Lunedì primo dicembre il Presidente russo Vladimir Putin, in visita ufficiale in Turchia, ha annunciato che il progetto “South Stream” non sarà più realizzato,
a causa di una serie di difficoltà che Putin ha imputato all’Unione
Europea. South Stream è il gasdotto che, passando sotto il Mar Nero,
avrebbe dovuto collegare la Russia direttamente all’Europa – alla
Bulgaria in particolare, sottraendo parte delle forniture di gas russe
al transito in Ucraina.
Anche se il progetto esiste da molti anni, il consorzio per la sua realizzazione è stato costituito solo nel 2008 con un accordo tra Gazprom ed ENI,che
avrebbero partecipato in maniera paritetica. Il progetto è stato
concepito in un periodo in cui il prezzo del petrolio (cui quello del
gas è legato tramite indicizzazione, almeno per quanto riguarda i contratti di fornitura take or pay,
diffusi soprattutto tra gli operatori europei) era al suo massimo
storico, raggiunto l’11 luglio 2008 a 147.27 dollari al barile. I
consumi di gas in Europa erano inoltre in forte crescita e si pensava
che quel trend sarebbe continuato negli anni a venire. Nel settembre
2008 però, è fallita Lehman Brothers: da quel punto è iniziata la crisi
economica uno dei cui effetti è stata l’importante diminuzione di domanda di energia e di idrocarburi in Europa.
Anche i consumi sono cambiati in seguito al picco del prezzo del
petrolio: le persone hanno iniziato ad acquistare automobili meno
potenti e le case costruttrici a realizzare modelli con consumi
inferiori.
A questi due elementi, la crisi e i
nuovi consumi energetici, se n’è aggiunto un terzo che però ha avuto un
impatto altrettanto forte sui mercati energetici mondiali: il boom dello shale gas negli Stati Uniti,
per cui oggi l’America non ha più bisogno di importare GNL e si avvia
anzi ad esportarne. Un’opera come South Stream ha quindi perso, in
parte, il suo senso economico: il gasdotto ha un costo molto elevato, che non sembra giustificato dalle attuali necessità europee.
Anche il senso politico dell’opera è stato messo in dubbio: la diversificazione,
nel caso di South Stream, è più interessante per la Russia, che
potrebbe così evitare l’Ucraina, Paese di transito con cui ha un
rapporto non facile, che non per l’Europa, la cui fonte di gas
rimarrebbe la stessa. Anche per questo la Commissione non ha nascosto di
preferire il progetto Nabucco, per portare in Europa gas dall’area del Caspio (soprattutto dall’Azerbaigian).
Cosa cambia per l’Italia con la fine del progetto? ENI era coinvolta al 50%, ma è scesa in seguito al 20%, che in realtà è quasi tutta una percentuale Saipem, ormai ex controllata di ENI e vincitrice dell’appalto per la realizzazione del tratto sottomarino del gasdotto,
molto complessa a causa di profondità e lunghezza. In seguito
all’annuncio di Putin, Saipem ha perso oltre 8 punti sulla Borsa di
Milano. Il Presidente russo ha però annunciato, insieme alla fine del
progetto South Stream, la possibile realizzazione di un gasdotto verso la Turchia (ne esiste già uno, Blue Stream), con lo stesso punto di partenza. Saipem potrebbe quindi essere tutelata rientrando nella costruzione di questa nuova opera.
Per quanto riguarda la sicurezza energetica,
la diversificazione delle fonti è un elemento fondamentale. L’Italia in
questo senso ha scelto di preferire, come confermato anche dal Ministro
Federica Guidi, il TAP, Trans Adriatic Pipeline,
attraverso cui sarà possibile ricevere gas dalla Turchia e quindi
indirettamente dal Caspio. La stessa ENI sembra aver modificato la
propria strategia, attuando uno spostamento di interessi dall’est verso l’Africa, dove la compagnia petrolifera italiana ha recentemente scoperto un rilevante giacimento di gas in Mozambico.
La mossa russa, secondo diversi commentatori, è una risposta politica all’imposizione delle sanzioni
economiche da parte europea, decise lo scorso luglio e molto dure nei
confronti della già fragile economia russa, provata dal perdurare dei
bassi prezzi del petrolio: proprio la settimana scorsa l’OPEC ha deciso di non tagliare la produzione e dunque di lasciare scendere ulteriormente il prezzo del greggio.
In questo senso, Mosca sembra essere alla ricerca di una politica
energetica diversa, in cui il ruolo europeo possa essere ridimensionato.
Un andamento confermato anche dai recenti contratti conclusi con la
Cina.
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