Incontri. Lectio magistralis dell'economista premio Nobel alla Camera dei deputati di Roma
Joseph Stiglitz ha archiviato da anni la sua esperienza alla Banca mondiale, organizzazione abbandonata per dissensi sulla «doppia morale» lì dominante che consentiva ai paesi forti di fare cose impedite ai paesi nel Sud del mondo. Premio Nobel per l’economia del 2001 ha scritto volumi assunti dai liberal statunitensi come una sorta di bibbia nella critica al neoliberismo, mentre al di fuori dei confini nazionali sono stati invece assunti da parte delle sinistre cosiddette radicali e ambientaliste come testi imprescindibili nell’analisi del capitalismo contemporaneo. Strano destino per un economista che radicale proprio non si può definire. Sta di fatto, però, che nella lectio magistralis ha svolto il ruolo del riformista radicale che chiede un’inversione di rotta all’Unione europea, mentre molti dei discussant non sono riusciti ad accogliere fino in fondo le «provocazioni» dell’economista, lamentando la distanza esistente tra le teorie critiche dell’austerità e le politiche dell’Unione europea che vedono una sostanziale convergenza tra il centro destra e il centro sinistra.
Eppure le persone chiamate a discutere con Stiglitz, in particolare i deputati, i senatori e la stessa presidente della Camera, sono spesso considerati «fuorilinea» rispetto ai propri partiti. Coinciso Giorgio Airaudo di Sel che è partito dalla crescente disoccupazione per ricordare che in Italia non esiste una politica industriale, senza la quale sarà difficile vedere una luce in fondo al tunnel della crisi, che ha portato i redditi individuali e delle famiglie ai livelli di 25 anni fa. Airaudo ha preferito parlare di manifattura, argomento assente nel discorso di Stiglitz, che auspicava il fatto che i paesi europei percorrano l’ultimo miglio che li separa dall’economia della conoscenza.
Fuori fuoco l’intervento di Francesco Boccia (pd), che ha ricordato le compatibilità dettate dalla troika europea. Proprio quelle compatibilità che Stiglitz invitava se non a rompere, almeno a forzare. Boccia però a messo involontariamente al centro la subalternità della politica all’economia. Una subalternità che rischia di accentuare gli effetti autolesionisti dell’austerity. Per uscirne fuori la presidente della Camera Laura Boltrini vede necessario il ripristino dell’autorevolezza del sistema politico nel definire regole e convenzioni sociali condivise. Ma se il sovrano ha perso lo scettro, non è detto che possa ritrovarlo in una generica riforma della politica, come auspicato da Laura Castelli del Movimento Cinque Stelle: l’unico intervento interrotto da un applauso.
Se Stiglitz può passare, suo malgrado, come un riformista radicale, una sponda alle sue tesi non è certo venuta dal riformismo «timido» e «perbene» di Stefano Fassina (pd), che ha più volte lamentato il fatto che la politica ha le mani legate e che forse spetta agli accademici di proporre una vision alternativa a quella dominante. Strano approdo per un politicy maker che vorrebbe la ripresa di autonomia della politica, ma poi ne affida le sorti a un accademico.
L’unico esponente politico a suo agio è Giulio Tremonti, che cita come funesta l’idea dominante che ha formato l’Unione Europa: quello di uno sviluppo lineare, progressivo dell’economia europea. A Bruxelles e a Strasburgo la crisi economica è piombata come un evento inatteso, trovando le istituzioni comunitarie impreparate. E ancora adesso c’è una certa difficoltà a fare i conti con players globali come la Cina o i fondi di investimento.
Quando la parola ritorna agli studiosi, sembra di scendere dalle stelle alla terra. Tutto diventa chiaro. La siprale distruttiva del neoliberismo (Giovanni Dosi), la necessità di ridurre le disuguaglianze sociali (Mauro Gallegati), le nuove politiche economiche e industriali (Mario Pianta) danno misura di quel movimento di ridiscesa sulla terra invocato da Goethe nel «Faust» che il sistema politico non sembra riuscire a fare.
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