lunedì 15 settembre 2014

L'Ucraina nella visione alternativa di John J. Mearsheimer


di Domenico Caldaralo Fonte: Eurasia
L’UCRAINA NELLA VISIONE ALTERNATIVA DI JOHN J. MEARSHEIMER
In un recente articolo apparso su Foreign Affairs, John J. Mearsheimer (1), docente di Politologia all’Università di Chicago, ha messo in guardia gli strateghi di Washington sulle conseguenze di un probabile ingresso nella NATO dell’Ucraina, il cui governo ha già aperto l’iter per l’adesione, programmando l’abrogazione della legge che sancisce la neutralità dai blocchi militari del paese.(2) A detta di Mearsheimer USA e UE dovrebbero rifiutare la richiesta di ingresso nella NATO e nell’UE, due dei passaggi del “triplice pacchetto” di politiche in vista dell’adesione al blocco occidentale, al fine di preservare la neutralità del paese e farne una “nuova Austria”, ispirandosi al ruolo che questa ebbe durante la guerra fredda, in modo da dare vita a una sorta di stato cuscinetto trai due blocchi, da preservarsi sovrano, che non ricada in nessuno dei due campi, né occidentale, né eurasiatico. Da fedele al modello “statalista”, altrimenti detto “realista”, egli è fiducioso nella supremazia degli stati e crede che la sovranità sia la chiave dell’equilibrio nel mondo globalizzato post-guerra fredda.
Secondo la visione di Mearsheimer, USA e UE dovrebbero operare, quindi, una clamorosa marcia indietro e, dopo aver deliberatamente provocato la crisi di governo in Ucraina, come ammette lo stesso analista, volta a installare un esecutivo filo-occidentale a Kiev, dismettere il piano di allargamento dell’Alleanza Atlantica e ridefinire inopinatamente lo status del paese in senso neutralistico. Ciò tuttavia richiederebbe una apertura di dialogo verso la Russia, anche perché non si capisce come azioni unilaterali da parte occidentale possano servire a ridisegnare il ruolo stesso di Kiev nel senso auspicato dall’autore.
La strategia della Casa Bianca va, purtroppo, nella direzione opposta, come dimostra l’inasprimento delle sanzioni alla Russia, che hanno contribuito ad aggravare la crisi diplomatica tuttora in atto e ben lungi dal risolversi in maniera indolore per tutti gli attori in campo.
La Russia viene definita dall’autore una “grande potenza declinante”, con una demografia stagnante e una economia con poco dinamismo, fattori che rendono il containment ai danni di Mosca irrilevante. Anche a livello militare, le “mediocri forze armate” della Federazione (e che assomiglierebbero molto vagamente ad una “moderna Wehrmacht”, alludendo alle analogie che vi sarebbero tra intervento russo in Ucraina e invasione nazista della Polonia nel 1939) avrebbero certo fallito nell’obiettivo di un’occupazione militare permanente del territorio dell’est ucraino, benché meno dell’intero paese.
Se la Russia è debole, non lo è però il suo leader: Mearsheimer ammette la caratura da “stratega di prima classe” di Putin e ben lungi dal dare credito alle parole presunte di Merkel in una conversazione telefonica con Obama, riportate dal New York Times, nella quale la Cancelliera avrebbe parlato dell’”irragionevolezza” del presidente russo,(3) affermazione smentita però dal Die Welt,(4) sostiene che non vi siano ragioni per ritenere insano di mente Putin. L’autore asserisce che, benché la Russia non sia stata all’altezza di procedere all’annessione dell’est ucraino con altrettanta rapidità con cui ha proceduto ad inglobare la Crimea, il che appare un chiaro fallimento strategico di Mosca, agli occhi di Mearsheimer tuttavia la risposta prudente degli strateghi del Cremlino al piano ostile dell’Occidente ha dimostrato le indubbie capacità politiche e diplomatiche del leader russo.
Una via d’uscita all’attuale stallo secondo Mearsheimer, dovrebbe contemplare un ritiro delle sanzioni da parte dell’Occidente, che non serviranno a far arretrare la Russia rispetto ai propri interessi strategici e che appaiono utili unicamente a indispettire gli alleati europei, una dismissione del piano di occidentalizzazione dell’Ucraina, con buona pace dei 5 miliardi di dollari spesi dagli Usa dal 1991 per aiutare il paese a raggiungere “il futuro che essa desidera”, nelle parole della responsabile statunitense per gli affari europei ed eurasiatici Victoria Nuland: in altre parole un ritorno allo “status quo ante”, ovvero alla condizione di sovranità precedente al colpo di stato del 22 febbraio scorso.
Tale autocritica è spia di una valutazione della possibilità di errori strategici nella questione ucraina e nel perseguimento di una volontà di netta rottura con la Russia. Non è chiaro infatti quanto utile possa essere perseguire un disegno di allargamento delle frontiere della NATO, in linea con la strategia di espansione avviata dall’amministrazione Clinton negli anni ’90, se ciò si dovesse ottenere a spese di un ritorno a un clima da “guerra fredda” e gli Stati Uniti dovessero esporsi, così come pare avvenire, al pericolo dell’abbraccio tra Mosca e Pechino, foriero di un partenariato strategico globale insieme a tutti i BRICS, capace di spezzare l’egemonia americana.
