di Gianni Petrosillo
Fonte: Conflitti e strategie
Come scriveva il grande generale prussiano von Clausewitz “La guerra non
è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è,
dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della
politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione
con altri mezzi”. Invertire i termini della questione, ribaltare
l’assunto clausewitziano, come spesso ha fatto qualche teorico a
“bischero sciolto” (vedi Guattari il quale ha trascinato in questo
delirio pure Deleuze), o, persino, qualcun altro ancor più rispettabile,
con elevatissimi meriti filosofici nelle analisi della natura del
potere (come Foucault), vuol dire stravolgere completamente il senso
delle cose, rovesciare la realtà a testa in giù e renderla
inintelligibile alla ragione, fino all’oscuramento della capacità
interpretativa di determinanti fenomeni storici e sociali. No, la frase
di von Clausewitz va bene così com’è stata pronunciata dall’autore, nel
suo significato originario, ed è in tal maniera che va applicata agli
inevitabili conflitti insorgenti tra nazioni e anche all’interno di
queste, ostilità che possono transitare eccezionalmente dall’suo delle
armi. Nel caso dell’Ucraina non ci sono dubbi. I vertici governativi
russi sono passati alla fase diplomatica dopo aver mostrato i muscoli
all’Occidente che aveva organizzato e guidato un colpo di Stato
anti-Cremlino a Kiev. Per certi versi, e dati i tempi, Putin ha ottenuto
il massimo possibile dalla situazione, il controllo di fatto delle
regioni del sud-est, la loro autonomia regionalistica, amministrativa e
finanziaria (almeno secondo gli accordi con Poroshenko), all’interno di
un’apparente integrità territoriale dell’Ucraina, che da un lato gli
consente di essere presente sul terreno con persone fidate e dall’altro
di esercitare un’influenza sulla capitale per condizionare i prossimi
equilibri dirigenziali. Puntare direttamente sulla separazione del
Donbass, con il riconoscimento immediato delle repubbliche
secessioniste, sarebbe equivalso ad ammettere di voler rinunciare
all’esercizio egemonico su Kiev e dintorni, lasciandolo ai suoi
competitors geopolitici. A quel punto la spartizione tra russi, europei e
americani del Paese avrebbe sancito un indietreggiamento di Mosca
rispetto alle circostanze antecedenti e, pertanto, una irrimediabile
riduzione della sua sfera d’influenza. E’ presto per dire se la
ciambella sia riuscita col buco, tenendo sempre conto degli scarti o
degli sconvolgimenti che si producono tra pianificazione delle strategie
e loro applicazioni pratiche, ma, al momento, i risultati sembrano più
favorevoli ai russi che non agli statunitensi. Quest’ultimi hanno
ottenuto di spaventare i paesi dell’area baltica e dell’ex patto di
Varsavia entrati nell’Ue, i quali si sono fatti convincere a rinunciare
ad altre fette di sovranità, concedendo alla Nato di dispiegare nuove
truppe sul loro territorio. Il che è una sconfitta per l’Europa la quale
si dimostra incapace di far valere la propria autorità nel suo
perimetro politico e geografico. Come scrive giustamente Coen su Il
Fatto (giornale e giornalista perfidamente antirussi): “[Putin] vuole
mettere in discussione la governabilità dell’Ucraina, vuole cioè un
cambiamento di potere a Kiev, un ritorno cioè all’ovile”. E poi,
riportando quando affermato da Gazeta.ru: “Le frontiere geografiche di
questo territorio qualificato zona di sicurezza nel piano di Putin sono
ancora fluide, ma il loro significato geopolitico è evidente sia per la
Russia che per l’Ucraina”. Prosegue, così, Coen: “…la dirigenza della
Repubblica popolare del Donetsk (l’autoproclamata RPD) sta per avviare a
Mosca dei colloqui per gestire l’erogazione di gas russo nel Donbass,
secondo quanto ha dichiarato il ministro della Sicurezza della RPD, tale
Leonid Baranov. Il gasdotto in questione passa nella regione di Lugansk
per confluire in quella del Donetsk, e pure questo è un segnale ben
preciso, e propagandistico: l’indipendenza energetica da Kiev. Come la
volontà di entrare nell’area monetaria di Mosca, adottando il rublo”. Al
giornalista non piace quello che è successo eppure è costretto a
rilevarne la portata. Ora, alcuni capi militari della Nuovarussia, come
Mozgovoy, non vogliono o fingono di non accettare questi accordi. Pare
che ci sia stato pure un tentativo di golpe contro gli attuali gerenti
novorussi. Se si tratta di tattica per vedere e studiare gli ulteriori
sviluppi degli eventi questo è accettabile. Se non si tratta di ciò, va
purtroppo a riproporsi quell’eterna manifestazione di avventurismo dei
ribelli che non sanno fermarsi di fronte all’evidenza dei fatti, la
quale in molte occasioni, o quasi tutte, ha condotto i sognatori armati,
pieni di buoni intenzioni ma privi di pragmatismo, a fare una brutta
fine, anche per mano amica. Valutiamo e meditiamo.
Nessun commento:
Posta un commento