giovedì 27 novembre 2014

Evo Morales: «Un governo di luna piena»



Bolivia. Il viaggio del presidente indigeno, dal Vaticano allo stadio, dalla Fao alla Sapienza dove lo abbiamo incontrato
Evo Morales alla partita della Roma
Evo Mora­les a tutto campo, da quello poli­tico a quello cal­ci­stico. Nel suo viag­gio in Ita­lia, il primo pre­si­dente indi­geno della Boli­via non si è rispar­miato niente: dall’Incontro mon­diale con i movi­menti popo­lari e con papa Fran­ce­sco, a quello alla Sapienza con stu­denti e docenti, al «Dia­logo sulla nutri­zione» del G77 alla Fao, pas­sando per la par­tita allo sta­dio. Un pre­si­dente col vento in poppa orien­tato dalle cifre: quelle della sua terza rie­le­zione a grande mag­gio­ranza e quelle della cre­scita eco­no­mica, san­ti­fi­cate dal Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale e dalla Banca mondiale.
Quanto basta per spin­gere anche i grandi media ad abbas­sare per un istante il soprac­ci­glio sem­pre alzato verso «i popu­li­smi lati­noa­me­ri­cani», e a toglierlo dalla lista dei soliti invisi (Cuba, Vene­zuela e en pas­sant l’Argentina che alza la testa con­tro i fondi avvol­toi). E poco importa se, solo un anno fa, quello stesso Mora­les veniva trat­tato dall’Europa come un qua­lun­que fur­fante: per il sospetto di aver nasco­sto sul suo aereo pre­si­den­ziale l’uomo più ricer­cato del momento, la fonte del Data­gate Edward Sno­w­den. In quell’occasione, i paesi socia­li­sti dell’America latina ave­vano fatto blocco, spal­leg­giando la Boli­via, e Mora­les aveva poi ampli­fi­cato la soli­da­rità ricevuta.
Anche in que­sto viag­gio, il pre­si­dente boli­viano ha messo l’accento sui legami di inter­scam­bio sud-sud che pra­tica il suo paese all’interno del con­ti­nente: «Siamo diversi, ognuno ha il suo pro­getto e la sua sto­ria, ma con un orien­ta­mento comune sia sul piano nazio­nale che a livello di inte­gra­zione regio­nale – ha detto al mani­fe­sto – Sono stato alla pre­si­denza pro-tempore di Una­sur, abbiamo rag­giunto l’unità sulla base di prin­cipi che ven­gono dal nostro pas­sato. Un’attitudine che fa paura a Washing­ton e che si è messa in moto nel 2004, quando Fidel, Hugo e Nestor Kirch­ner hanno scon­fitto il pro­getto dell’Alca, l’Accordo di libero com­mer­cio: che si dovrebbe chia­mare accordo di libero e pri­vato pro­fitto, così come ora è l’Accordo del paci­fico. E mi chiedo: che cosa ci fa Michelle Bache­let, una pre­si­dente che si dice socia­li­sta e che è stata votata dagli ope­rai in quella alleanza? La vera spe­ranza è quella rea­liz­zata dagli esclusi di ieri».
Un cam­bia­mento evi­den­ziato dall’arrivo alla pre­si­denza dei «guer­ri­glieri che si sono bat­tuti con­tro le dit­ta­ture oggi sono al governo»: da Daniel Ortega in Nica­ra­gua, a Pepe Mujica in Uru­guay a San­chez Céren in Sal­va­dor, a Dilma Rous­seff in Brasile.
E anche se oggi «le rivo­lu­zioni non si fanno con le armi ma con la coscienza dei popoli», il cam­bia­mento in corso in Ame­rica latina è di carat­tere strut­tu­rale. In Boli­via — ha rispo­sto ancora Mora­les — si basa sul con­trollo delle risorse e su «un’alleanza di classe che ha dato allo stato una sostanza e una legit­ti­mità che prima non aveva. Un’alleanza costruita durante anni di lotta sin­da­cale, che ha por­tato a un’unità elet­to­rale capace di arri­vare al potere e ha man­te­nuto la matu­rità suf­fi­ciente per rimet­tere insieme quando occorre anche com­po­nenti della sini­stra che di solito si respin­gono come l’acqua e l’olio».
