di Esther Vivas - 01/09/2014
Fonte:
Tlaxcala
La grande distribuzione commerciale (supermercati,
ipermercati,catene di ipersconto…) negli ultimi anni ha subito un
forte processo di espansione, di crescita e concentrazione
industriale. Le principali aziende di vendita al dettaglio sono
entrate a far parte della classifica delle maggiore multinazionali
del pianeta, convertendosi in uno degli attori più significativi del
processo di globalizzazione capitalista.
La loro
apparizione e il loro sviluppo hanno radicalmente cambiato il nostro
modo di alimentarci di consumare, subordinando queste basilari
necessità a una logica mercantile e agli interessi economici delle
grandi aziende del settore. Si produce, si distribuisce e si mangia
ciò che viene considerato più redditizio.
“Operazione supermercato”
Nello stato spagnolo, l’apertura del primo supermercato ha avuto
luogo nel 1957 a Madrid. Si trattava di un “supermercato senza
personale di servizio” di carattere pubblico promosso dal regime
franchista sotto il programma “Operazione supermercato” e che
importava il modello di distribuzione commerciale statunitense
dovuta all’influenza del Piano Marshall. Il suo obiettivo:
modernizzare il “patrio commercio”. L’esperienza fu un vero
successo, avendo dato luogo in pochissimo tempo a una rete di
supermercati pubblici in svariate città, come San Sebastián, Bilbao,
Saragozza, Gijón, Barcellona, La Coruña, etc.
Nel
1959, a Barcellona aprì il primo supermercato a capitale privato,
fondato dalle famiglie Carbó, Prat e Botet, proprietarie dei
commerci d’importazione. Venne battezzato con il nome di Caprabo,
sigla composta dalla prima sillaba dei loro cognomi. Come racconta
il libro Caprabo 1959-2009,
la sua apertura significò un’autentica “rivoluzione” tra i
consumatori, attratti soprattutto dal fatto di poter prendere i
prodotti da comperare direttamente dagli scaffali. Con il passare
del tempo, e grazie all’impulso dello stesso governo franchista, i
supermercati privati si imposero, creando una vasta rete di
strutture senza personale di servizio in tutto lo stato, mentre
quelli di carattere pubblico andarono scomparendo.
Contemporaneamente, in Europa i supermercati erano una realtà
emergente. Nel 1957, in Gran Bretagna esistevano 3.750 strutture,
nella Repubblica Federale Tedesca 3.183, in Norvegia 1.288 e in
Francia 663. Lo stato spagnolo e l’Italia si trovavano in coda,
rispettivamente con 3 o 4 strutture. I supermercati erano
considerati un simbolo di modernità e progresso. A partire da
allora, la loro estensione andò crescendo. Infatti, dieci anni più
tardi, nel 1968, il numero dei supermercati sul territorio spagnolo
ammontava già a 3.678, mentre vent’anni dopo – nel 1978 – la cifra
sommava 13.215 punti vendita. Il loro modello di distribuzione e di
vendita al dettaglio venne generalizzato durante il decennio degli
anni 80 e 90, arrivando oggigiorno a esercitare un dominio assoluto
della distribuzione alimentare.
Per di più, la maggior
parte del nostro paniere di acquisto proviene per una forbice tra
il 68% e l’80% da supermercati, ipermercati e catene di ipersconto.
Secondo la rivista specializzata Alimarket, i dati del 2012 dicono
che comperiamo il 68,1% dell’alimentazione confezionata e dei
casalinghi in questo tipo di canali, a fronte dell’1,5% acquistato
nei negozi tradizionali, del 25,1% negli esercizi specializzati e
del 5,3% in altri. Secondo il rapporto Expo Retail 2006, quasi l’82%
dell’acquisto di alimenti viene realizzato attraverso la grande
distribuzione, il 2,7% in negozi tradizionali, l’11,2% in strutture
specializzate e il 4,2% in altri spazi vendita. Di conseguenza, chi
consuma ha sempre meno punti di accesso agli alimenti, e chi produce
sempre meno opportunità di arrivare al consumatore. Il potere di
vendita dei supermercati è totale.
