"Questa verità è rovesciata dai giornalisti, anche quelli che hanno avallato le bugie che hanno permesso il bagno di sangue in Iraq nel 2003"
Traduzione a cura di Maria Chiara Starace, Z Net Italy
Questo era il discorso di John Pilger al Logan Symposium su: “Costruire un’alleanza contro il volere tenere nascoste le cose, contro la sorveglianza e la censura”, organizzato dal Centro per il giornalismo investigativo, a Londra dal 5 al 7 dicembre 2014.
Perché così tanto giornalismo si è arreso alla propaganda? Perché la censura e l’alterazione delle notizie sono una pratica normale? Perché la BBC è un portavoce del potere rapace? Perché il New York Times e il Washington Post ingannano i loro lettori?
Perché ai giovani giornalisti non si insegna a capire i programmi dei
media e a contestare le alte pretese e il basso scopo della finta
obiettività? E perché non si insegna loro che l’essenza dei media
correnti non è l'informazione, ma il potere?
Queste sono domande urgenti. Il mondo si trova davanti alla
prospettiva di una guerra importante, forse una guerra nucleare – con
gli Stati Uniti chiaramente decisi a isolare e a provocare la Russia e
la Cina. Questa verità sta venendo capovolta e rovesciata dai
giornalisti, compresi quelli che hanno promosso le bugie che hanno
provocato il bagno di sangue in Iraq nel 2003.
I tempi in cui viviamo sono così pericolosi e così distorti nella
percezione pubblica che la propaganda non è più, come la chiamava Edward
Bernays, un “governo invisibile”. E’ il governo. Governa direttamente
senza paura di contraddirsi e il suo scopo principale è la conquista
delle nostre menti: del nostro senso del mondo, della nostra abilità di
separare la verità dalle bugie.
L’era dell’informazione è in realtà un’era dei media.
Abbiamo la guerra presentata dai media, la demonologia fatta dai media,
la retribuzione fatta dai media, la distrazione offerta dai media – una
surreale catena di montaggio di cliché obbedienti e di false
supposizioni.
Nel 2003, ho filmato un’intervista a Washington con Charles Lewis,
l’illustre giornalista americano specializzato in inchieste. Avevamo
discusso dell’invasione dell’Iraq pochi mesi prima. Gli ho chiesto: “Che
cosa sarebbe successo se i media più liberi del mondo avessero
contestato seriamente George Bush e Ronald Rumsfeld e avessero indagato
sulle loro dichiarazioni, invece di diffondere quella che si è rivelata
essere propaganda esplicita?"
Ha risposto che se noi giornalisti avessimo fatto il nostro lavoro, “ci sarebbe stara un’ottima probabilità che non saremmo andati in guerra in Iraq.”
Questa è un’affermazione sconvolgente, e appoggiata da altri famosi
giornalisti ai quali ho posto la stessa domanda. Dan Rather che prima
lavorava alla rete televisiva CBS, mi ha dato la stessa risposta. David
Rose del quotidiano The Observer, e esperti giornalisti e produttori
della BBC, che hanno voluto restare anonimi, mi hanno dato la stessa
risposta.
In altre parole: se i giornalisti avessero fatto il loro
lavoro, avessero fatto domande e avessero indagato sulla propaganda,
invece di amplificarla, centinaia di migliaia di uomini, donne, e
bambini adesso sarebbero vivi; e milioni forse non sarebbero
fuggiti dalle loro case, forse non si sarebbe “accesa” la guerra
settaria tra Sunniti e Sciiti e l’infame Stato Islamico forse ora non
esisterebbe.
Anche ora, malgrado i milioni di persone scese in strada per
protestare, la maggior parte della gente delle nazioni occidentali ha
poca idea della vera e propria portata del crimine commesso dai nostri
governi in Iraq. Un numero anche minore è consapevole che, nei 12 anni
prima dell’invasione, i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna hanno
avviato un olocausto negando alla popolazione civile dell’Iraq i mezzi
per vivere.
Quelle sono state le parole dell’alto funzionario britannico
responsabile delle sanzioni imposte all’Iraq negli anni ’90 – un assedio
di tipo medievale che ha causato la morte di mezzo milione di bambini
al di sotto dei 5 anni, ha riferito l’UNICEF. Il nome del funzionario è
Carne Ross. Al Ministero degli Affari Esteri a Londra era noto come
”Mister Iraq”. Oggi è colui che dice la verità su come i governi
ingannano e su come i giornalisti diffondono volentieri l’inganno. “Di
solito fornivamo ai giornalisti delle notiziole segrete sterilizzate,”
mi ha detto, “oppure li escludevamo.”
