mercoledì 26 novembre 2014

Una questione di Stato e Rivoluzione: la Cina e il socialismo di mercato

Marxist-Leninist 19 maggio 2011
Fonte. Aurora sito
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la maggior parte dei paesi socialisti cadde tragicamente sotto l’assalto dell’imperialismo occidentale. Tra i colpi terribili inflitti al movimento comunista internazionale, cinque Stati socialisti resistono alla marea della controrivoluzione e, contro ogni previsione, mantengono il socialismo realmente esistente nel 21° secolo.
Anche se ognuno di loro affronta ostacoli molto specifici nella costruzione del socialismo, questi cinque paesi – Repubblica di Cuba, Repubblica socialista del Vietnam, Repubblica democratica popolare del Laos, Repubblica popolare democratica di Corea e Repubblica popolare cinese – affrontano la sfida al Golia dell’egemonia imperialista occidentale. Tra questi, tuttavia, la Cina è unica come paese socialista, la cui crescita economica continua a superare anche quella dei più potenti paesi imperialisti.
Anche se un numero imbarazzante di gruppi di “sinistra” occidentali contesta la designazione di socialista a ognuno di questi cinque paesi, nessun paese suscita maggiore opposizione della Cina. Molti gruppi di “sinistra” occidentali sostengono che la Cina moderna è un vero e proprio paese capitalista. A causa del loro patrimonio teorico ideologico fasullo come Leon Trotsky, Tony Cliffe e Hal Draper, alcuni gruppi sostengono che la Cina non è mai stato un paese socialista, sostenendo invece che lo stato cinese è ed è stato un capitalismo di stato.
Contrasteremo le loro reazionarie affermazioni oltraggiose con sei tesi:
In primo luogo, il socialismo di mercato cinese è un metodo per risolvere la contraddizione primaria rivolta alla costruzione del socialismo in Cina: le forze produttive arretrate.
In secondo luogo, il socialismo di mercato in Cina è uno strumento marxista-leninista importante per la costruzione socialista.
In terzo luogo, la continua leadership del Partito Comunista Cinese e il controllo dell’economia di mercato cinese sono fondamentali per il socialismo cinese.
In quarto luogo, il socialismo cinese ha catapultato uno stato operaio a livelli economici precedentemente sconosciuti.
In quinto luogo, l’elevazione del successo della Cina come moderna economia industriale ha posto le basi per forme “superiori” di organizzazione economica socialista.
E nel sesto luogo, la Cina  applica il socialismo di mercato nei suoi rapporti con il Terzo Mondo e svolge un ruolo importante nella lotta contro l’imperialismo.
Da queste sei tesi, traggo la conclusione che i marxisti-leninisti del 21° secolo devono studiare rigorosamente i successi del socialismo cinese. Dopo tutto, se la Cina è un paese socialista, la sua ascesa come prima potenza mondiale economica richiede l’attenzione di ogni rivoluzionario serio, soprattutto per quanto riguarda l’arduo compito della costruzione del socialismo nel Terzo Mondo cui è interessato.
Il socialismo di mercato è un metodo per risolvere la contraddizione primaria nella costruzione del socialismo in Cina: le forze produttive arretrate.
La rivoluzione cinese nel 1949 è stato un risultato straordinario del movimento comunista internazionale. Guidato da Mao Zedong, il Partito Comunista Cinese (PCC) aveva immediatamente tracciato un corso per la ricostruzione socialista di un’economia devastata da secoli di feudalesimo dinastico e di sottomissione imperiale a Europa e Giappone. Il PCC ha lanciato incredibili campagne progettate a coinvolgere le masse nella costruzione del socialismo e nella costruzione di un’economia che potesse soddisfare i bisogni della gigantesca popolazione cinese. Non si potranno mai esagerare i risultati incredibili delle masse cinesi in questo periodo, in cui l’aspettativa di vita media in Cina è passata da 35 anni nel 1949, a 63 anni alla morte di Mao nel 1975. (1)
Nonostante gli enormi benefici sociali portati dalla rivoluzione, le forze produttive della Cina sono rimaste gravemente sottosviluppate ed hanno lasciato il paese vulnerabile a carestie e altre calamità naturali. Lo sviluppo ineguale persiste tra la campagna e le città, e la crisi cino-sovietica escluse la Cina dal resto del blocco socialista. Questi seri ostacoli portarono il PCC, con Deng Xiaoping al timone, a identificare le forze produttive sottosviluppate cinesi come la contraddizione principale di fronte all’edificazione socialista. In un discorso del marzo 1979, in un forum del PCC dal titolo “Sostenere i quattro principi cardinali“, Deng delineò le due caratteristiche di questa contraddizione:
In primo luogo, partiamo da una base debole. Il danno inflitto per un lungo periodo dalle forze dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico hanno ridotto la Cina in uno stato di povertà e arretratezza”. (2)
Mentre concede che “fin dalla fondazione della Repubblica Popolare abbiamo raggiunto successi notevoli nella costruzione economica, istituendo un sistema industriale abbastanza completo“, Deng ribadisce che la Cina è comunque “uno dei paesi più poveri del mondo.” (2)
La seconda caratteristica di questa contraddizione è che la Cina ha “una grande popolazione, ma non abbastanza terra coltivabile.” Deng spiega la gravità di questa contraddizione:
Quando la produzione non è sufficientemente sviluppata, pone seri problemi in relazione al cibo, all’istruzione e al lavoro. Dobbiamo aumentare notevolmente i nostri sforzi in materia di pianificazione familiare, ma anche se la popolazione non crescerà per un certo numero di anni, avremo ancora il problema della popolazione per un certo periodo. Il nostro territorio vasto e ricco di risorse naturali è un grande vantaggio. Ma molte di queste risorse non sono ancora state rilevate e sfruttate, in modo che non costituiscono dei mezzi reali di produzione. Nonostante il vasto territorio della Cina, la quantità di terreno coltivabile è limitata, e né questo fatto né il fatto che abbiamo una grande popolazione, per la maggior parte contadina, possono essere facilmente cambiati.” (2)
A differenza dei paesi occidentali industrializzati, la contraddizione principale in Cina non era tra il proletariato e la borghesia, il proletariato e il suo partito avevano già abbattuto la borghesia nella rivoluzione del 1949, ma piuttosto tra l’enorme popolazione della Cina e le sue forze produttive sottosviluppate. Sebbene dalle buone e ambiziose intenzioni, le campagne come il Grande Balzo in avanti continuarono a non poter sollevare le masse cinesi da una povertà totale senza rivoluzionare le forze produttive del paese.
