Cinque miliardi al "cioccolataio" Poroshenko per strappare Kiev all'influenza russa
Cinque miliardi al "cioccolataio" Poroshenko per strappare Kiev all'influenza russa
Il premier ucraino Petro Poroshenko è solo un «cioccolattaro» arricchito, approdato alla politica sull'onda del caos o è invece un raro e pregevole caso di «premier» allevato in batteria dall'«amico americano»? Alla vigilia della possibile entrata in vigore delle nuove sanzioni anti-russe - sanzioni che rischiano di affondare l'economia dell'Italia prima di quella di Mosca - vale forse la pena di chiedersi per chi siamo pronti a pagare un prezzo così alto.
Incominciamo innanzitutto dalla doppia vita e doppia carriera dall'attuale premier ucraino Petro Poroshenko. In Europa il nome di questo ex-oligarca era praticamente sconosciuto sino alle manifestazioni dello scorso autunno e alle elezioni della scorsa primavera. Anche perché il «re del cioccolato», come lo chiamavano in patria, doveva gran parte delle sue fortune alle esportazioni in Russia. Lì approdava il 40 per cento delle 410mila tonnellate di dolciumi e caramelle marchiati Roshen sfornati ogni anno dagli stabilimenti dell'oligarca. Il resto di quei prodotti, insufficienti a ingolosire i palati europei, andava a ruba sui meno esigenti mercati dell'ex-impero sovietico. Petro Poroshenko sembrava, insomma, l'uomo perfetto per alimentare commerci e affari dell'Eurasia di Vladimir Putin. Ma sotto i ghiotti affari di questo signore del cacao e delle caramelle s'agitava anche il consueto mondo di contatti e relazioni oscure indispensabile per tenere a galla qualunque oligarca arricchitosi sulle macerie della vecchia Urss.
I primi segnali arrivano quando il nome di Petro Poroshenko affiora dai documenti secreti resi pubblici da Julian Assange attraverso Wikileaks. Il nome del futuro premier ucraino viene menzionato una prima volta nel cablogramma riservato numero «06KIEV1706_ a» partito alle 14.35 del 28 aprile 2006 dall'Ambasciata Usa di Kiev e indirizzato al Dipartimento di Stato di Washington. Nel messaggio Poroshenko viene definito « our insider Ukraine » ovvero «la nostra talpa in Ucraina». Una talpa utilizzata in quel caso per ottenere informazioni sulle manovre per la formazione di un nuovo governo a Kiev. Insomma per l'Ambasciata Usa Poroshenko è già allora un oligarca con il portafoglio a Mosca e il cuore a Washington. Il peggio lo racconta, però, il cablogramma «06KIEV2038_a» partito alle 08.45 del 26 maggio 2006. Riassumendo i termini della trattativa sul nuovo governo ucraino destinata, tra l'altro, a portare Petro Poroshenko alla presidenza del Parlamento si ammette che la pellicciotta della «talpa» ucraina «è macchiata da accuse di corruzione credibili», ma si spiega anche che «il prezzo di Poroshenko deve esser pagato». Come dire è il nostro uomo e dobbiamo accontentarci. Il riferimento al «prezzo pagato» diventa più chiaro andando a riascoltare le ammissioni sfuggite di bocca al sottosegretario di stato per l'Europa Victoria Nuland in occasione dell'International Business Conference sull'Ucraina del 13 dicembre 2013.
«Dalla dichiarazione dell'Indipendenza del 1991 gli Stati Uniti hanno appoggiato gli ucraini nello sviluppo di istituzioni democratiche nello sviluppo di capacità atte a promuovere la società civile, una buona forma di governo e quanto può rivelarsi necessario per raggiungere gli obbiettivi di un'Ucraina europea. Abbiamo investito più di 5 miliardi di dollari per aiutare l'Ucraina a raggiungere questi ed altri obbiettivi". Nell'elenco degli acquisti a cui erano destinati quei cinque miliardi di dollari c'era anche il «corrotto» Poroshenko. Per questo, dal punto di vista di Washington, il prezzo doveva venir pagato. La domanda è perché ora debbano pagarlo anche l'Italia e l'Europa.
Nessun commento:
Posta un commento