di Gianni Petrosillo
Fonte:
Conflitti e strategie
Con
un tempismo eccezionale Putin ha consegnato a Poroshenko il suo piano
di pace in 7 punti per il Sud-Est dell’Ucraina. Lo avrebbe steso di
proprio pugno durante un trasferimento in aereo e comunicato
telefonicamente al Presidente ucraino, qualche giorno prima del vertice
Nato in Galles. Una mossa azzeccata per attenuare le iniziative
bellicose dell’Alleanza Atlantica o per fare in modo che il Gauleiter di
Kiev lo discuta con le potenze occidentali. Infatti, la crisi in
Ucraina ruberà certamente la scena agli altri dossier, Califfato
incluso, al centro del dibattito di Newport. Ieri si è aperto il tavolo
ristretto del G5 con Italia, Francia, Usa, Germania e Gran Bretagna. In
questa occasione il premier italiano Renzi ha espresso la sua ferma
condanna all’azione di Mosca che violerebbe il diritto internazionale
sostenendo i separatisti del Donbass. Il giovane di belle speranze,
sempre alla ricerca delle novità rivoluzionarie in patria, dimostra
scarsa saggezza in politica estera dove l’atteggiamento conformistico
prevale sulla spinta al cambiamento strategico. In una fase storica come
quella in corso, pregna di rapide trasformazioni geopolitiche e di
valide alternative allo statu quo, l’ex sindaco di Firenze mostra una
natura poco coraggiosa. La linea del Governo italiano è schiacciata su
quella americana e la nomina di Federica Mogherini a lady Pesc ha
accentuato questa corrispondenza. Non è da meno la Francia di Hollande
che ha sospeso la consegna delle navi da guerra Mistral al Cremlino, in
violazione degli accordi commerciali. Un palese infrangimento delle
regole contrattuali che espone Parigi a ritorsioni economiche e
politiche e la scredita al cospetto di un partner determinante come
quello russo. Soltanto la Germania è recalcitrante ad inasprire i suoi
rapporti con Putin, e farà di tutto per impedire agli Usa di saldare il
fronte dei falchi antirussi. Tutti i leader hanno però convenuto di
avviare dei trattati bilaterali con l’Ucraina per fornire assistenza
militare al paese. La Nato punta ad incrementare l’instabilità ai
confini russi laddove occorrerebbe riconoscere a Mosca l’intangibilità
della sua sfera d’influenza per salvaguardare la pace in Europa. Ma il
vecchio continente per Washington è esclusivamente una pedina da
giostrare per impedire ai suoi concorrenti euroasiatici ed asiatici di
mettere in discussione la sua leadership mondiale.
La guerra, nel
frattempo, non si è fermata in Ucraina, nonostante gli abboccamenti tra
Putin e Poroshenko. Ieri, le milizie hanno attaccato l’importante città
portuale di Mariupol per saldare il corridoio con la Crimea e dare alle
regioni separatiste una decisiva continuità territoriale lungo la costa.
I militari di Kiev stanno opponendo una opposizione debole ma
indietreggiando verso ovest continuano a colpire i civili e le
abitazioni, seminando panico e morte tra la popolazione. Quasi 1/3 della
città sarebbe già sotto controllo dei miliziani. Anche a nord gli
insorti segnano un avanzamento dirigendosi verso Slaviansk, località
divenuta simbolo della strenua resistenza dei filorussi che la
sacrificarono dopo duri combattimenti per rafforzare le difese di
Donetsk e di Lugansk.
Qualora la proposta di Putin dovesse essere
accolta da Kiev, anche con qualche piccola modifica, si determinerebbe
una situazione di fatto molto simile agli scenari che, fino al 2008, si
sono determinati in Ossezia e in Abkhazia, cioè prima che alla Georgia
venisse in mente di attaccare i vicini. La secessione diventerebbe un
aspetto compiuto anche senza il cappello ufficiale del diritto
internazionale. Mosca si comporterebbe verso questa parte dell’Ucraina
come se avesse a che fare con uno stato indipendente, fornendo tutela
militare e sostegno economico. Formalmente, l’integrità territoriale
dell’Ucraina sarebbe salva e Putin si garantirebbe la possibilità di
influenzare anche le decisioni a Kiev. E’ avvenuto fino alla cacciata di
Yanukovic e potrebbe accadere ancora. Come abbiamo scritto tante volte,
anche perdere un piccolo pezzo del Paese sarebbe uno smacco per i russi
e per i loro piani di ripristino egemonico ad est. La soluzione
cantonale sarebbe, dunque, ottimale per un Cremlino che vuole preservare
il proprio spazio vitale senza ritrovarsi gli americani a due passi da
casa. Saranno gli eventi successivi a stabilire se l’opzione è quella
migliore o se, più in là, si dovrà intraprendere una ulteriore azione di
forza per consolidare lo spettro della propria “ascendenza”
sull’Ucraina. Al momento, la prospettiva di una via “Svizzera”
dell’ordinamento costituzionale ucraino impedisce agli Stati Uniti di
accusare Mosca di voler ridisegnare le cartine geografiche annettendosi
d’imperio fette di territorio fuori dalla sua sovranità. Inoltre, tale
soluzione offrirebbe all’Europa l’opportunità di allentare la linea dura
voluta dalla Casa Bianca e di ricucire con la Russia. Vedremo se gli
eventi si incanaleranno su questa strada che, attualmente, sembra la più
razionale.
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