Da questa contraddizione, Deng ha proposto la politica del “socialismo con caratteristiche cinesi” o socialismo di mercato.
Dopo la morte di Mao nel 1975 e la fine della Rivoluzione Culturale, un anno dopo, il PCC, sotto la guida del presidente Deng Xiaoping, ha lanciato un’aggressiva campagna di ammodernamento delle sottosviluppate forze produttive in Cina. Conosciute come le quattro modernizzazioni, economica, agricola, scientifica e tecnologica, e difensiva, il PCC ha iniziato la sperimentazione dei modelli per il raggiungimento di questi cambiamenti rivoluzionari.
La modernizzazione non era qualcosa di estraneo alla costruzione del socialismo in Cina. Sulla scia del Grande Balzo in Avanti e dell’agitazione turbolenta della Rivoluzione Culturale, il PCC aveva capito che per costruire il socialismo duraturo, era necessaria una base industriale moderna. Senza una tale base, le masse cinesi continuerebbero a vivere alla mercé delle catastrofi naturali e della manipolazione imperialista. Deng delineò questo obiettivo in un discorso dell’ottobre 1978 davanti al IX Congresso Nazionale dei Sindacati cinesi:
Il Comitato Centrale sottolinea che questa è una grande rivoluzione, in cui l’arretratezza economica e tecnologica della Cina sarà superata e la dittatura del proletariato ulteriormente consolidata.” (3)
Deng prosegue descrivendo la necessità di riesaminare il metodo cinese di organizzazione economica:
Dal momento che il suo obiettivo è trasformare l’attuale stato arretrato delle nostre forze produttive, ciò comporta inevitabilmente molti cambiamenti nei rapporti di produzione, nella sovrastruttura e nelle forme di gestione nelle imprese industriali e agricoli, nonché i cambiamenti nell’amministrazione statale di queste imprese, in modo da soddisfare le esigenze della moderna produzione su larga scala. Per accelerare la crescita economica è essenziale aumentare il grado di specializzazione delle imprese, aumentare il livello tecnico di tutto il personale in modo significativo e formarlo e valutarlo attentamente, migliorare notevolmente la contabilità economica nelle imprese, e aumentare la produttività del lavoro e i tassi di profitto su livelli molto più alti.
Pertanto, è indispensabile attuare importanti riforme nei vari settori dell’economia, in relazione alla loro struttura e organizzazione, nonché alla loro tecnologia. Gli interessi a lungo termine della intera nazione sono imperniati su queste riforme, senza le quali non possiamo superare il ritardo attuale della nostra tecnologia di produzione e gestione”. (3)
Queste riforme proposte lanciarono il socialismo di mercato in Cina. Cominciando con la divisione delle Comuni Popolari dell’era del Grande Balzo in Avanti, in piccoli appezzamenti di terreno privati, il socialismo di mercato è stato applicato al settore agricolo della Cina, aumentando la produzione alimentare. Dal 1980 al 1992, lo Stato cinese delegò maggiori poteri ai governi locali e trasformò alcune industrie piccole e medie in imprese in attività, soggette a regolamentazione e alla direzione del PCC.
Dall’attuazione del socialismo di mercato, la Cina ha registrato un’espansione economica senza precedenti, con una crescita più veloce di ogni altra economia del mondo. Il socialismo di mercato di Deng ha decisamente fatto uscire le masse cinesi dalla povertà sistemica e fatto del paese un gigante economico la cui potenza supera probabilmente le maggiori economie imperialiste dell’Occidente.
Il socialismo di mercato in Cina è un’importante strumento marxista-leninista per la costruzione socialista.
Sebbene il concetto e l’attuazione del socialismo di mercato di Deng è un importante contributo al marxismo-leninismo, non è senza precedenti. La rivoluzione proletaria è storicamente scoppiata nei paesi in cui le catene dell’imperialismo erano più deboli. Una delle caratteristiche che uniscono  questi paesi è l’arretratezza delle forze produttive; sottosviluppati a causa di decenni di sottomissione coloniale e imperiale. Lungi dall’essere la prima volta che i comunisti usano i mercati per porre un fondamento industriale per il socialismo, il socialismo di mercato della Cina ha le sue radici nella Nuova Politica Economica (NEP) dei bolscevichi.
Di fronte a simili livelli di sottosviluppo e di disordini sociali, i bolscevichi attuarono la NEP, che permise ai piccoli imprenditori e ai contadini di vendere prodotti in un mercato limitato. Progettato e realizzato da Lenin nel 1921, la NEP è stata il successore della politica di Trotzkij del comunismo di guerra, che dava la priorità alla militarizzazione della produzione agricola e industriale per combattere le forze reazionarie dei bianchi. A causa delle loro condizioni materiali economicamente arretrate, furono prevalentemente i contadini a resistere al comunismo di guerra, provocando scarsità di cibo per l’Armata Rossa. Percependo correttamente l’importanza dell’instaurare una forte alleanza tra i contadini e la classe operaia urbana, Lenin usò la NEP come mezzo per modernizzare la campagna della Russia attraverso meccanismi di mercato.
In un articolo che spiega il ruolo dei sindacati nella NEP, Lenin descrive sinteticamente l’essenza del concetto che Deng avrebbe poi chiamato ‘socialismo di mercato':
La nuova politica economica introduce una serie di importanti cambiamenti nella posizione del proletariato e, di conseguenza, in quella dei sindacati. La grande massa dei mezzi di produzione nel settore industriale e del sistema dei trasporti, rimane nelle mani dello Stato proletario. Questo, insieme con la nazionalizzazione della terra, mostra che la nuova politica economica non cambia la natura dello Stato operaio, anche se deve modificare sostanzialmente le modalità e le forme di sviluppo socialista per permettere la rivalità economica tra il socialismo, che è attualmente in costruzione, e il capitalismo, che sta cercando di rivivere rispondendo alle esigenze delle grandi masse dei contadini attraverso il mercato.” (4)
Non si trascuri la gravità delle parole di Lenin in questo passaggio. Riconosce   che l’introduzione dei mercati nell’economia sovietica non modifica radicalmente il carattere proletario dello Stato. Più provocatoria è tuttavia la sua caratterizzazione dell’economia sovietica come “rivalità economica tra il socialismo, che ora è in fase di costruzione, e il capitalismo.” (4) Secondo Lenin, i rapporti di produzione capitalistici possono esistere all’interno e competere con il socialismo, senza cambiare l’orientamento di classe di uno stato proletario.