Tanto potere in poche mani
È una distribuzione moderna che, per giunta, concentra il proprio
peso su pochissime aziende. Di fatto, la maggior parte dei nostri
acquisti nel supermercato vengono portati a termine in soltanto sei
catene, che controllano il 60% di tale mercato. E si tratta di:
Mercadona, con un 23,8% di quota del mercato; Carrefour, con
l’11,8%; Eroski (che comprende Caprabo), con un 9,1%; Dia, con un
6%; Alcampo (che integra i supermercati Sabeco), con un 5,9%; e
infine El Corte Inglés (con SuperCor e OpenCor), con un 4,3%. Dietro
di loro seguono Lidl, Consum, AhorraMás e DinoSol, che nell’insieme
costituiscono le dieci principali aziende del settore. Non era mai
accaduto che la distribuzione alimentare si fosse concentrata in
così poche mani.
In Europa, la dinamica è la stessa.
Secondo dati del 2000, nell’intero continente le dieci principali
catene di supermercati controllavano più del 40% della quota di
mercato. Si calcola che la concentrazione attuale sia addirittura
superiore. Secondo un rapporto di Veterinari Senza Frontiere,
in paesi come la Svezia, tre sole aziende di supermercati
monopolizzano all’incirca il 95% della distribuzione; e in paesi
come Danimarca, Belgio, Francia, Olanda e Gran Bretagna, poche
aziende dominano tra il 60% e il 45% del totale.
Nello stesso modo, alcune delle maggiori fortune di denaro in Europa
sono vincolate alla storia della grande distribuzione. In Germania,
fino al 16 luglio 2014 – data della sua morte - la persona più ricca
del paese è stata Karl Albrecht, fondatore e comproprietario dei
supermercati Aldi. Dopo il suo decesso, al primo posto è passato
Dieter Schwarz, proprietario del gruppo Schwarz, che comprende le
catene di supermercati Kaufland e Lidl. In Francia, il secondo
maggior patrimonio personale è nelle mani di Bernard Arnault,
proprietario del gruppo di articoli di lusso LVMH e con una
partecipazione molto importante in Carrefour. Senza allontanarsi
troppo, nello stato spagnolo, al secondo posto della classifica
delle grandi fortune si trova Juan Roig, proprietario di Mercadona.
La “teoria dell’imbuto”
Ed è una concentrazione chiaramente visibile nella cosiddetta
“teoria dell’imbuto”: migliaia di agricoltori da una parte e milioni
di consumatori dall’altra, mentre talmente poche aziende della
grande distribuzione a controllare la maggior parte del commercio
alimentare. Prendiamo a esempio lo stato spagnolo. All’estremità
superiore dell’imbuto si contano circa 720.000 agricoltori e persone
che lavorano nel settore agrario, mentre nella parte inferiore ci
sono 46 millioni di abitanti e consumatori; in mezzo, 619 aziende e
gruppi del settore della distribuzione alimentare (con in testa
Mercadona, Carrefour, Grupo Eroski, Dia, Alcampo, El Corte Inglés,
Lidl, Consum, AhorraMás, Makro, Gadisa, Grupo El Árbol, Condis, Bon
Preu, Aldi, Alimerka) a determinare il rapporto tra i primi due. Con
un dato da tenere in conto: di queste 619 aziende, solo le prime 50
controllano il 92% del totale della quota di mercato.
Sono queste aziende a determinare quale prezzo pagare
all’agricoltore per i prodotti e quale sia il costo per noi al
“super”, provocando il paradosso secondo cui il contadino riceve
sempre meno denaro per ciò che vende e noi, in qualità di
consumatori, paghiamo sempre di più. Rimane chiaro chi è che
guadagna. Si tratta di un oligopolio, in cui poche aziende
controllano il settore, che a sua volta impoverisce l’attività
agricola, omogeneizzando ciò che mangiamo, rendendo precarie le
condizioni di lavoro, ponendo fine al commercio locale e promuovendo
un modello di consumo insostenibile e irrazionale.
Il
potere della grande distribuzione è enorme e la nostra
alimentazione rimane subordinata ai loro interessi economici.
Pensiamo davvero di essere noi a decidere ciò che mangiamo?
*Articolo pubblicato su Pùblico.es il 21/08/2014. Traduzione di Francesco Giannatiempo, Tlaxcala-int.org.
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