lunedì 1 settembre 2014

Gli US, l’UE, la Russia e la questione Ucraina

di Alessandro Cappelletti

Fonte: mirorenzaglia



Una guerra non è mai solo una questione militare. Non sono solo eserciti che si scontrano per la conquista o la difesa di un territorio. Una guerra comporta una lunga sequenza di interventi diplomatici volti a creare alleanze, isolamenti e neutralità, strategie politiche, pianificazioni economiche, costruzione di consenso nell’opinione pubblica, individuazione di un obiettivo e, infine, piani di intervento bellico. Analizzando la situazione geopolitica nella guerra civile ucraina, viene naturale chiedersi quali motivazioni stiano spingendo l’Occidente a innalzare pericolosamente le tensioni politiche con la Russia alla quale si vuole sottrarre l’influenza esercitata sull’Ucraina per includerla all’Unione Europea. Nessuno, allo stato attuale delle informazioni in nostro possesso, può ragionevolmente sostenere se ci sia stata un’effettiva volontà di degenerazione da “manifestazioni politiche di dissenso” a “scontro armato tra opposte fazioni”, fatto è che però ci troviamo con due fronti belligeranti appoggiati da due blocchi contrapposti. A ciò, si aggiungono una serie di schermaglie amministrative che hanno portato a reciproche sanzioni e dispetti commerciali. L’escalation degli eventi non lascia pensare nulla di buono. In tutto questo divenire, come si stanno muovendo le parti in causa?
Russia – L’era Putin, dicono i freddi numeri, ha portato la Russia da una fase di anarchia, povertà e degrado sociale coincisa con il Governo Eltsin, meno di un fantoccio in mano a gerarchi, oligarchie e mafie, a una crescita economica ed affrancamento dai soliti poteri sovranazionali che compaiono in tutti gli stati bisognosi di aiuti finanziari. Le disparità sociali sono ancora nette, ma il reddito pro capite è in costante aumento dal 2004. Il PIL effettivo è salito dai 591 miliardi di dollari del 2004 ai 2096 di quest’anno. La previsione di crescita nel 2014, superiore di 2-3 punti percentuali rispetto all’area EU e di 1-2 rispetto agli USA. La disoccupazione in dieci anni è scesa dal 9,5 al 4,9%. Sono stati sottoscritti accordi commerciali per centinaia di miliardi di dollari con Turchia, Cina, Iran e sono in corso analoghe trattative con Brasile e Argentina. Giova ricordare che nel 1998 la Russia dichiarò la propria insolvenza nei confronti dei creditori internazionali a cui seguirono un’infinita catena di fallimenti in tutti i settori produttivi e finanziari, con un’inflazione all’80% (oggi è al 6,6%) e un indice di povertà schizzato al 29% (oggi 12%). I numeri indicano una nazione in crescita forte e costante, anche nelle intemperie del periodo. La ricchezza interna di materia prima, fa sì che venga considerata una partner cruciale anche per quell’occidente che tenta, invano, di bloccarne lo sviluppo. Le relazioni diplomatiche con nazioni in altrettanta crescita economica o concorrenziali, ostili o anche semplicemente diffidenti nei confronti dei vecchi padroni occidentali, ne rafforza il prestigio e ne garantisce lo sbocco su mercati che non siano quelli tradizionali.
UE/USA – La crisi finanziaria del 2008 sembrava in dissolvenza, dopo anni di strette e cinghie tirate,  quando sono giunti i recenti dati a gelare le aspettative. L’Europa Unita vive un periodo di transizione delicato in cui sembrano essere messi in discussione i cardini fondanti dell’aggregazione di quindici anni fa. Molti sono i governi in difficoltà, poche le idee di correzione, le rivendicazioni separatiste locali montano in sequenza, non c’è coesione politica e non pare nemmeno che fra gli stati membri ci sia molta comunanza di visioni e prospettive: all’immobilismo curiale del blocco europeo storico fa da contraltare l’agitazione dei nuovi entrati, in particolare le nazioni che appartenevano al vecchio blocco sovietico. Sembra una barca retta da più comandanti, alla deriva degli eventi. La sfiducia dei popoli si riassume nei cosiddetti voti di protesta indirizzati a partiti più o meno estremisti. Il debito pubblico è un incubo che coinvolge le principali nazioni con poche eccezioni: la media dell’area EU è del 92,60%, la crescita economica prevista per l’anno in corso è negativa al 3%, la disoccupazione all’11,50%. E se Bruxelles piange, Washington non ride di certo. Il presidente che doveva portare fuori dalle derive imperialiste dei Bush, da l’impressione di vivere alla giornata. Le politiche riformiste non sono state attuate, l’economia è ancora fragile: il debito pubblico si assesta al 101% (per farci un’idea, l’Italia è al 132%, la Spagna al 93%), la disoccupazione è ferma al 6%, la previsione di crescita è negativa al 4,10%, peggio ancora della nostra che danza attorno alla drammatica soglia del 3%. La politica estera sbanda tra influssi diretti e sostegni di comodo, senza però dare la sicurezza di avere la situazione salda in mano. I recenti dispacci provenienti dal medio oriente dicono che quelli che una volta erano i ribelli utilizzati per abbattere Saddam, Gheddafi e Assad, in realtà, oggi, siano sanguinari estremisti fuori controllo che, ispirati dagli antichi califfati arabi, vogliano istituire stati fondamentalisti islamici, in cui della primavera araba non rimanga nemmeno il ricordo. Questo è il risultato di politiche schizofreniche e fallimentari, oltre che economicamente dispendiose, in cui gli stessi stati coinvolti sono andati spesso contro i loro propri interessi per servire le solite cabine di potere, piuttosto che si siano illusi di riuscire a condurre guerre colonialiste senza turbare più di tanto gli elettorati.