Ricordiamo che Deng sosteneva che il socialismo di mercato è stato fondamentale per la modernizzazione delle forze produttive e consolidare la dittatura del proletariato della Cina. Lenin sarebbe stato pienamente d’accordo con la valutazione di Deng, come articola in un testo dell’aprile 1921 intitolato “La tassa in natura“, Lenin scrive:
Il socialismo è inconcepibile senza una grande tecnica capitalistica basata sulle più recenti scoperte della scienza moderna. E’ inconcepibile, senza organizzazione statale pianificata, mantenere decine di milioni di persone alla più rigorosa osservanza di uno standard unificato nella produzione e nella distribuzione. Noi marxisti abbiamo sempre parlato di questo, e non vale la pena sprecare due secondi per parlare con persone che non capiscono nemmeno questo (anarchici e una buona metà dei socialisti-rivoluzionari di sinistra).” (5)
Le radici ideologiche del socialismo di mercato di Deng vanno più lontano di Lenin, però. In un’intervista dell’agosto 1980, la giornalista italiana Oriana Fallaci chiese a Deng se le riforme del mercato nelle zone rurali “avesse messo in discussione il comunismo stesso?”, Deng risponde:
Secondo Marx, il socialismo è la prima fase del comunismo e copre un lungo periodo storico in cui dobbiamo praticare il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro” e coniugare gli interessi dello Stato, della collettività e del singolo, solo così possiamo suscitare l’entusiasmo del popolo per il lavoro e sviluppare la produzione socialista. Nella fase superiore del comunismo, quando le forze produttive saranno notevolmente sviluppate e il principio “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni” sarà praticato, gli interessi personali verranno riconosciuti ancora di più e più esigenze personali saranno soddisfatte”. (6)
La risposta di Deng è un riferimento alla Critica del Programma di Gotha di Marx, del 1875. Marx descrive il processo di costruzione del socialismo in termini di fasi ‘alta’ e ‘inferiore':
Quello con cui abbiamo a che fare qui, è una società comunista, non come si è sviluppata sulla propria base ma, al contrario, così come emerge dalla società capitalistica, che è quindi, in ogni aspetto, economicamente, moralmente e intellettualmente, ancora impressa dalle voglie della vecchia società dal cui grembo emerge. Di conseguenza, il singolo produttore riceve dalla società – dopo le debite deduzioni – esattamente ciò che dà ad essa. …
Ma questi inconvenienti sono inevitabili nella prima fase della società comunista, essendone appena uscita dopo i lunghi travagli del parto dalla società capitalistica. Non potrà mai essere superiore alla struttura economica della società e del suo sviluppo culturale da cui è condizionata.” (7)
Si può concordare con il socialismo di mercato o meno, ma i fatti sono questi:
Fatto: il socialismo di mercato è in accordo con il marxismo-leninismo.
Fatto: la visione di Lenin è che i mercati e alcuni rapporti di produzione capitalistici non modificheranno sostanzialmente il carattere di classe proletario di uno stato socialista.
Fatto: Lenin riteneva che i paesi possono costruire il socialismo attraverso l’uso dei mercati.
Fatto: il principio che informa il socialismo di mercato di Deng “a ciascuno secondo il suo lavoro“, proviene direttamente da Marx.
La continua leadership del Partito Comunista Cinese e il controllo dell’economia di mercato cinese, è fondamentale per il socialismo cinese.
Commentatori occidentali hanno previsto che in Cina le riforme del mercato avrebbero portato alla caduta del PCC, quando Deng aveva annunciato il socialismo di mercato alla fine degli anni ’70. Questi stessi commentatori hanno ripetuto questa affermazione negli ultimi 30 anni, e sono stati costantemente smentiti da una Cina che usciva dalla povertà con il PCC al timone. Le riforme del mercato non hanno modificato le basi fondamentali della società socialista cinese, perché le masse e il loro partito continueranno a governare la Cina.
La cosiddetta ‘privatizzazione’ delle industrie statali piccole e medie, a metà degli anni ’90 e all’inizio del 2000, ha provocato una levata di scudi della ‘sinistra’ occidentale, affermando che questa rappresenta la vittoria finale del capitalismo in Cina. Ma dal momento che i gruppi di ‘sinistra’ sono spesso soggetti a litigare su definizioni oscure e irrilevanti (ma non meno verbose!) dibattendo su questioni storiche lontane, vediamo cosa i capitalisti stessi hanno da dire sulla ‘privatizzazione’ in Cina. Nel maggio 2009, Derrick Scissors della Fondazione Heritage pose la questione in un articolo intitolato “La liberalizzazione al rovescio“. Scrive:
Esaminare quali aziende sono veramente private è importante perché la privatizzazione è spesso confusa con la diffusione della partecipazione e della vendita di quote di minoranza. In Cina, la proprietà al 100 per cento è stata spesso diluita con la divisione delle proprietà in azioni, alcune delle quali sono messe a disposizione di attori non statali, come aziende straniere o altri investitori privati. Quasi due terzi delle imprese statali e delle filiali in Cina hanno intrapreso tali cambiamenti, portando alcuni osservatori stranieri a rietichettare queste imprese come “non statali” o anche “private”. Ma questa riclassificazione non è corretta. La vendita di azioni di per sé non altera per nulla il controllo dello Stato: decine di imprese non sono meno controllate solo perché sono quotate nelle borse estere. In pratica, tre quarti delle circa 1.500 società quotate come titoli nazionali, sono ancora di proprietà statale.” (8)
Finché il processo della cosiddetta ‘privatizzazione’ permette una certa proprietà privata, sia nazionale che estera, Scissors chiarisce che questo è un lamento lontano dalla privatizzazione vera e propria, come avviene negli Stati Uniti e altri paesi capitalisti. Lo Stato, guidato dal PCC, mantiene una quota di maggioranza nella società e traccia il percorso della società.