Un cam­bio di indi­rizzo per­fino nelle ric­che zone della Boli­via che la destra defi­ni­sce «la mez­za­luna» e che ora hanno votato Mora­les: «E così ora la luna è diven­tata piena — scherza il pre­si­dente, ma glissa sulla nostra domanda a pro­po­sito della for­ma­zione di una «nuova bor­ghe­sia aymara» e sulle cri­ti­che avan­zate da certi set­tori della sini­stra boliviana.
«Prima per Washing­ton ero il bin Laden andino, ora mi invi­tano nelle uni­ver­sità Usa a spie­gare il nostro modello di cre­scita che ha evi­tato il ricatto dell’Fmi», ha detto Mora­les durante la con­fe­renza “Soli­da­rietà, com­ple­men­ta­rietà e auto­de­ter­mi­na­zione dei popoli”, intro­dotta dal pro­fes­sor Luciano Vasa­pollo. Per rag­giun­gere que­sti risul­tati — ha detto ancora il pre­si­dente — «abbiamo dovuto libe­rarci dello Stato colo­niale e di un pro­blema serio: la costante minac­cia paven­tata dagli Stati uniti che, se aves­simo fatto a modo nostro, nes­suno avrebbe più inve­stito in un paese men­di­cante e mal­vi­sto come la Bolivia».
Ma, ancora una volta, a infon­dere corag­gio sono stati i pre­si­denti socia­li­sti, allora Fidel Castro a Cuba e Hugo Cha­vez in Vene­zuela: «Evo, nazio­na­lizza, non avere paura, mi hanno detto». E il modello è risul­tato vincente.
Nazio­na­liz­zando il set­tore degli idro­car­buri, il socia­li­smo andino ha ridi­stri­buito le risorse mediante buoni e dona­zioni, con il soste­gno di leggi che «oggi con­sen­tono a quasi il 50% delle donne di gestire pro­prie unità pro­dut­tive, men­tre prima non pote­vano inte­starsi nulla e che le hanno por­tate a con­di­vi­dere il governo del paese». Misure che si arti­co­lano a par­tire dai prin­cipi ance­strali «non essere pigro, né ladro, né bugiardo», ha detto ieri Mora­les alla Fao e che pon­gono al cen­tro «i diritti col­let­tivi con­tro la pri­va­tiz­za­zione dei beni comuni, in primo luogo la terra, l’acqua e il cibo, e la sovra­nità alimentare».
Un modello «indi­pen­dente dalle dona­zioni esterne, dal loro ricatto e dai costi», ha spie­gato ancora Mora­les ricor­dando la situa­zione che ha tro­vato appena arri­va­toal governo: «per il grano dipen­de­vamo dagli Stati uniti» e dalle grandi imprese che pote­vano mani­po­lare il mer­cato a loro pia­ci­mento. Allora, oltre ad aver inse­gnato «a uti­liz­zare il nostro cibo indi­geno, la qui­nua, ho tele­fo­nato a Cri­stina Kirc­k­ner e le ho detto: guarda che i grin­gos mi vogliono tagliare il grano, dam­melo tu. E lei lo ha fatto e per que­sto la rin­gra­zio». Da allora, «la qui­nua è entrata nel palazzo e ce la richie­dono anche all’estero e ci siamo svin­co­lati dal ricatto economico».
Un modello di eco­no­mia comu­ni­ta­ria basato sul rap­porto diretto tra pic­coli pro­dut­tori e stato: senza inter­me­diari che spe­cu­lano e per que­sto buon motore della sovra­nità alimentare.

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