Non tutti a Washington sono convinti dell’efficacia della strategia di rottura netta con Mosca, con tutta evidenza; ciò appare tanto più curioso, quanto più una tale riflessione critica, contenuta nell’articolo del Foreign Affairs, proviene da uno dei teorizzatori del contenimento della Cina. Si chiede infatti Mearsheimer, come reagirebbero gli USA se la Repubblica Popolare, a capo di una considerevole alleanza militare, tentasse di includere il Canada o il Messico nella propria sfera di interessi? I leader russi post-sovietici, rincara la dose l’autore, avevano avvertito in più occasioni che non avrebbero tollerato un’espansione della NATO in Georgia e in Ucraina, un messaggio che la guerra del 2008 tra Russia e Georgia aveva reso ancora più chiaro. Come dunque stupirsi della reazione di Mosca al colpo di stato operato a Kiev a febbraio scorso?
L’invito ad un “appeasement” rivolto alla Russia lanciato da Mearsheimer si spiega, più che con una improbabile russofilia dell’autore, con la convinzione che in realtà la sfida principale agli USA provenga dalla Cina e non dalla Russia. Lo studioso, partendo dall’assunto della inconciliabilità tra espansione economica e contestuale ascesa geopolitica indolore della Cina, sostiene la tesi della impossibilità di una pacifica espansione cinese.(5) In un’intervista del 2012 Mearsheimer, a proposito della questione iraniana, si era pronunciato anche sull’utilità per gli USA di concedere la dotazione dell’atomica all’Iran come deterrente per il rischio di instabilità nella regione, sostenendo la tesi dell’arma atomica come “strumento di pace”. (6)
Quella dell’avallo allo sviluppo di arsenali atomici come strumento per istituire pesi e contrappesi tra superpotenze regionali e conseguire la stabilità geopolitica, è una vecchia tesi di Mearsheimer. A proposito dell’Ucraina, questi aveva già previsto nel 1993 in un articolo su Foreign Affairs che l’accesa rivalità tra Mosca e Kiev sarebbe esplosa a causa dell’insicurezza lungo le loro frontiere e aveva sostenuto che l’Ucraina, per prevenire tale prospettiva, avrebbe dovuto mantenere le riserve di armi atomiche dell’epoca sovietica. (7) Ciò nondimeno nel 1994 l’Ucraina avrebbe acconsentito a liberarsi dell’intero ex arsenale nucleare sovietico, un processo portato a termine entro il 1996, avviandosi a divenire un “trofeo conteso” tra i due blocchi di interesse, americano e russo.(8)
Se il rapporto russo-ucraino sta all’Europa orientale come quello franco-tedesco sta all’Europa occidentale, come aveva sostenuto John Morrison,(9) allora, secondo lo studioso di Chicago, è vitale recuperare il rapporto russo-americano ripristinando o favorendo lo sviluppo di un’Ucraina sovrana necessaria al mantenimento degli equilibri della regione. L’obiettivo dovrebbe essere quello, all’interno di una dinamica più ampia, di avvicinare i grandi attori regionali come la Russia e l’Iran nella prospettiva di un contenimento cinese, evitando il raccordo tra Mosca e Pechino, il vero ostacolo al controllo statunitense dell’Eurasia. Le tesi sostenute da Mearsheimer non sembrano avere tuttavia grande peso al momento a Washington.
NOTE
1 “Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault”, in Foreign Affairs, 31 agosto 2014. .
2 http://www.lastampa.it/2014/08/29/esteri/ucraina-la-russia-respinge-le-accuse-le-foto-della-nato-ridicolo-soldati-ribelli-ok-di-un-corridoio-umanitario-per-kiev-m4bbFw3caYwC0kKWUCaMnM/pagina.html
3 http://www.nytimes.com/2014/03/03/world/europe/pressure-rising-as-obama-works-to-rein-in-russia.html
4 http://www.welt.de/politik/deutschland/article125385606/Merkels-Drahtseilakt-zwischen-Putin-und-Obama.html
5 John J. Mearsheimer, “China’s Unpeaceful Rise”, in Current History, n. 105 (690), aprile 2006, pp. 160–162
6 http://www.pbs.org/newshour/bb/world-july-dec12-iran2_07-09/
7 John J. Mearsheimer, “The case for a Ukrainian nuclear deterrent”, in Foreign Affairs, n. 72, estate 1993, pp. 50-66.
8 Contrariamente alla visione statalista di Mearsheimer, Huntington sostenne l’improbabilità di uno scontro trai due paesi in virtù della loro sostanziale “comunanza di civiltà” (pur ammettendo, ma nondimeno sottovalutando, la spaccatura tra Ucraina orientale ortodossa e russofona e Ucraina occidentale uniate) e auspicò per tal ragione lo smantellamento dell’arsenale nucleare ucraino come segno di cooperazione trai due paesi. Cfr. S. Huntington, “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, Garzanti, Milano 2000, pp. 38-39.
9 Cit. in S. Huntington, op. cit., p. 242.

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