Più sorprendenti sono le industrie che rimangono saldamente sotto il controllo statale, che sono le industrie essenziali per il benessere delle masse cinesi. Scissors continua:
Non importa la loro struttura azionaria, tutte le società nazionali dei settori che compongono il nucleo dell’economia cinese sono tenute per legge a essere di proprietà o controllate dallo Stato. Tali settori comprendono la produzione e la distribuzione dell’energia, petrolio, carbone, petrolchimico e gas naturale, telecomunicazioni, armamenti, aviazione e trasporti marittimi, produzione di macchinari e automobili, tecnologie dell’informazione, costruzioni e la produzione di ferro, acciaio e metalli non ferrosi. Le ferrovie, la distribuzione del grano e le assicurazioni sono anch’esse dominate dallo stato, anche se non è ufficialmente sanzionato”. (8)
Nessun paese capitalistico nella storia del mondo ha mai avuto il controllo statale su tutti questi settori. In paesi come gli Stati Uniti o la Francia, alcuni settori come le ferrovie e l’assicurazione sanitaria possono avere proprietà statale, ma ciò finisce drasticamente nell’industria dominante. L’importanza di questa proprietà statale diffusa, è che gli aspetti essenziali dell’economia cinese sono gestiti dallo stato guidato da un partito il cui orientamento è verso la classe operaia e i contadini.
Particolarmente dannoso per l’argomentazione della Cina-come-capitalismo di Stato, è lo status delle banche e del sistema finanziario cinese. Scissors continua:
Lo Stato esercita il controllo sulla maggior parte del resto dell’economia attraverso il sistema finanziario, in particolare le banche. Entro la fine del 2008, i prestiti erano pari a quasi 5 trilioni di dollari, e la crescita del prestito annuale è stata quasi il 19 per cento, e accelerava; il prestito, in altre parole, è probabilmente la principale forza economica della Cina. Lo Stato cinese possiede tutte le grandi istituzioni finanziarie, la Banca popolare di Cina assegna loro quote di prestito ogni anno, e il prestito è diretto in base alle priorità dello Stato.” (8)
La Banca Popolare della Cina (PBC) mette in evidenza uno dei modi più importanti con cui il PCC utilizza il sistema di mercato per controllare il capitale privato e subordinarlo al socialismo. Ben lungi dal funzionare come una banca capitalista nazionale, che assegna la priorità per facilitare l’accumulazione di capitale da parte della borghesia, “questo sistema frustra i prestatori privati.” (8) Il PCC inonda il mercato con titoli pubblici, che hanno un effetto di spiazzamento sulle obbligazioni delle aziende private, che le imprese utilizzano per raccogliere capitali indipendenti. Sfruttando offerta e domanda sul mercato obbligazionario, la PBC impedisce alle imprese private, nazionali o straniere, d’accumulare capitale indipendentemente dalla gestione socialista.
Anche se la Cina moderna ha un sistema di mercato in espansione, il PCC usa il mercato per consolidare e far avanzare il socialismo. Invece di privatizzare le industrie più importanti, come spesso pretendono i detrattori, lo stato mantiene un vibrante sistema di proprietà pubblica socialista che impedisce il sorgere di una borghesia indipendente. Deng ha parlato in particolare di questo assai deliberato sistema nella stessa intervista con la Fallaci:
Non importa in quale misura ci apriamo al mondo esterno e ammettiamo capitale straniero, la sua grandezza relativa sarà piccola e non potrà incidere sul nostro sistema di proprietà pubblica socialista dei mezzi di produzione. Assorbire capitale e tecnologia straniera, e perfino consentire agli stranieri di costruire impianti in Cina, potrà giocare solo un ruolo complementare al nostro sforzo di sviluppare le forze produttive in una società socialista.” (6)
Analisti occidentali sembrano credere che il PCC abbia raggiunto questo obiettivo. Il capitalista Centro Studi Indipendenti (CIS) dell’Australia ha pubblicato, nel luglio 2008, un articolo che dice che coloro che pensano che la Cina stia diventando un paese capitalista “fraintendono la struttura dell’economia cinese, che rimane in gran parte un sistema dominato dallo stato piuttosto che dal libero mercato.”(9) L’articolo spiega:
Con il controllo strategico delle risorse economiche e rimanendo il principale erogatore di opportunità e successo economico nella società cinese, il Partito Comunista Cinese (PCC) sta costruendo istituzioni e sostenitori che sembrano radicare il monopolio del partito al potere. Infatti, in molti modi, le riforme e la crescita economica del paese hanno effettivamente migliorato la capacità del PCC di restare al potere. Invece di essere spazzato via dai cambiamenti, il PCC è per molti versi il suo agente e beneficiario.” (9)
Mentre il CSI continua a piangere lacrime di coccodrillo per la mancanza di libertà economiche e politiche in Cina, i marxisti-leninisti leggono tra le righe e riconoscono la verità: la Cina non è capitalista, il PCC non sta perseguendo lo sviluppo capitalistico e il socialismo di mercato è riuscito a porre le basi materiali per ‘il socialismo più alto’.
Il socialismo cinese ha catapultato uno stato operaio a livelli economici precedentemente sconosciuti.
Mentre il Grande Balzo in avanti è stato un ambizioso tentativo di porre le basi industriali necessarie per costruire il socialismo, i fatti sono questi: il prodotto interno lordo della Cina (PIL) nel 1960, dopo il GBA, era di 68,371 miliardi dollari. (10) Nel 2009, il PIL della Cina si trova a poco meno di 5.000 miliardi dollari, il che la rende la seconda economia del mondo. (11) In altre parole, l’economia moderna cinese è circa 73 volte la sua economia dopo il Grande Balzo in Avanti, che in precedenza era stata la più grande revisione economica socialista nella storia cinese.