La talpa principale durante questo terribile periodo di silenzio era
Dennis Halliday. Allora Segretario Generale delle Nazioni Unite e poi
alto funzionario dell’ONU in Iraq, Halliday si è dimesso piuttosto che
attuare politiche che definiva genocide. Ha stimato che le sanzioni
hanno ucciso più di un milione di iracheni.
Quello che è accaduto ad Halliday è stato istruttivo. E’ stato
ignorato. Oppure è stato diffamato. Sul programma della BBC che si
chiama Newsnight (programma di approfondimento di notizie), il
conduttore Jeremy Paxman ha urlato ad Halliday: “Non sei soltanto un difensore di Saddam Hussein?” Il quotidiano The Guardian
ha descritto l’episodio come uno dei “momenti memorabili” di Paxman. La
settimana scorsa Paxman ha firmato un contratto di 1 milione di dollari
per un libro.
Le ancelle della repressione hanno fatto bene il loro lavoro. Consideratene
gli effetti. Nel 2013, un sondaggio dell’agenzia britannica ComRes ha
trovato che una maggioranza del pubblico britannico credeva che il
bilancio delle vittime in Iraq fosse meno di 10.000 – una minuscola
frazione della verità. Una scia di sangue che va dall’Iraq a Londra è
stata quasi ripulita.
Si dice che Rupert Murdoch sia il padrino della mafia dei media e
nessuno dovrebbe dubitare dell’accresciuto potere dei suoi giornali –
tutti e 127, con una circolazione totale di 40 milioni, e della sue rete
televisiva Fox. Però l’influenza dell’impero di Murdoch non è maggiore
del riflesso dei media più ampi.
La propaganda più efficace non si trova solo sui quotidiani Sun
o sul canale televisivo Fox News. Quando il New York Times ha
pubblicato le affermazioni che Saddam Hussein aveva le armi di
distruzione di massa, si è creduto alle sue false prove perché era il
New York Times a sotenerlo.
La stessa cosa vale per il Washington Post e per il Guardian,
entrambi i quali hanno svolto un ruolo centrale nel condizionare i loro
lettori ad accettare una nuova e pericolosa guerra fredda. Tutti
e tre i giornali liberal hanno rappresentato in modo errato gli
avvenimenti in Ucraina come un atto malefico da parte della Russia –
quando, di fatto, il colpo di stato condotto da fascisti in Ucraina, è
stato opera degli Stati Uniti aiutati dalla Germania e dalla NATO.
Questo capovolgimento della realtà è così pervasivo che
l’accerchiamento militare di Washington e l’intimidazione della Russia
non viene neanche menzionato ma è nascosto dietro una campagna di
diffamazione e di timore.
Ancora una volta, l’impero del male sta per acchiapparci, guidato da un
altro Stalin o, perversamente, da un nuovo Hitler. Date un nome al
vostro demonio e strombazzatelo.
La soppressione della verità sull’Ucraina è uno dei più completi blackout di notizie che mi ricordi. Il
più grosso incremento militare nel Caucaso e nell’Europa orientale fin
dalla guerra mondiale. L’aiuto segreto di Washington a Kiev e alle sue
brigate neo-naziste responsabili di crimini di guerra contro la
popolazione dell’Europa orientale è stato occultato. Le prove che
contraddicono la propaganda che la Russia era responsabile
dell’abbattimento dell’aereo di linea malese sono state nascoste.
E, di nuovo, è presumibile che i censori siano i media liberali. Senza
citare alcun fatto, alcuna prova, un giornalista ha identificato un
leader favorevole alla Russia, in Ucraina, come l’uomo che ha abbattuto
l’aereo passeggeri. Questo uomo, ha scritto, era noto come Il Demonio.
Era un uomo spaventoso che ha terrorizzato il giornalista. Questa era la
prova.
Molti nei ricchi dei media occidentali hanno lavorato duramente per
presentare la popolazione etnica ucraina come estranea nel loro stesso
paese e quasi mai come ucraini che cercano una federazione all’interno
dell’Ucraina e come cittadini ucraini che si oppongono a un colpo di
stato progettato da stranieri contro il loro governo eletto.
