Fonte: La Voce della Russia
Indubbiamente, l’incalzante crisi economica russa, il
crollo del rublo, la caduta del prezzo del petrolio e l’aumento dei
costi stimati per il progetto da dieci a trenta miliardi di dollari (e
forse più) hanno sicuramente avuto la loro parte ma la rinuncia al
gasdotto che avrebbe portato il gas russo direttamente in Europa
saltando l’Ucraina avrà delle ricadute molto più gravi per noi che per
la Russia.
Non è un caso che Putin ne abbia fatto
l’annuncio durante il suo incontro in Turchia con Erdogan perché questa
circostanza rende il nostro problema più facilmente identificabile. Le
sue parole non hanno formalmente chiuso del tutto all’ipotesi di
riprendere il progetto qualora l’Unione Europea dovesse mostrare un
atteggiamento meno ostativo e proprio l’otto dicembre il responsabile
europeo per l’energia, il sig. Sefcovic, ha cercato di recuperare la
situazione affermando che il progetto potrebbe essere salvato. Tuttavia
questa possibilità resta, secondo noi, estremamente improbabile. Che
cosa hanno concordato i due leader ad Ankara? Esattamente le decisioni
che contribuiranno alla nostra ulteriore marginalizzazione.
Primo:
il percorso del gas sotto il Mar Nero, invece che verso la Bulgaria,
sarà dirottato sulla Turchia, pur mantenendo la stessa capacità di 63
miliardi di metri cubi di cui 15 miliardi destinati alla sola Turchia. Secondo:
Ankara comincerà, da subito, a ricevere tre miliardi di metri cubi
annui che si aggiungeranno ai quattordici miliardi già destinati
attraverso l’esistente gasdotto Blue Stream. Terzo: il prezzo di questo gas subirà immediatamente uno sconto del 6% sui valori precedentemente in vigore. Quarto:
i due Paesi hanno concordato di aumentare reciproco commercio e
investimenti soprattutto nei settori agricolo, metallurgico,
dell’industria leggera e dell’high-tech. E questo in barba a sanzioni e
contro-sanzioni. Quinto: La
Bulgaria perderà i 500 milioni di dollari annui previsti come fee per il
transito sul suo territorio e, in più, l’indotto economico che ne
sarebbe derivato. Sesto: anche
Ungheria e Serbia, già convinte di godere di un simile ritorno, dovranno
por fine al proprio sogno e cominciare a guardare verso fonti di
rifornimento alternative. Inoltre l’Ungheria non diventerà il nuovo hub
europeo che aveva immaginato poter essere. Settimo: la nostra Saipem ha annunciato che la cancellazione del progetto causerà alla società una perdita di 2 miliardi di dollari. Ottavo:
dopo il fallimento del progetto Nabucco, l’Europa aveva ricominciato a
corteggiare il gas turkmeno e, considerata la possibile fine di sanzioni
verso l’Iran, contava anche sul gas iraniano, come alternativa a quello
russo, per dare capacità sufficiente a un nuovo gasdotto
trans-anatolico. La realizzazione del raddoppio di Blue Stream con la
Turchia renderà meno allettante per quest’ultima valutare altre ipotesi
che sarebbero, d’altronde, oramai superflue e inutilmente costose per i
possibili finanziatori. Addio quindi al pensiero di poter contare sulla
Turchia quale transito per altro gas non russo (oltre a quello azero già
disponibile) destinato all’Europa. Nono:
si ridimensiona il ruolo svolto dalla nostra Eni che, anche grazie a
South Stream, era diventata un interlocutore centrale per la russa
Gazprom e per il Governo di Mosca.
Fin qui le
conseguenze più immediate. Se consideriamo però anche il futuro politico
sul breve e medio temine, dovremo mettere in conto una crescente
disaffezione di ungheresi e bulgari verso quell’Europa che ha loro
imposto questa situazione. Infine, ciliegina sulla torta, una Turchia
che sta già inseguendo da tempo una propria politica, sempre meno in
linea con l’Europa e con l’Occidente in generale, diventerà sempre più
autonoma e meno sensibile alle nostre lusinghe. Infatti, oltre a
diventare un ulteriore soggetto in grado di ricattarci sulle nostre
forniture energetiche, trasformerà la sua secolare ostilità verso la
Russia in una mutua collaborazione che non potrà mancare di avere
ripercussioni geopolitiche.
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