La crudele ironia del socialismo cinese è che la maggior parte dei suoi ammiratori internazionali non sono ‘di sinistra’, ma piuttosto i capitalisti. Lungi dall’approvare il socialismo, questi capitalisti sono in soggezione davanti alla manipolazione dei mercati della Cina nel costruire una prospera società moderna senza ricorrere al libero mercato. Odiano le realizzazioni della Cina e il suo percorso socialista, ma non possono negarne il successo spettacolare. Anche Scissors riconosce nello stesso articolo dell’Heritage Foundation che, “tra giugno 2002 e giugno 2008, il PIL della Cina è più che triplicato e le sue esportazioni sono più che quadruplicate.” (8)
L’incredibile crescita del PIL in Cina è di vitale importanza per il socialismo. Scissors continua:
Questa rapida crescita del PIL ha creato posti di lavoro: entro la fine di giugno 2008, il tasso di disoccupazione tra gli elettori urbani registrati è stato un mero quattro per cento – addirittura inferiore all’ambizioso obiettivo del governo del 4,5 per cento. Questa cifra potrebbe sottovalutare la disoccupazione vera ignorando le campagne e l’occupazione urbana non registrata, ma riflette con precisione le tendenze più ampie della situazione del lavoro. Tanti lavoratori migranti provenienti dalle zone rurali sono stati assorbiti nel mercato del lavoro urbano, anche se 20 milioni di tali lavoratori avrebbero perso il lavoro, verso la fine del 2008, rimangono ben più di 100 milioni di migranti rurali con un posto di lavoro nelle città.” (8)
Che la Cina possa essenzialmente garantire la piena occupazione dei lavoratori, mette in evidenza un altro modo con cui il PCC usa i mercati per far avanzare il socialismo. Oltre a raggiungere la piena occupazione de facto, “i salari urbani sono saliti in modo significativo, del 18 per cento tra il 2007 e il 2008″, ciò rappresenta grandi guadagni materiali per la classe operaia cinese. (8)
A differenza delle masse espropriate dei paesi capitalisti, le masse cinesi sono sempre più soddisfatte e favorevoli all’economia della propria nazione. Uno studio del luglio 2008 condotto da Pew Global Attitudes Project, ha intervistato una campione di diverse persone in 24 paesi sviluppati, compresa la Cina prima delle Olimpiadi di Beijing. I risultati del Pew confermano la popolarità del socialismo di mercato tra le masse cinesi:
Mentre aspettano le Olimpiadi di Pechino, il popolo cinese esprime straordinari livelli di soddisfazione per il modo in cui stanno andando le cose nel loro paese e l’economia della loro nazione. Con più di otto su dieci che hanno una visione positiva di entrambi, la Cina è il numero uno tra i 24 Paesi riguardo ai due parametri del sondaggio 2008 del Pew Research Center del Project Pew Global Attitudes.“(12)
Per inciso, Pew rileva che “la soddisfazione cinese su questi aspetti della vita è migliorata solo in misura modesta negli ultimi sei anni, nonostante il drammatico aumento delle valutazioni positive delle condizioni e dell’economia nazionali.”(12) Mentre le masse cinesi celebrano il recente rapido aumento del livello di vita della nazione, la longevità della loro soddisfazione riflette un rapporto più profondo con lo Stato.
Tra le scoperte più interessanti del Pew, vi era il livello di persone che in Cina si preoccupano della crescente disuguaglianza di reddito. Mentre la disuguaglianza è la preoccupazione principale per le masse espropriate nei paesi capitalisti, i ricchi non si preoccupano per nulla della disuguaglianza dei redditi, in quanto costituisce la pietra angolare della loro classe. Le masse cinesi, però, rispondono a questa preoccupazione critica in modo molto diverso. Pew trova:
Circa nove su dieci (89%) identificano il divario tra ricchi e poveri come un problema grave e il 41% lo cita come un problema molto grande. Le preoccupazioni per la disuguaglianza sono comuni tra ricchi e poveri, vecchi e giovani, uomini e donne, così tra i diplomati che tra quelli meno istruiti. (12) A tale proposito, nonostante la crescita economica, le preoccupazioni per la disoccupazione e le condizioni per i lavoratori sono ampie, con il 68% e 56% rispettivamente che hanno segnalato questi grandi problemi.” (12)
L’universalità delle preoccupazioni circa la disparità di reddito, riguarda anche i cittadini più ricchi, dimostrando la supremazia costante dei valori socialisti in Cina. Norme culturali e valori derivano dalle condizioni materiali e dai rapporti di produzione. Se la Cina è un paese capitalista, la diffusione capillare dei valori socialisti, che attraversano tutti i livelli di reddito, non esisterebbe. Sostenere il contrario significa abbandonare un’analisi materialistica della cultura.
La riuscita avanzata della Cina come una moderna economia industriale, ha posto le basi per “superiori” forme di organizzazione economica socialista.
Il mercato non è un modo di produzione, ma piuttosto, il mercato è una forma di organizzazione economica. Deng spiega bene questa distinzione in una serie di conferenze date nel 1992. Afferma:
La proporzione di pianificazione sulle forze di mercato non è la differenza essenziale tra socialismo e capitalismo. Un’economia pianificata non è equivalente al socialismo, perché è progettata anche sotto il capitalismo, l’economia di mercato non è il capitalismo, perché ci sono i mercati anche nel socialismo. Le forze della pianificazione e del mercato sono entrambi mezzi per controllare l’attività economica.” (13)
I mercati non sono né capitalisti né socialisti, così come la pianificazione economica non è né capitalista né socialista. Entrambe queste forme di organizzazione economica sono solo strumenti della scatola degli attrezzi, e in alcune situazioni, i mercati sono un utile strumento per la costruzione socialista.
Per 30 anni, il PCC ha usato con successo i mercati come strumento per rivoluzionare le forze produttive del paese. Proprio a causa di questo successo, lo stato sta rapidamente muovendosi verso forme più avanzate di organizzazione industriale socialista, per sostituire il meccanismo di mercato.
Il socialismo di mercato è stato implementato nel settore agricolo con lo stesso obiettivo della NEP di Lenin: espandere in modo aggressivo e modernizzare la produzione alimentare. Tuttavia, il PCC ha introdotto i mercati come strumento per costruire il socialismo, piuttosto che come modalità permanente di funzionamento dell’organizzazione economica. Questa è una distinzione molto importante, perché significa che le riforme del mercato sono viste da Deng e dal PCC come una forma transitoria di ‘basso socialismo’, per usare un termine di Marx, che avrebbero sostituito con l’agricoltura collettivizzata, dopo che le condizioni materiali si fossero modificate. Deng lo spiega in un discorso al Comitato Centrale nel maggio 1980. Intitolato “Su questioni di politica rurale“, Deng risponde alle preoccupazioni sulle riforme contemporanee del mercato nel settore agricolo:
E’ certo che, finché la produzione si espande, la divisione del lavoro aumenta e l’economia si sviluppa bene, le forme inferiori di collettivizzazione nelle campagne si svilupperanno in forme più alte e l’economia collettiva acquisirà una base più solida. Il compito principale è espandere le forze produttive e quindi creare le condizioni per l’ulteriore sviluppo della collettivizzazione.” (14)
Deng comprende che costruire un’economia socialista agricola in grado di soddisfare le esigenze dell’enorme popolazione della Cina, richiede lo sviluppo delle forze produttive nelle campagne, che i mercati potrebbero compiere. Solo dopo aver rivoluzionato le forze produttive di tutto il paese, si potrebbero porre le basi materiali perché esista una economia pienamente collettiva del  ‘socialismo superiore’.