Un generale americano che è a capo della NATO e che arriva direttamente
dal film il Dottor Stranamore – un certo generale Breedlove – dichiara
regolarmente che ci sono invasioni russe senza uno straccio di prova.
La sua imitazione del Generale Jack D.Ripper nel film di Stanley
Kubrick è perfetta.
Quarantamila russi si stavano ammassando al confine, secondo Breedlove.
Questa è stata una notizia sufficientemente buona per il New York Times, il Washington Post e l’Observer –
l’ultimo si era distinto precedentemente con bugie e invenzioni che
hanno appoggiato l’invasione dell’Iraq voluta da Blair, come ha rivelato
il suo ex inviato, David Rose
C’è quasi l’allegria di un incontro tra vecchi compagni di scuola. I suonatori di tamburi del Washington Post sono
proprio gli stessi autori degli editoriali che hanno dichiarato che
l’esistenza delle armi di distruzione di massa è un “fatto concreto".
“Se vi chiedete,” ha scritto Robert Perry, “come il mondo
potrebbe inciampare nella guerra mondiale numero tre – come in gran
parte è inciampata nella prima guerra mondiale un secolo fa – tutto
quello che si deve fare è guardare la follia che ha avvolto praticamente
l’intera struttura statunitense della politica e dei media riguardo
all’Ucraina dove la falsa narrazione dei white hats in contrasto con
quella dei black hats ha preso piede in precedenza e si è dimostrata
indifferente ai fatti e alla ragione".
Parry, il giornalista che ha rivelato l’Iran-Contra è uno i pochi che
indagano sul ruolo centrale dei media in questo “gioco del pollo” come
lo ha chiamato il ministro degli Esteri russo. Ma è davvero un gioco?
Mentre scrivo questo testo, il Congresso degli Stati Uniti vota la Risoluzione 758 che, in poche parole dice: “Prepariamoci alla guerra con la Russia.”
Nei notiziari, intere nazioni vengono fatte sparire. L’Arabia Saudita,
la sorgente dell’estremismo e del terrore appoggiato dall’Occidente, non
fa notizia, tranne quando fa abbassare il prezzo del petrolio. Lo Yemen
ha sopportato 12 anni di attacchi di droni americani. Chi lo sa? A chi
importa?
Nel 2009, l’Università dell’Ovest della Gran Bretagna ha pubblicato i
risultati di uno studio di 10 anni di reportage della BBC sul Venezuela.
Dei 304 servizi trasmessi, soltanto tre citavano qualcuna delle
politiche positive introdotte dal governo di Hugo Chavez. Il più grosso
programma di alfabetizzazione della storia umana ha ricevuto appena un
riferimento passeggero. In Europa e negli Stati Uniti, milioni
di lettori e di spettatori non sanno quasi nulla dei notevoli vitali
cambiamenti attuati in America Latina, molti dei quali ispirati da
Chavez. Come la BBC, i servizi del New York Times del Washington Post, del Guardian,
e nel resto degli altri rispettabili media occidentali, erano
notoriamente in cattiva fede. Chavez è stato deriso perfino sul suo
letto di morte. Mi chiedo come venga spiegato questo nelle scuole di
giornalismo.
Perché milioni di persone in Gran Bretagna sono convinti che sia necessaria una punizione collettiva che si chiama “austerity”?
In seguito al crollo dell’economia del 2008 è stato rivelato un sistema marcio.
Per una frazione di secondo le banche hanno fatto un confronto
all’americana come delinquenti, con gli obblighi verso il pubblico che
avevano tradito.
Ma nel giro di pochi mesi – a parte poche pietre lanciate per i
“benefici” eccessivi delle grosse aziende – le cose sono cambiate. Le
foto segnaletiche dei banchieri colpevoli sono sparite dai giornali
scandalistici e qualcosa chiamata “austerità” è diventata un peso per
milioni di gente comune. C’è mai stato un gioco di prestigio così
sfacciato?
Oggi molte delle sedi della vita civile in Gran Bretagna vengono
smantellate allo scopo di ripagare un debito fraudolento – il debito dei
furfanti. Si dice che i tagli fatti per la “austerità” siano di 83
miliardi di sterline. E’ quasi esattamente l’ammontare delle tasse
evitate dalle stesse banche e da grosse imprese come Amazon e l’azienda
di Murdoch, News UK. Inoltre a quelle banche viene dato un sussidio
annuale di 100 miliardi di sterline per assicurazioni gratuite e
garanzie – una cifra che servirebbe a finanziare tutto il servizio
sanitario nazionale.
