Fonte: Pauperclass
1. Renzi imposto all’Italia
Sì. Missione compiuta o in via di rapido compimento per il pericoloso guitto mediatico-subpolitico fiorentino.
Il
governo Renzi, collaborazionista della troika, sta raggiungendo uno
dopo l’altro i suoi veri obiettivi nel paese, pur con qualche relativa
difficoltà e qualche ritardo sulla tabella di marcia. Mi riferisco agli
obiettivi non dichiarati, opposti alle promesse renziano-piddine fatte
agli italiani. Per la buona riuscita dell’operazione e per imporsi nel
paese, il terzo, piccolo Quisling in ordine di apparizione – dopo il
“capostipite” Monti e il transitorio Letta – ha potuto godere di molti,
importanti sostegni. Una maggioranza, creata ad hoc, nel principale
partito euroservo e filo-atlantista italiano, ossia il pd. L’appoggio
determinante dei suoi padroni (troika, grande capitale finanziario,
unione europoide, usa, mercati&investitori). La visibilità
offertagli dall’apparato ideologico-massmediatico e un certo sostegno
della cosiddetta stampa internazionale. Il consenso di massa
abbondantemente idiotizzato, estorto con slogan e false promesse.
Renzi
è stato subdolamente imposto all’Italia da un complesso di forze
ultraliberiste, legate alla dimensione finanziaria, che usa come arma,
per il controllo politico del paese e delle sue fatiscenti istituzioni,
il partito democratico, inteso come serbatoio inesauribile di pedissequi
che seguono fedelmente il padrone sopranazionale e di imbroglioni
subpolitici, che ingannano con grande abilità la popolazione. Anche se
il suddetto ha “vinto le primarie” e ha fatto fare al pd il pieno dei
voti nelle europee di maggio, possiamo affermare che si è affermato con
l’inganno e la manipolazione, non solo mediatica.
Con
Monti, Letta, Renzi, siamo entrati nella fase finale dell’”operazione
Britannia”, simbolicamente pianificata nel 1992 durante la breve gita
sul panfilo della corona britannica, cioè stiamo arrivando rapidamente
alla “soluzione finale” del problema Italia nell’economia globalista. Il
cerchio non si chiuderà con Renzi, che farà una parte significativa del
lavoro per “normalizzare” in senso ultraliberista e globalista il
paese, trattenendolo grazie alla sua “popolarità” e alla sua immagine
truffaldina. Dopo di lui, ci sarà probabilmente un governo-troika
guidato dal “liquidatore finale”, non di origine subpolitica, ma
squisitamente “tecnica”, che porterà l’opera a definitivo compimento con
modi spicci.
2. Come Monti e più di Monti
Renzi
trionfa, spaccia i risultati delle elezioni europee per risultati di
elezioni nazionali, al fine di legittimarsi furbescamente con oltre il
40% dei consensi, e le opposizioni nel parlamento liberaldemocratico
mostrano tutta la loro vergognosa inconsistenza, nonché l’assenza di
vere alternative al programma piddino. Che poi è semplicemente il
programma imposto nel 2011 dalla troika, con la bce a dettare le linee
di politica strategica per il terzetto (5 agosto 2011, Francoforte/Roma,
lettera Trichet-Draghi). Nonostante lo jobs act annunciato e gli 80
euro erogati (ma non a tutti), il cambiamento in cui Renzi pare
indaffarato vuol dire, sotto la superficie degli annunci e delle
elemosine elettorali, inderogabile impegno “per condizioni di bilancio
sostenibili e per le riforme strutturali” (esattamente come prescrivono
nella loro lettera Trichet e Draghi). Naturalmente la “sostenibilità”
dei bilanci pubblici è legata alle dinamiche
neocapitalistico-finanziarie, che dominano l’eurolager imponendo tagli
lineari alla spesa, e le riforme strutturali vanno contro lavoratori e
pensionati. Quel che è peggio, è che una parte rilevante, in questo caso
decisiva, della popolazione italiana segue a ruota, come un branco di
pecore, e scambia Renzi per una specie di salvatore del paese, così come
è accaduto, all’inizio, con il primo Quisling “mandato” d’autorità dai
poteri esterni, ossia Mario Monti, che l’apparato ideologico,
subpolitico e massmediatico al gran completo vendeva, appunto, come il
“salvatore”.