Mao ha detto che “La pratica è il criterio della verità“, e dopo 30 anni di pratica, le dichiarazioni di Deng si sono avverate. Nel 2006, il PCC ha annunciato una riforma rivoluzionaria della campagna cinese, e ha promesso di usare la ricchezza appena acquisita dalla Cina per trasformare le zone rurali in quello che il presidente Hu Jintao chiama una “nuova campagna socialista”. (15) Anche oggi, la maggior parte della popolazione cinese rimane nella provincia rurale del paese, ma l’applicazione di tecniche agricole moderne e di pratiche agricole meccanizzate hanno generato un netto avanzo della produzione di grano in Cina. Tra le numerose disposizioni di questa nuova politica, la nuova politica rurale della Cina promette “un aumento sostenuto dei redditi degli agricoltori, più il supporto industriale all’agricoltura e lo sviluppo rapido dei servizi pubblici“. (15) Ulteriori disposizioni permettono agli studenti contadini di ricevere “libri di testo gratuiti e sussidi di studio” e lo Stato “aumenterà i sussidi alle cooperative sanitarie rurali.” (15)
I massicci investimenti statali in infrastrutture agricole sono “un cambiamento significativo del precedente focus nello sviluppo economico“. (15) A causa del successo della modernizzazione, “si da maggiore peso alla redistribuzione delle risorse e al riequilibrio dei redditi.” (15) Invece di visualizzare il socialismo di mercato come un fine in sé, il PCC ha sfruttato il mercato come mezzo per generare una base industriale sufficiente a costruire il ‘socialismo superiore’. La straordinaria crescita del PIL dello Cina e lo sviluppo tecnologico attraverso il socialismo di mercato, consente di attuare tali rivoluzionari cambiamenti radicali.
Per l’assistenza sanitaria, Austin Ramzy di Time Magazine ha riferito, nell’aprile 2009, che “la Cina sta ponendo dei piani per riformare radicalmente il suo sistema sanitario, ampliando la copertura a centinaia di milioni di contadini, lavoratori migranti e residenti nelle città.” (16) I piani sono basati sulla spesa di “125 miliardi dollari nei prossimi tre anni per sviluppare migliaia di cliniche e ospedali, e per l’espansione della copertura sanitaria di base al 90% della popolazione.” (16) Invece di una inversione delle riforme  dell’era di Deng, la Cina ritorna verso la salute pubblica, logica evoluzione del sistema sanitario più moderno ed espansivo, realizzato attraverso 30 anni di socialismo di mercato.
Mentre il capitale straniero entrava in Cina, le corporations dei paesi imperialisti erano attratte dal grande bacino di lavoro della Cina, sfruttando alcuni lavoratori cinesi attraverso rapporti di produzione capitalistici. Lo sfruttamento dalle società estere costituisce una contraddizione importante nell’economia cinese, con il PCC che ha adottato misure concordate verso la sua soluzione. Mentre tutte il popolo della Cina conserva l’accesso a beni e servizi essenziali, come l’assistenza alimentare e sanitaria, il PCC pone delle restrizioni nei luoghi in cui operano le società straniere in Cina, limitando fortemente il loro potere politico-economico in Cina.
Lungi dall’abbandonare i lavoratori cinesi nel perseguimento della modernizzazione, il PCC ha annunciato il progetto di legge sul Contratto di Lavoro del 2006, per proteggere i diritti dei lavoratori alle dipendenze delle aziende straniere, assicurando il TFR e la messa fuori legge del lavoro senza contratto, che li renderebbe dei possibili sweatshops. Violentemente contrastata da Wal-Mart e da altre società occidentali, “le società straniere non attaccano la normativa perché fornisce ai lavoratori troppo poca protezione, ma perché ne fornisce troppa“. (17) Tuttavia, il progetto di legge sul Contratto di Lavoro, in cui “ai datori di lavoro è richiesto di contribuire ai conti previdenziali dei propri dipendenti, e d’impostare norme salariali per i lavoratori in tirocinio e gli straordinari“, è stato promulgato nel gennaio 2008. (18)
La recente serie di controversie sul lavoro tra lavoratori cinesi e società straniere, testimoniano l’orientamento verso la classe operaia dello stato cinese. In risposta agli scioperi diffusi nelle fabbriche e negli impianti di produzione degli occidentali, il PCC ha intrapreso una politica aggressiva di supporto dei lavoratori cinesi e sostiene le loro richieste di aumento dei salari. Il governo regionale di Beijing ha elevato il salario minimo due volte in sei mesi, tra cui un aumento del 21% alla fine del 2010. (19) Nell’aprile di quest’anno, il PCC ha annunciato degli aumenti salariali annuali del 15%, “promettendo di raddoppiare i salari dei lavoratori durante il 12° piano quinquennale, dal 2011 al 2015.” (20)
I grandi aumenti dei salari e dei benefici per i lavoratori cinesi, in particolare i lavoratori migranti, è un duro colpo per le società straniere e rende la Cina un hub di manodopera a basso costo decisamente meno attraente per gli investitori stranieri. (21) Contrariamente alle azioni di uno Stato capitalista di fronte alle agitazioni operaie, che in genere consiste in piccole riforme o nella repressione brutale, la risposta della Cina è stata lanciare un’offensiva contro l’accumulazione della ricchezza delle società straniere, costringendole a pagare salari sostanzialmente più elevati.
Lo stato è uno strumento di oppressione di classe. Gli stati borghesi a malincuore compiono le riforme per la classe operaia, come il salario minimo, quando nessun altra azione è possibile. Il loro orientamento è verso il miglioramento delle condizioni della borghesia e la subordinazione del lavoro al capitale. Gli Stati proletari hanno il coraggio di sostenere e rispondere immediatamente alle esigenze collettive dei lavoratori, perché costituiscono la classe dirigente nella società. Una maggiore disponibilità da parte del PCC nell’affrontare e attaccare il capitale straniero nell’interesse della classe operaia, è il prodotto deliberato del successo del socialismo di mercato nello sviluppo delle forze produttive della Cina. Dopo aver risolto la contraddizione primaria delle forze produttive arretrate, il PCC sta preparando il terreno per la contraddizione tra capitale straniero e lavoro.
Per quanto riguarda invece la situazione macroeconomica, l’applicazione del socialismo di mercato della Cina ha portato a gravi disparità di reddito. Mentre è senza dubbio un difetto del ‘socialismo inferiore’, lo stato cinese prende molto sul serio questa contraddizione e ha annunciato una inedita campagna di spesa pubblica nel marzo 2011, volta a colmare il divario dei redditi. (22) Aumentando la spesa pubblica del 12,5% nel prossimo anno, il PCC assegnerà risorse pubbliche enormi “per l’istruzione, la creazione di posti di lavoro, i bassi redditi, gli alloggi, l’assistenza sanitaria, le pensioni e le altre assicurazioni sociali.” (22) Lungi dall’essere una mossa studiata per placare eventuali disordini sociali, questa spinta monumentale della spesa sociale dimostra l’orientamento costante dello stato cinese verso le classi proletaria e contadina.