Strategie – Ma veramente, ci chiediamo, stiamo ballando sull’orlo del burrone di una guerra mondiale per far entrare l’Ucraina nell’Unione Europea? Detta così, verrebbe da chiamare gli ospedali psichiatrici del continente e procedere all’internamento di un’intera classe politica. La realtà geopolitica dice invece che oltre all’Unione Europea, ciò che interessa sul serio, è l’annessione alla galassia Nato di più nazioni ex sovietiche possibile, in una manovra di accerchiamento che i Gabinetti Usa portano avanti dal crollo dell’Urss, per assicurarsi il dominio di un’area ricca e fondamentale per qualsiasi piano di signoria mondiale, in cui l’Europa ha il ruolo di ancella servitrice. Solo che dal 1991 a oggi, i fondamentali di potere politico ed economico si stanno ribaltando, con l’Occidente preda di una crisi che coinvolge lo Stato Borghese così come concepito nel secolo scorso, a fronte di un’Oriente in cui la sensibilità democratica è indubitabilmente in fondo alle precedenze, a vantaggio, però, di una crescita economica portentosa che sta portando ricchezza diffusa in larghi strati della popolazione, nonostante forbici amplissime tra i vari strati sociali. Ecco quindi che si fa spazio la domanda centrale del nostro ragionamento: come si intende gestire la crisi ucraina? La via delle sanzioni si sta rivelando un boomerang che nei prossimi mesi potrà assestare un colpo tremendo alle economie di europee: Adidas ha già registrato un calo delle vendite del 16%,Volkswagen dell’8%, Shell ha sospeso le attività estrattive nell’area di Yuzivska, nell’est dell’Ucraina, e lamentano perdite anche Metro e Siemens. Anche l’Italia sta subendo la reazione di Mosca e c’è da temere seriamente per la nostra già disastrata economia: nel 2013 le esportazioni nostrane, che rappresentano il 10% del nostro totale, quinto fornitore assoluto della Russia, ammontavano a un traffico di 10 miliardi di euro.  Inoltre bisogna ricordare che Gran Bretagna, Germania e Italia sono i principali soci di South Stream, il gasdotto realizzato con il gigante russo Gazprom. Come si vede, le relazioni commerciali tra Est e Ovest sono intimamente e strettamente connesse: allora perché non si è ancora provato a risolvere il conflitto per via politica e diplomatica, ma si è preferito passare alla logica, maso-masochista, delle reciproche ritorsioni economiche? La stessa Russia, infatti, dovrà inventarsi il modo di sopperire alle carenze di approvvigionamenti che il blocco delle importazioni provocherà al mercato interno, benchè questo possa anche essere un volano portentoso per lo sviluppo di mercati che oggi dipendono dall’import.
Consenso popolare – Questa volta non c’è il mostro, il genocida, la minaccia alla pace internazionale, il terrorista vigliacco e spietato. Non si è riusciti nemmeno ad attribuire a Mosca, con le solite tattiche di distrazione e disinformazione, la responsabilità, diretta o indiretta,  dell’abbattimento dell’aereo civile malese caduto nella regione martoriata del Donbass. In passato, un evento di questo genere, avrebbe provocato lo sdegno popolare, compattando l’opinione pubblica contro l’obiettivo da colpire. Troppe le bugie raccontate negli ultimi decenni per giustificare gli interventi militari, troppa la devastazione generata per “esportare la democrazia”, troppe le morti civili e militari per riuscire a imbrogliare ancora le masse. Questa volta, poi, “il nemico” è un politico che riscuote grandi simpatie tra le file dei suoi stessi avversari. L’uomo forte del Cremlino, in una situazione di panico governativo diffuso, ha estimatori convinti e trasversali nelle opinioni pubbliche, nei think tank, nello star system e tra i politici, benchè molti di essi siano stati estromessi dai giochi in tutti i modi possibili. Basti ricordare che il sostegno a Putin è costato il posto a due nostri premier: Berlusconi e Letta. Il primo, amico personale del presidente russo, fu costretto a dimettersi a causa dello spread fuori controllo dovuto al mancato contenimento del debito pubblico. Da allora a oggi, il deficit è salito di quasi trenta punti percentuali senza che il famigerato spread si sia scomodato. Il caso di Letta, se vogliamo, è ancora più pietoso, poichè il “nostro Enrico” fu l’unico primo ministro occidentale presente alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Sochi, esonerato poco dopo dal ruolo senza che, caso forse unico nella nostra storia repubblicana pur