Per imporsi e ottenere
gli “splendidi” risultati concreti ai quali, poi, accenneremo,
continuando sulla strada di Monti, con l’acquiescenza del rieletto
Napolitano (basista istituzionale) e il favore della stampa, Matteo
Renzi ha potuto contare segretamente su tutto il pd. Anche se l’apparato
del partito collaborazionista ha finto un’opposizione interna al
bulletto fiorentino, per trattenere voti e tessere di eventuali
scontenti e per simulare pluralismo, ne ha segretamente favorito
l’ascesa, a partire dalla vergognosa sceneggiata delle primarie per la
segreteria nazionale (8 dicembre 2013, Renzi contro Cuperlo), in cui il
vincitore era predeterminato. Poi l’escalation renziana è stata rapida,
perché la situazione e la troika lo imponevano. Letta era da mettere da
parte, da archiviare nel breve, per evitare fastidiosi problemi
elettorali e di consenso. Con l’insipido, burocratico e poco
“telegenico” Enrico Letta ancora al governo, i migliori
collaborazionisti del grande capitale finanziario, in Italia, avrebbero
rischiato di perdere la presa sul paese. Urgeva un nuovo esecutivo
emanazione dei poteri forti esterni, il terzo dalla fine del 2011, che
continuasse con determinazione l’”opera”, iniziata da Mario Monti, di
privatizzazione completa e di definitivo annichilimento di questo paese.
Il
punto centrale, per capire la strada seguita dai tre governi di
Quisling non eletti che si sono succeduti in Italia, è la diabolica
combinazione fra trattati europei, da rispettare fino in fondo, senza
inopportune concessioni alla “flessibilità”, e l’ormai arcinota lettera
della bce del 5 agosto 2011, che delineava le linee strategiche del
programma. Il vero programma politico del governo collaborazionista
piddino-renziano, tenuto conto di quanto precede, è di facile
individuazione, e così i risultati concreti ai quali si tende.
Nonostante
le sparate propagandistiche di Renzi, che millanta di voler sfruttare
la flessibilità concessa dalle regole europee, la ferrea norma del
rapporto del 3% fra deficit e pil è rispettata in modo maniacale, anche
se la motivazione renziana è che si fa così per se stessi, perché è
giusto e “non perché lo dice la Merkel”. Infatti, secondo l’abile
parolaio e saltimbanco del capitale finanziario, “Dobbiamo rispettare
tutti gli impegni, compreso il 3% del rapporto deficit-Pil, e non perché
lo dice la Merkel ma perché è giusto.” Renzi continua sulla strada di
Monti e anche le sue dichiarazioni lo rivelano, perché Monti aveva
dichiarato, nel giugno del 2012, qualcosa di simile, ad uso e consumo
propagandistico interno: “La Merkel dice che l’Italia ce la fa, ma
l’Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel”. I trattati europei non
si discutono, ma si applicano a qualsiasi costo, e questo Renzi l’ha ben
presente, esattamente come Mario Monti. Se violasse questa regola,
imposta dai padroni che lo tengono al guinzaglio (e gli gettano l’osso
da spolpare sotto il tavolo), salterebbe il banco, cioè il sistema di
potere neocapitalistico in Europa chiamato unione europea. Addio moneta
comune e strumenti di dominazione elitisti. Si tratterebbe allora – e
qui sta l’inghippo – “di utilizzare tutti i margini e le flessibilità
già previsti dall’attuale Patto di stabilità e crescita”. Ciò vorrebbe
dire, secondo Renzi e i suoi compari, escludere dal computo del 3%
alcune voci. Come? Non conteggiando nel deficit il cofinaziamento dei
fondi strutturali europei (i 43 miliardi aggiunti da Roma fra il 2014 e
il 2020, qualche miliardino del tutto insufficiente ogni anno) e altre,
sparute, spese per investimenti. Davanti alla drammatica crisi che sta
attraversando il paese è chiaro che la “flessibilità”, secondo Renzi
insita nei trattati europei, anche se sfruttata appieno non
costituirebbe che un palliativo, perché per uscire dal circolo vizioso
della crisi strutturale neocapitalistica è necessario cambiare
radicalmente le politiche economiche, riacquisendo la piena sovranità
monetaria, uscendo dall’unione europoide e stracciando i
trattati-capestro imposti al paese. Purtroppo, con Renzi e il pd
saldamente al potere, non solo ciò non potrà accadere, ma seguiremo la
stessa direzione di marcia dell’esecutivo Monti, fino alla fine.