Una posizione corretta sulla Cina richiede prima di tutto un esame globale della economia del paese, collocato nel contesto del percorso del PCC verso la modernizzazione. Concentrarsi troppo sull’economia di mercato della Cina e i suoi difetti, offusca i fatti più importanti, e cioè che la classe operaia e i contadini ancora dominano la Cina attraverso il PCC, e il successo della modernizzazione attraverso l’economia di mercato ha aperto la strada per ‘il socialismo superiore’.
La Cina applica il socialismo di mercato nei suoi rapporti con il Terzo Mondo, e svolge un ruolo importante nella lotta contro l’imperialismo.
Capire che i mercati sono un strumento neutro e non-intrinseco al capitalismo, e utilizzabile da capitalisti e socialisti è fondamentale per analizzare correttamente la posizione internazionale della Cina. A differenza delle caratteristiche dell’imperialismo-colonialismo, del neocolonialismo, del super-sfruttamento e della dipendenza, il socialismo di mercato della la Cina promuove la cooperazione, il progresso collettivo, l’indipendenza e lo sviluppo sociale. (23)
Anche se fonti di informazione borghesi denunciano i rapporti economici della Cina con l’Africa come ‘imperialistici’, questo è un riflesso della mentalità commerciale occidentale, che non riesce a capire le eventuali relazioni economiche in termini diversi dallo sfruttamento spietato. Il premier Wen Jiabao ha detto, in un vertice del 2006 al Cairo, che le relazioni commerciali cinesi-africane sono progettate per “aiutare i paesi africani a svilupparsi da soli e a offrire formazione ai professionisti africani”. (24) L’obiettivo del vertice, secondo Wen, è “la riduzione e la liquidazione dei debiti, l’assistenza economica, la formazione del personale e gli investimenti da parte delle imprese“(24), Wen continua:
Sul fronte politico, la Cina non interferisce negli affari interni dei paesi africani. Noi crediamo che i paesi africani hanno il diritto e la capacità di risolvere i propri problemi.”(24)
Questo non è l’atteggiamento dell’imperialismo. La dichiarazione di Wen, qui, nemmeno riflette la retorica dell’imperialismo. Gli Stati Uniti e i loro alleati in Europa, difendono costantemente il loro diritto di perseguire i propri interessi nelle altre nazioni, in particolare quelle nazioni che hanno ricevuto un sostanziale capitale occidentale. L’approccio della Cina è notevolmente diverso, in quanto utilizza il commercio come mezzo di sviluppo delle infrastrutture sociale africane sottosviluppate a causa di secoli di oppressione coloniale occidentale, e funziona soprattutto con una politica di non intervento. Ciò riflette l’impegno del PCC nella comprensione marxista-leninista dell’autodeterminazione nazionale.
I rapporti della Cina con l’Africa riflettono questi principi nella pratica.  Nel novembre 2009, la Cina ha promesso 10 miliardi di dollari in “prestiti preferenziali diretti verso programmi infrastrutturali e sociali” in tutto il continente africano. (25) Oltre a fornire le risorse per lo sviluppo infrastrutturale, “il finanziamento sarebbe servito ad eliminare i debiti” e “aiutare gli Stati ad affrontare il cambiamento climatico.” (25) Questi nuovi prestiti rappresentano un aumento del 79% negli investimenti diretti cinesi, che nella maggior parte si presentano sotto forma di “imprese cinesi per la costruzione di strade, porti, ferrovie, abitazioni e oleodotti.” (25)
Geopoliticamente, la Cina offre un campo internazionale completamente separato per le nazioni in conflitto con l’imperialismo degli Stati Uniti. Mentre gli Stati Uniti accrescono le tensioni con il Pakistan e continuano a violare la sua sovranità nazionale, sulla scia dell’assassinio di Osama bin Ladin, la Cina ha annunciato il 19 maggio 2011 che sarebbe rimasta un “partner affidabile” del Pakistan. (26) Il Premier Wen ha aggiunto, “l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale del Pakistan devono essere rispettati.” (26) Assieme ad un editoriale pubblicato lo stesso giorno, sul China Daily, il giornale ufficiale dello stato della Cina, dal titolo “Le azioni degli Stati Uniti violano il diritto internazionale“, su cui si possono facilmente vedere le gigantesche discrepanze tra il campo imperialista e la Cina. (27) Queste posizioni sono praticamente identiche alla minoranza degli accademici di sinistra negli Stati Uniti, come Noam Chomsky, e in netto contrasto con qualsiasi resoconto dominante sul coinvolgimento militare degli Stati Uniti in Pakistan.
La Cina ha sempre agito come un baluardo contro l’aggressione degli Stati Uniti verso altri paesi socialisti, come la Corea del Nord e Cuba. (28) (29) Nel vicino Nepal e in India, la Cina ha fornito un sostegno geopolitico alle due insurrezioni comuniste, durante i rispettivi periodi di guerra popolare. (30) (31) Dopo che i maoisti nepalesi hanno vinto le elezioni parlamentari del Paese con una stragrande maggioranza, il Presidente Prachanda ha visitato la Cina, subito dopo avere prestato giuramento come Primo Ministro. (32) Anche in America Latina, la Cina ha forgiato profondi legami economici e militari con il presidente venezuelano Hugo Chavez, mentre il paese continua ad andare avanti nella resistenza all’imperialismo USA e ad avanzare verso il socialismo. (33)
Mentre la Cina ha i suoi difetti riguardo le relazioni con l’estero, in particolare il suo rifiuto di porre il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro la Libia, persegue una politica estera qualitativamente diversa dagli altri paesi capitalisti. In termini di commercio, la Cina promuove l’indipendenza e l’autodeterminazione, laddove l’Occidente promuove dipendenza, sfruttamento e sottomissione. Geopoliticamente, supporta i movimenti popolari genuini contro l’imperialismo e fornisce supporto agli altri paesi socialisti esistenti. Si tratta di una politica estera di cooperazione profondamente influenzata dal marxismo-leninismo.
I marxisti-leninisti nel 21° secolo devono rigorosamente studiare i successi del socialismo cinese.
