è meglio non esagerare».
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