ricca di ribaltoni, ci fosse una vera e propria crisi governativa né una benchè minima variazione nella composizione delle forze partitiche di maggioranza. Se due casi non bastano, allora ricordiamo che Sarkozy strinse un accordo commerciale con Mosca per la vendita di navi militari da un miliardo di euro: naufragato alle presidenziali, ha conosciuto pure l’affronto del carcere in tempi recenti. La vendita, in ogni caso, è stata appena realizzata dal Governo in carica, nonostante le proteste e le ripicche americane su BPA Paris-Bas (vedi fonte sotto): tre sono stati spazzati via, vedremo il quarto che fine farà Hollande fra qualche settimana… Saremo paranoici complottisti, in effetti siamo appassionati della serie Tv “The Blacklist”, sicuramente c’erano presupposti politici più decisivi per la caduta e l’estromissione di Berlusconi, Letta e Sarkozy, ma sembra che chi tocca Putin, poi si dimetta!
La guerra – In tutto questo, c’è una guerra che si combatte nella modalità peggiore, quella in cui l’odio etnico trova sfogo nella brutalità. Anche se la stampa occidentale, evidentemente imbarazzata, abbia minimizzato e soprattutto cancellato in fretta dalle memorie, la strage di Odessa non può che riportare alle pagine più orrende delle guerre balcaniche e agli equivalenti nazisti. Del resto l’Ucraina è un territorio che dal 1500 in avanti ha conosciuto pochi sprazzi di indipendenza, è sempre stata più una regione che non uno stato, sottomessa di volta in volta al regno di Polonia, al Granducato di Lituania, all’Impero Austriaco e varie altre entità fino alla conquista zarista avvenuta nel XVIII secolo. Vi fu poi la Rivoluzione d’ottobre e l’annessione, manu militari, all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche che, attraverso l’Armata Rossa, nel 1922 terminò la guerra civile scoppiata alla caduta dell’impero. Il malumore del popolo ucraino si manifestò nel 1941 quando 30.000 volontari si arruolarono nelle Waffen-SS in funzione anti-bolscevica: la collettivizzazione forzata della terra attuata tra il 1929  il 1933, indusse infatti lo sterminio per fame di milioni di contadini e delle loro famiglie. L’odio e il risentimento anti russo covano da allora sotto cenere. Al crollo sovietico, Kiev promulgò l’Atto di Indipendenza dell’Ucraina del 1991. Le relazioni diplomatiche con l’antico dominatore non furono mai semplici a causa della dislocazione di armamenti nucleari e marittimi russi in territorio ucraino. La difficoltà di provvedere alla mancanza di fonti energetiche determinarono una grave crisi economica che mise in difficoltà le neonate istituzioni democratiche, spaccate a metà fin da subito tra chi voleva mantenere il legame con Mosca e chi voleva transitare nell’orbita europea. L’instabilità governativa è una prerogativa di tutto il periodo repubblicano e indipendente dell’Ucraina ma la contrapposizione tra le due fazioni politiche ha incominciato a inasprirsi pericolosamente nel 2004, con le prime manifestazioni del popolo arancione, sostenuto apertamente da Stati Uniti e Unione Europea, e l’attentato al presidente riformista Viktor Jushenko, fino all’esplosione delle violenze di quest’anno. Non è chiaro chi abbia iniziato e chi abbia risposto, nè chi vinca e chi perda: nell’era dell’informazione multi-polare, distinguere e filtrare le fonti è un gioco di rimandi e specchi riflettenti che distorcono la realtà lasciando sempre un dubbio di fondo su come stiano realmente le cose ma se, come sembrerebbe, i separatisti russi stiano conquistando posizioni su posizioni, mentre nell’esercito ucraino regolare ci siano spaccature, diserzioni, ripiegamenti disordinati, un eventuale tavolo per le trattative di pace vedrebbe le forze filo-russe in posizione di vantaggio nelle richieste di cessazione delle ostilità, con la probabile creazione di uno stato cuscinetto nuovo (Novorussia) e la riduzione del territorio ucraino, opzione che all’Occidente non sarebbe, ovviamente, gradita oppure di una Ucraina ancora unita ma stretta controvoglia in un patto federativo fra etnie. Un’escalation che coinvolga direttamente la Nato non sembra un’opzione plausibile, al momento, e non dovrebbe esserlo neanche in futuro. Come abbiamo dimostrato, mancano i presupposti economici, strategici, diplomatici e di consenso, a meno che l’Occidente non sia così ferito e disperato da tentare un’ultima mossa terminale, che aprirebbe uno scenario drammatico e di totale incertezza. Le alternative sono, mai come in questo caso, l’aggravamento del conflitto con il coinvolgimento obliquo della Nato o la trattativa di pace. Chi sembra abbia più da perdere è l’Europa non solo in termini economici, ma anche di unità vera e propria. La spaccatura fra chi preme per aggredire la Russia con gli Stati Uniti alle spalle e chi preferirebbe più calma, striscia sotto traccia e rischia di mandare all’aria questa alleanza debilitata da una crisi a cui una guerra al suo interno, era proprio l’ultima cosa di cui aveva bisogno.


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