I paesi che hanno resistito all’assalto della controrivoluzione dopo la caduta dell’Unione Sovietica, devono studiare rigorosamente da marxisti-leninisti del 21° secolo. Ciascuno dei cinque paesi socialisti che persegue diversi percorsi di sopravvivenza offre delle lezioni, ma la Cina ha indiscutibilmente goduto del successo più grande.
Piuttosto che riecheggiare la menzogna controrivoluzionaria dei gruppi trotzkisti e della sinistra-comunista, circa la mancanza della Cina nell’impegnarsi alla loro definizione astratta e utopica di ‘socialismo’, i marxisti-leninisti devono abbracciare la Cina come un riuscito modello di socialismo, il cui potere economico supera quello del più grande dei paesi imperialisti. Alla base di tali falsità dei trotzkisti/sinistra comunista vi è un pessimismo cronico sul socialismo, che riflette il cinismo capitalista verso la rivoluzione proletaria. L’economia socialista della Cina è fiorente e più di 1/5 della popolazione mondiale è stata tolta dalla povertà, e la loro sciocca fazione irrilevante non è ancora al potere! Secondo loro, la Cina starebbe facendo qualcosa di sbagliato!
Naturalmente, i marxisti-leninisti sanno altrimenti. La Cina è un paese socialista ed è probabilmente il maggior successo economico nella storia. Questa realizzazione comporta enormi cambiamenti e dovrebbe spingere i marxisti-leninisti a studiare seriamente il modello e le opere di Deng Xiaoping. Ancora oggi, gli altri paesi socialisti stanno sperimentando variazioni del modello cinese e ottengono successi simili. Se il concetto di socialismo di mercato di Deng è una politica corretta per gli stati proletari che hanno forze produttive gravemente sottosviluppate, allora i rivoluzionari lo devono riconoscere come un contributo significativo al marxismo-leninismo.
Mentre la Cina ascende nella costruzione del ‘socialismo superiore’, i rivoluzionari di tutto il mondo dovrebbero guardare a Oriente per ispirarsi, mentre lottano per liberarsi dalle catene dell’imperialismo e per attualizzare la democrazia popolare.
Viva i contributi universali di Deng Xiaoping al marxismo-leninismo! Stare con le masse cinesi e con il loro partito, nel processo entusiasmante della costruzione socialista! Una rapida vittoria alla rivoluzione proletaria internazionale!
Note
(1) Mobo Gao, The Battle for China’s Past: Mao & The Cultural Revolution, Pluto Press, 2008, pg. 10
(2) Deng Xiaoping, “Uphold the Four Cardinal Principles”, 30 marzo 1979
(3) Deng Xiaoping, “The Working Class Should Make Outstanding Contributions to the Four Modernizations,” 11 ottobre 1978,
(4) V.I. (4) V.I. Lenin, “Role and Function of Trade Unions Under the New Economic Policy”, 30 dicembre 1921 – 4  gennaio 1922,
(5) V.I. Lenin, “The Tax in Kind”, 21 aprile 1921
(6) Deng Xiaoping, “Answers to the Italian Journalist Orianna Fallaci”, 21 agosto e 23 ottobre 1980
(7) Karl Marx, “Critique of the Gotha Programme“, Part I, maggio 1875
(8) Derek Scissors, Ph.D. “Liberalization in Reverse”, 4 maggio 2009, Fondazione Heritage
(9) John Lee, “Putting Democracy in China on Hold,” 28 maggio 2008, Center for Independent Studies
(10) World Bank, World Development Indicators, Gross Domestic Product
(11) Justin McCurry, Julia Kollewe, “China overtakes Japan as world’s second largest economy,” 14 febbraio 2011, The Guardian
(12) Pew Global Attitudes Project, “The Chinese Celebrate Their Roaring Economy as They Struggle with its Costs”, 22 luglio 2008, Pubblicato da The Pew Research Center
(13) Deng Xiaoping, “Excerpts from Talks Given in Wuchang, Shenzhen, Zhuhai and Shanghai”, 18 gennaio – 21 Febbraio, 1992
(14) Deng Xiaoping, “On Questions of Rural Policy”, 31 maggio 1980
(15) Jonathan Watts, “China vows to create a ‘new socialist countryside’ for millions of farmers,” 22 febbraio 2006, The Guardian
(16) Austin Ramzy, “China’s New Healthcare Could Cover Millions More”, 9 aprile 2009, TIME Magazine
(17) Jeremy Brecher, Tim Costello, Brendan Smith, “Labor Rights in China”, 19  dicembre 2006, Foreign Policy in Focus
(18) Xinhua, “New labor contract law changes employment landscape”, 2 gennaio 2008, Quotidiano del Popolo Online
(19) Jamil Anderlini, Rahul Jacob, “Beijing city to raise minimum wage 21%”, 28 dicembre 2010, Financial Times
(20) Caijing, “China Targets at Annualized Wage Rise of 15Pct”, 19 aprile 2011
(21) Zheng Caixiong, “Wage hike to benefit migrant laborers”, 3 marzo 2011,  China Daily
(22) Charles Hutzler, “China will boost spending, try to close income gap”, 6 marzo 2011, Associated Press, pubblicato su boston.com
(23) Dr. Armen Baghdoyan, “Part 1: The Relevance of Marx’s Das Kapital To the Contemporary Chinese Market Economy”, 26 aprile 2011, Nor Khosq
(24) Xinhua, “Chinese premier hails Sino-African ties of cooperation”, 18 giugno 2006 China View
(25) Mike Pflanz, “China’s $10 billion loan for African development ‘motivated by business not aid’”, 8 novembre 2009, The Telegraph
(26) Li Xiaokun, Li Lianxiag, “Pakistan assured of firm support”, 19 maggio 2011, China Daily
(27) Pan Guoping, “US action violates international law”, 19 maggio 2011, China Daily
(28) Andrew Salmon, “China’s support for North Korea grounded in centuries of conflict”, 26 novembre  2010, CNN
(29) Reuters, “China restructures Cuban debt, backs reform”, 23 dicembre 2010
(30) M.D. Nalapat, “China support spurs power grab by Maoists”, 4 maggio 2009, United Press International
(31) RSN Singh, “Maoists: China’s Proxy Soldiers”, luglio – settembre 2010,  Indian Defence Review, Vol. 25, Issue 3
(32) The Times of India, ”After Maoists, China woos Nepal’s communists”, 16 aprile 2009
(33) Simon Romero, “Chávez Says China to Lend Venezuela $20 Billion”, 18 aprile 2010, The New York Times.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Nessun commento:

Posta un commento