lunedì 15 settembre 2014

Ucraina: una tregua sempre più fragile

di Gianni Petrosillo

Fonte: Conflitti e strategie




La fragile tregua in Ucraina rischia di saltare nelle prossime settimane. Poroshenko non ha il pieno controllo dei settori estremisti della guardia nazionale che non intendono abbandonare le ostilità nel sud-est del paese. Difatti, si continua a sparare e a morire nel Donbass. L’aeroporto di Donetsk è ancora in mano a circa 200 soldati di Kiev che da mesi attendono rinforzi e rifornimenti mentre i miliziani aspettano il momento propizio per farli sloggiare. Anche nei pressi di Makeevka continuano gli scontri a fuoco. Il Presidente è in seria difficoltà e la sua credibilità viene messa a dura prova dalle resistenze degli ultranazionalisti che non rispettano il cessate il fuoco. In patria Poroshenko non è mai stato veramente amato perché rappresenta uno tanti oligarchi affiliati ad altrettanti clan affaristico-mafiosi che da anni si arricchiscono ai danni dello Stato. La grave crisi economica che sta colpendo i cittadini rende ancor più intollerabili queste sperequazioni tra benestanti ed indigenti. I suoi sponsor esteri si fidavano maggiormente di Yulia Timoshenko ma hanno dovuto ripiegare sul magnate del cioccolato per le innumerevoli indagini e i reati commessi dalla spregiudicata pasionaria, anche lei ormai poco gradita dai connazionali. In alcuni cable emersi dalla scandalo wikileaks Poroshenko veniva identificato dagli statunitensi come il loro uomo a Kiev, in altri veniva segnalato come persona ambigua che si faceva largo tra i concorrenti con sistemi eccessivamente disinvolti. Pare che abbia corrotto alcuni giudici e fatto pressione sulla magistratura per l’incriminazione di Timoshenko e Turchinov. Il Presidente ha giocato una parte importante nell’arresto della prima, uscita dopo molti mesi di detenzione all’indomani della cacciata di Yanukovic. Il secondo invece è riuscito ad allontanare le accuse grazie al suo ruolo nei servizi segreti ucraini. Insomma, gli americani davano credito al personaggio ma avanzando qualche riserva. Ora il Presidente è alla prova del nove, tenendo conto che ha sottoscritto degli accordi con Putin, dovrà essere abile a districarsi tra le pressioni degli uni e degli altri. Si trova tra due fuochi e qualche movimento affrettato potrebbe bruciarlo, premesso che nella capitale i partiti di estrema destra non attendono altro. Qualcuno parla ancora di una majdan tre che faccia piazza pulita di tutti gli uomini compromessi col potere, dai giorni dell’indipendenza dalla Federazione russa. Le prossime elezioni parlamentari sono il suo reale banco di prova. Se non dovesse riuscire ad ottenere una maggioranza stabile nella Rada i suoi guai si moltiplicherebbero e la gestione degli innumerevoli dossier politici ed economici che sono sul suo tavolo diventerebbe impraticabile. La situazione incerta nel Donbass gli scoppierebbe in mano e di conseguenza sarebbe definitivamente scaricato dai partner esteri. Se così sarà, la sua proposta di uno statuto particolare per le regioni russofone, frutto dell’accordo con Putin, non potrebbe accontentare più nessuno. Già si tratta di un mascheramento per non far esplodere la protesta di pravy sektor e di svoboda, la cui pericolosità è aumentata per i finanziamenti e gli armamenti ricevuti dal governo e da agenti stranieri (anche se questi movimenti restano minoritari nella società), poiché nei fatti la Nuovarussia esiste già con una sua autonomia speciale non scritta simile, o presto accostabile, a quella della Transnistria. Se questi equilibri cedessero i russi riprenderebbero l’iniziativa nel Paese al fine di liberare tutta l’area, da Kharkov ad Odessa. Anche il Cremlino vorrebbe scongiurare questa opzione che renderebbe più difficile il ripristino della sua influenza su tutto il vicino. Per facilitare il lavoro di Poroshenko Putin ha invitato i combattenti filo-russi non autoctoni ad uscire dall’Ucraina, ma le provocazioni militari di Kiev non si sono fermate. I miliziani sono stati allora nuovamente messi in allerta. Ottobre potrebbe essere un mese decisivo per portare a compimento l’opera di secessione senza altra diplomazia. Mosca avrebbe evitato volentieri il ritorno alle cattive maniere ma qualcuno non le sta lasciando scelta.

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