Anche
se il famigerato “pareggio strutturale di bilancio”, che comporterà
sofferenze aggiuntive per milioni di italiani, potrà subire qualche
ritardo – una semplice modulazione dei tempi, secondo il bieco Padoan
all’economia – la strada è segnata e da questa non si può deviare. Si
tratterà, in pratica, di soddisfare i bisogni finanziari della pubblica
amministrazione massacrando ancor di più la popolazione, con tagli
indiscriminati alla spesa pubblica e sociale e/o con ulteriori aggravi
della pressione fiscale su famiglie e imprese. Renzi, pur tuonando
contro il rigore contabile fine a se stesso, e invocando con la foga di
un attore professionista “la crescita”, rispetterà fino in fondo il
fiscal compact, che prevede la riduzione forzata del debito pubblico
eccedente il 60% del pil, nell’arco temporale di un ventennio. Quanto
sarà pesante la ruberia elitista del fiscal compact, dal 2015? C’è chi
dice 7 miliardi l’anno, e chi ipotizza, più realisticamente, oltre 35
miliardi, se non proprio 50 con il peggiorare del pil. C’è da mettere in
conto anche lo spettro incombente del cosiddetto european redemption
fund, per costringere gli stati indebitati e privi di sovranità come
l’Italia, ridotti a “saldi da fine stagione”, a conferire nel fondo i
loro averi patrimoniali, a garanzia del rientro dal debito per la parte
eccedente il 60% del pil. In pratica, dentro la camicia di forza
europoide dei trattati imposti e delle politiche del rigore selvaggio,
si venderanno gli asset italiani – privatizzazione automatica! – per
ridurre il debito pubblico nelle proporzioni volute con il prodotto.
3. L’Italia affonda, ma Renzi porta a compimento la sua missione
E’
soltanto un caso, ma leggo or ora sull’Ansa del primo sciopero a catena
dei lavoratori di Eataly in Firenze. L’amichetto faccendiere di Renzi,
quell’Oscar Farinetti che incassa col cibo italiano (alti cibi) e
pontifica stronzate, fingendo di creare lavoro, vorrebbe non rinnovare i
contratti precari a termine di molti giovani, riducendo alla metà il
personale. Giovani precari (e non precari) tutti in strada. Nella
notizia di agenzia, si aggiunge che lo store fiorentino è stato
inaugurato alla fine dello scorso anno, da Farinetti in persona, con la
partecipazione dell’allora sindaco Matteo Renzi. Qualcuno afferma
addirittura che Farinetti è un consigliere di Renzi, forse non
“accademico” come lo fu Ichino sulle questioni del lavoro, ma comunque
ascoltato. Infatti, Farinetti consiglia al suo compare che ha fatto
carriera di tirare ancora “due o tre bastonate grosse”. Ad esempio
concedendo uno sgravio fiscale “potente” alle imprese, ma solo a quelle
che esportano e vendono all’estero, per invogliare a esportare di più
(che si fotta il mercato interno!), poi mettere un tetto alle pensioni
(i pensionati sono un peso, non servono, per loro niente ottanta euro!) e
abolire le regioni autonome (che non si provino a erogare troppi
stipendi e a dare troppo lavoro alla plebe!). Lo sciopero a Eataly,
proclamato per scongiurare i licenziamenti a tappeto dell’insulso e
arrogante Farinetti, pur essendo un caso, ha un certo valore simbolico.
Rappresenta la reale condizione del lavoro, non soltanto giovanile in
Italia, nonostante le menzogne renziano-piddine e la cortina fumogena
delle annunciate riforme.
