Sono infermiere improvvisate, cuoche volontarie e vecchie fedeli
alla patria ortodossa. Nell’Est ucraino anche fidanzate e mogli hanno
scelto di lottare per l’indipendenza. E per ripetere in coro: «La Russia
è nash dom, casa nostra»
Rivistastudio
- Fonte: La causa scatenante della crisi ucraina è stata il contrasto
tra, da un lato, il popolo desideroso di entrare a far parte dell’Unione
europea, e dall’altro una politica filo-russa. Proprio per queste
ragioni quanto accaduto lo scorso 27 giugno sarà sicuramente ricordato
come un passaggio storico: l’Ucraina e Bruxelles hanno infatti
sottoscritto un accordo di associazione, firmato dal presidente ucraino
Petro Poroshenko e dai leader degli altri paesi Ue. Lo stesso è accaduto
con Georgia e Moldavia. In occasione della ratifica, il premier ucraino
ha anche dichiarato di aver prorogato la tregua con la Russia, che
doveva scadere la mattina del 27 giugno alle 10, di altre 72 ore. La
reazione di Mosca è stata molto dura e, secondo il vice ministro degli
Esteri russo Grigori Karasin, l’accordo di libero scambio fissato avrà
«gravi conseguenze». Nel frattempo il numero di ucraini fuggiti in
Russia sale a undici mila, mentre quello degli sfollati interni al paese
a 54 mila. La fotografa Michela Iaccarino ha scelto di documentare le
conseguenze della rivoluzione ucraina e dell’annessione della Crimea da
parte della Russia dal punto di vista dei filorussi. È stata
nelle città dell’Est ucraino, a maggioranza russofona, dove le truppe
dell’esercito governativo si stanno scontrando con le milizie di ucraini
filo-russi che si sono formate: i suoi scatti raccontano la
quotidianità delle donne che combattono per la formazione di una Nuova
Russia. Ecco il testo da lei redatto per presentare il suo progetto
fotografico.La guerra dell’Est
Dopo la rivoluzione di Maidan Nezalezhnosti culminata nel febbraio scorso con la cacciata dell’ex presidente Viktor Yanukovic, dopo l’annessione subitanea della penisola di Crimea alla Federazione Russa, altri venti di battaglia si sono levati negli ultimi mesi in Ucraina.
In poche settimane la rivolta popolare che ha portato alla creazione delle Repubbliche autoproclamate a Donetsk e Lugansk è divenuta guerra in questo pezzo di terra ad est di Kiev, ribattezzato dai ribelli Nuova Russia. Molti hanno deciso di imbracciare le armi. La vita quotidiana degli uomini in divisa, per il bicolore ucraino o per il tricolore russo, scorre dallo scorso aprile tra basi militari, rifugi di fortuna, barricate, checkpoint, dormitori divenuti caserme, campi di allenamento negli edifici occupati dai ribelli del Donbas. Con l’arrivo della guerra, dal capoluogo regionale di Donetsk fino alla città roccaforte filorussa di Slavjansk, dove mantiene il comando il moscovita Igor Ghirkin, nome di battaglia Strelkov, la scelta di una barricata è arrivata per gli uomini quanto per le donne, volti sconosciuti di un conflitto che sta continuando a mietere vittime tra la popolazione civile.
Le donne del Donbas sono madri con figli, fidanzati o mariti al fronte, nostalgiche filosovietiche o filorusse, infermiere improvvisate, aspiranti combattenti sulla barricata che rimangono di guardia per dare il cambio a uomini stanchi. Sono cuoche volontarie al seguito di un battaglione per sfamare le divise in riposo dopo la trincea, manifestanti in prima linea per il riconoscimento dell’indipendenza delle Repubbliche Popolari dopo il referendum dello scorso 11 maggio. Sono vecchie fedeli a quella patria ortodossa perduta, e ora di nuovo promessa, per chi guarda con speranza a una prossima mossa del Cremlino.
Na voine kak na voine, in guerra come in guerra: quando lo dicono le loro voci parlano spesso in coro. «La Russia è un’anima, la Russia è nash dom, casa nostra». Prima sovietiche, poi ucraine, abitanti di quel microcosmo dell’Est ancora in guerra con l’Ovest di Kiev, queste dame di guerra si sono da settimane dichiarate le «nuove russe».
Nessun commento:
Posta un commento