mercoledì 3 settembre 2014

La masochistica guerra europea delle sanzioni

Putin_Russia-Europe

Le prime contromisure russe colpiscono direttamente l’economia dell’Unione e il nuovo ultimatum non spaventa Putin, perché ora il fattore tempo è dalla sua parte.


Un freddo e lungo inverno è proprio quello che si augura Alexander Kharchenko, premier dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk ed è ciò che il governo di Kiev teme maggiormente: dopo un’anomala e includente estate di guerra, l’arrivo prematuro del Generale Inverno non solo cristallizzerebbe la situazione sul campo, ma farebbe prepotentemente esplodere il problema dell’approvvigionamento di gas – la vera e unica arma russa puntata verso l’Ucraina e il cuore produttivo dell’Europa.
Dall’inizio, a metà Aprile scorso, dell’operazione speciale anti-terrorismo nel Donbass la leadership ucraina e i suoi burattinai atlantici confidavano in una rapida vittoria nell’est del paese: un intero esercito equipaggiato con carri armati, artiglieria pesante e aviazione contro una milizia popolare raffazzonata avrebbe dovuto avere vita facile a debellare la rivolta; ancora una volta però i miopi calcoli degli strateghi della Casa Bianca si sono dimostrati errati: non solo la fiera resistenza della popolazione russofona ha enormemente rallentato l’avanzata dell’esercito regolare infliggendogli un pesante tributo di sangue, ma soprattutto il recente cambio di strategia dei ribelli – tramite l’utilizzo di grosse formazioni motorizzate e l’apertura di un terzo fronte a Mariupol sul Mar d’Azov con l’ambizioso obiettivo di aprire un corridoio terrestre con la Crimea – hanno completamente gettato nel panico la dirigenza ucraina.
La defezione di reparti dell’esercito – è di una settimana fa la notizia che uno dei comandanti della 25ª brigata di paracadutisti abbia cambiato casacca schierandosi con i filorussi -, la resa d’intere unità circondate nella zona di Novoazovsk e la sempre più diffusa renitenza alla leva hanno generato un’isterica accelerazione della crisi. Solo così si spiega il frenetico tentativo di trovare a ogni costo la pistola fumante che incrimini la Russia agli occhi della comunità internazionale. Dove sono finite le prove inconfutabili dell’abbattimento del Boing 777 della Malaysian Airlines da parte dei ribelli, il convoglio di blindati russi distrutto dalle truppe di Kiev o la presenza di 4.000 – 5.000 soldati russi nel territorio ucraino? L’unica certezza è stata il primo scambio di prigionieri tra i due paesi: 10 paracadutisti russi che avevano sconfinato contro 63 soldati ucraini. Un po’ poco per gridare all’invasione.
Eppure nelle cancellerie europee e al quartiere generale della NATO si prosegue imperterriti nella strategia della tensione aumentando il numero di soldati e aerei nelle basi dell’Europa orientale, mandando unità navali nel Mar Nero, lanciando ultimatum, annunciando la creazione di una forza d’intervanto rapido (composta da GB, Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Norvegia, Olanda e Canada) e arrestando due diplomatici russi di stanza a Kiev, dati ufficialmente per dispersi. E, mentre in un’Europa sempre più in recessione si studiano nuove sanzioni da applicare alla Russia, l’FMI prepara la seconda tranche del prestito da 1,4 miliardi di dollari – per un totale di 17 miliardi in due anni – per supportare l’economia ucraina. Nel frattempo le contro-sanzioni russe nell’importazione di carni, formaggi, pesce, latte, frutta e verdura dalla UE, dagli USA e da Australia, Canada e Norvegia iniziano a far sentire i loro effetti sull’asfittica economia europea: l’importazione russa valeva 43 miliardi annui. Niente più salmone norvegese, prosciutto italiano, arance spagnole, mele polacche, formaggi francesi, pomodori olandesi e pesce mediterraneo nei supermercati di Mosca e la ventilata idea d’includere nell’embargo anche le automobili tedesche preoccupa non poco Berlino.
La guerra delle sanzioni danneggia entrambe le economie ma il fattore tempo ora volge a favore della Russia: le sanzioni l’hanno spinta alla storica collaborazione con la Cina – i gasdotti sono in costruzione –, con gli altri BRICS e alla creazione dell’Unione Euroasiatica; ma soprattutto a breve l’Ucraina dovrà saldarle il debito contratto pena l’interruzione di gas con gravi ripercussioni sulle forniture dirette verso l’Europa. I burocrati di Bruxelles alla fine dovranno rendere conto di quale vantaggio ci sia nel far entrare a tutti i costi l’Ucraina – un paese dall’enorme debito pubblico in cui la guerra costa un miliardo al giorno – nell’Unione e nella NATO perdendo il ricco mercato russo, mentre Scozia e Catalogna si apprestano a celebrare un referendum secessionista. Forse l’UE, oltre che di rigore e flessibilità, sia sinonimo anche di masochismo?

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