La crisi economica è pura propaganda. Le politiche
estreme governano ora la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, gran parte
dell’Europa, il Canada e l’Australia. Chi lotta per la maggioranza? Chi
racconta la sua storia? Chi rende credibili le informazioni? Non è
quello che si pensa debbano fare i giornalisti?
Nel 1977 Carl Bernstein, famoso per il Watergate, ha rivelato che più
di 400 giornalisti e dirigenti nel campo dell’informazione lavoravano
per la CIA. Tra di loro c’erano giornalisti del New York Times, del Time
e di canali televisivi.
Nulla di questo è necessario oggi. Dubito che qualcuno abbia pagato il Washington Post
e molti altri organi di stampa per accusare Edward Snowden di aiuto al
terrorismo. Dubito che qualcuno paghi coloro che regolarmente diffamano
Julian Assange – sebbene altre ricompense potrebbero essere abbondanti.
Mi è chiaro che il motivo principale per cui Assange si è
attirato tanto veleno, disprezzo e gelosia, è che WikiLeaks ha demolito
la facciata dell’elite politica corrotta portata in alto dai
giornalisti. Iniziando un’era straordinaria di rivelazioni, Assange si è
fatto dei nemici facendo luce sui guardiani dei media, svergognandoli,
non ultimo sul giornale che ha pubblicato e che si è appropriato del
suo grandioso scoop. E’ diventato non solo un obiettivo ma una gallina
dalle uova d’oro.
Sono stai firmati contratti redditizi per i libri e per film di
Hollywood, e le carriere dei media sono state lanciate e incrementate a
spese di WikiLeaks e del suo fondatore. La gente ha guadagnato un sacco
di soldi, mentre WikiLeaks ha lottato per sopravvivere.
Nulla di questo è stato menzionato a Stoccolma il 1° dicembre quando il
direttore del Guardian, Alan Rusbridger, ha condiviso con Edward
Snowden il premio Right Livelihood, noto come al Premio Nobel
alternativo per la Pace. Ciò che è stato sconvolgente riguardo a questo
avvenimento è che Assannge e WikiLeaks sono stati ignorati, come se non
esistessero, come se non fossero persone.
Nessuno ha parlato a favore dell‘uomo che è stato il pioniere delle
rivelazioni di azioni sbagliate del governo e che ha trasmesso al Guardian
uno dei più grossi scoop della storia. Inoltre è stato Assange e la sua
squadra di WikiLeaks che in modo efficace –brillante – hanno salvato
Edward Snowden a Hong Kong e lo hanno fato scappare velocemente verso la
salvezza. Non una parola.
Ciò che ha reso questa censura fatta per omissione, così ironica e
commovente e vergognosa è stato che la cerimonia si è svolta al
Parlamento svedese – il cui vile silenzio sul caso Assange ha cospirato
con un grottesco insuccesso della giustizia a Stoccolma.
“Quando la verità è sostituita dal silenzio”, ha detto il dissidente sovietico Yevtushenko, “il silenzio è una bugia”.
E’ questo genere di silenzio che noi giornalisti dobbiamo rompere.
Dobbiamo guardarci allo specchio. Dobbiamo chiamare a rispondere i
media che non danno spiegazioni e che fecondano il potere e la psicosi
della minaccia di una guerra mondiale.
Nel18° secolo, Edmund Burke ha definito il ruolo della stampa come un
Quarto Potere che controlla i potenti. E’ mai stato vero? Certamente non
convince più. Quello che è ora è necessario è un Quinto potere:
un giornalismo che controlla, smonta, e risponde alla propaganda e
insegna ai giovani a essere rappresentanti del popolo, non del potere. Abbiamo bisogno di quello che i Russi chiamavano perestroika – un’insurrezione contro la conoscenza soggiogata. Lo chiamerei giornalismo reale.
Sono passati 100 anni dalla Prima Guerra mondiale. Allora i giornalisti
venivano ricompensati e nominati cavalieri per il loro silenzio e
omertà. Nel momento peggiore del massacro, il primo ministro britannico
David Lloyd George ha confidato a a C.P. Scott, direttore del Manchester Guardian, “Se la gente sapesse realmente [la verità], la guerra si fermerebbe domani, ma naturalmente non lo sanno e non possono saperlo”.
Fonte: L'Antidiplomatico
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