Mentre
Grillo – ormai in completo marasma? – invoca il ritorno dei Rolling
Stones per una grande manifestazione al Circo Massimo(!) e i suoi
parlamentari manifestano simpatia e comprensione nei confronti dello
stato islamico, Renzi porta a compimento l’”opera” per la quale è stato
ingaggiato dalle élite neocapitaliste occidentali. E’ solo questione di
tempo, ma le privatizzazioni procederanno, come raccomandato nel 2011
per lettera dalla bce: “È necessaria una complessiva, radicale e
credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei
servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe
applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso
privatizzazioni su larga scala.” Fine del cosiddetto socialismo dei
comuni, servizi pubblici che diventano privati a caro prezzo per tutti.
Di recente, l’operazione “spending review” ha messo non a caso in
rilievo l’antieconomicità di molte partecipate dagli enti locali, almeno
una su quattro con un rendimento negativo rispetto al r.o.e. (reddito
netto aziendale / capitale proprio). Altro punto cruciale del programma
della bce per l’Italia è il seguente: “C’è anche l’esigenza di riformare
ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva,
permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e
le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e
rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di
negoziazione.” Anche qui siamo a buon punto ma Renzi continuerà l’opera.
“Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che
regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”, è un elemento
programmatico bce che si lega al precedente, e la revisione renziana è
già cominciata con il decreto Poletti, poi ci sarà il jobs act o qualche
altra porcata simile per eseguire gli ordini del padrone. La bce
avrebbe voluto il pareggio di bilancio in tempi più brevi ma Renzi, che
difende tutti i trattati-capestro europoidi pur invocando maggiore
flessibilità, intende arrivarci quanto prima. Si impone la revisione del
sistema pensionistico, alla quale ci ha già pensato il governo Monti
con la riforma Fornero creando gli “esodati”, e il taglio dei costi del
pubblico impiego, se necessario, voluntas bce/troika, riducendo gli
stipendi al pubblico impiego. Nessun problema, fra congelamento degli
aumenti contrattuali e blocco del turnover, ampiamenti praticati dai
governi collaborazionisti della troika, quello di Renzi compreso. La
revisione dell’amministrazione pubblica per assecondare le esigenze
delle imprese, raccomandata da Francoforte, è un “cavallo di battaglia”
renziano. Il vero programma di Renzi e del pd fa dunque riferimento alle
sezioni 1, 2 e 3 della citata missiva e da quella linea, socialmente
genocida, non ci si scosta.
Quali sono
i veri effetti del programma politico applicato all’Italia da Monti in
poi? Oggi sono ben visibili e i media non possono nasconderli.
Deflazione già arrivata, disoccupazione in aumento, con mille
disoccupati in più ogni giorno di luglio, emorragia di produzione
industriale (40% in meno dall’inizio della crisi?), consumi interni in
calo, pressione fiscale altissima che aumenterà ancora. Se Monti ha
ammesso di aver distrutto il mercato interno, cosa dovrà ammetterà, alla
fine, Renzi? Tuttavia sta portando a termine la sua missione, perché
sono proprio questi gli effetti voluti dalla troika per sottomettere (e
saccheggiare) definitivamente questo paese. Anche gli ottanta euro hanno
raggiunto i loro veri scopi, pur non avendo avuto il ben che minimo
impatto positivo sui consumi nazionali (e di prodotti nazionali). Hanno
portato consenso alle europee, ingannando ancora una volta il popolo
bue, preda dei collaborazionisti pd. Renzi non arriverà al 2018, come
ama dichiarare, così come il suo compare euroservo Hollande, amico della
mafia corsa e della classe globale dominate, potrebbe non arrivare alle
presidenziali francesi del 2017. Dopo Renzi ci sarà un governo
dichiaratamente “troikista”, imposto in una situazione drammatica e
guidato da un “tecnico” senza scrupoli (e senza l’assillo dei quozienti
elettorali), ma naturalmente appoggiato dal pd. A quel punto, se non
proprio oggi, Renzi potrà ben dire: missione compiuta!
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