da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol. X, Teti Editore, Milano, 1975
Capitolo XIV
Disfatta e capitolazione incondizionata della Germania nazista
[…]
3 LA DISFATTA DEFINITIVA DELL’ESERCITO NAZISTA. LE TRUPPE SOVIETICHE ENTRANO A BERLINO
LA SITUAZIONE IN GERMANIA
Nel 1945,
alla metà di aprile, dopo l’offensiva sovietica sul fronte orientale e
quella alleata sul fronte occidentale, la Germania nazista era ormai
rimasta priva delle regioni economicamente più importanti.Il Terzo Reich
crollava sotto i colpi infertigli da est e da ovest.
Una dimostrazione della situazione senza uscita in
cui si trovava la Germania nazista è data dal fatto che una serie di
Stati, che fino ad allora erano stati su posizioni neutrali o di non
belligeranza, le dichiararono guerra. Il 23 febbraio dichiarò guerra la
Turchia, sperando con questo atto simbolico di assicurarsi un posto tra i
vincitori al tavolo della conferenza della pace. Il 26 febbraio entrò
in guerra l’Egitto, il 27 la Siria, e il 4 marzo la Finlandia
precedentemente alleata ai tedeschi.
Anche la Svezia assunse un atteggiamento più deciso.
A partire dall’autunno del 1944 interruppe i rapporti commerciali con
la Germania; nella primavera del 1945, lo stato maggiore svedese preparò
l’entrata dell’esercito in Norvegia e in Danimarca, per indurre alla
capitolazione le truppe tedesche che ancora si trovavano in quei paesi.
Nelle regioni della Norvegia settentrionale liberate dalle truppe
sovietiche entrarono le truppe di polizia norvegese armate e addestrate
in Svezia.
Le alte sfere naziste, però non avevano ancora perso
le speranze di una possibile “soluzione politica” dei problemi del
paese. Perso ogni contatto con la realtà, Hitler continuava a credere
che la coalizione antinazista fosse prossima allo sfaldamento.
Nell’aprile del 1945, parlando col generale delle SS Wolff, Hitler
affermava: “Non c’è nessuna necessità di cessare la difesa. Per due mesi
è ancora possibile resistere contro i russi sul fronte orientale... Nel
frattempo, l’alleanza tra gli anglo-americani e i russi si spezzerà”.
La morte del presidente Roosevelt. avvenuta il 12
aprile, rafforzò ancor più la convinzione di Hitler. Negli ambienti
vicini al Führer si ricordava che al tempo della guerra dei sette anni,
Federico II, ormai sull’orlo della catastrofe, era stato salvato
dall’improvvisa morte della zarina Elisabetta e dall’avvento sul trono
russo di Pietro III. Congratulandosi con Hitler per la morte del
presidente americano, Goebbels disse che il 12 aprile avrebbe segnato la
data del totale capovolgimento nell’andamento delle ostilità. Una frase
contenuta nel primo discorso pronunciato dal nuovo presidente americano
Truman, il quale disse che la guerra era prossima alla fine, confermò
nei nazisti la speranza che gli Stati Uniti fossero favorevoli alla
conclusione della pace separata con la Germania.
In relazione a questa speranza, al comando militare
vennero impartiti ordini precisi perché fosse protratta a tutti i costi
la resistenza sul fronte sovietico. Sfruttando la favorevole natura dei
luoghi, il comando tedesco organizzò una solida ed efficace difesa
attorno a Berlino, soprattutto sulla riva occidentale dei fiumi Oder e
Neisse. Il fronte difensivo, con una profondità complessiva di 20-40 km,
aveva 3 linee rinforzate, tra le quali, lungo le principali direttrici
di avanzata dei sovietici, si trovavano posizioni intermedie. Tutti i
centri abitati che circondavano Berlino vennero trasformati in punti di
difesa.
La difesa
della città era articolata in 9 settori. Il punto più fortificato era il
centro di Berlino attorno alla cancelleria di Hitler. Per il
rafforzamento della difesa anticarro venne sfruttata quasi tutta
l’artiglieria antiaerea, che stringeva attorno alla città una cintura di
sicurezza.
La strada
per Berlino era difesa da due armate del gruppo “Vistola” e da due
armate del gruppo “Centro”. La città era difesa dai 200.000 uomini della
guarnigione e da 200 battaglioni dell’armata popolare (Volkssturms). Il
comando tedesco, a sud, a ovest e a nord della capitale, disponeva di 8
divisioni di riserva, di cui una motorizzata. Alla difesa della zona di
Berlino era addetto circa 1 milione di uomini, che disponevano di
10.400 tra cannoni e mortai, 1.500 tra carri armati e cannoni semoventi,
circa 3.300 aerei, e più di 3 milioni di cariche anticarro.
Alle truppe
tedesche accerchiate in Curlandia, Prussia orientale e a Breslavia
venne dato l’ordine di difendersi fino all’ultimo per impedire
l’avanzata sovietica su Berlino. Hitler ordinò di difendere la capitale
fino all’ultimo uomo e richiese da ufficiali e generali l’impegno di
adottare drastiche misure contro i disertori e i fuggiaschi. Commissario
del Reich per la difesa di Berlino venne nominato Goebbels. Venne anche
impartito un ordine speciale perché fosse aperto il fuoco senza
preavviso contro chi avesse lasciato il proprio posto di combattimento.
La propaganda nazista faceva circolare voci secondo
le quali era imminente l’arrivo di una nuova arma “segreta”, che avrebbe
annientato le truppe sovietiche in marcia su Berlino.
LA DISFATTA NAZISTA ALLE PORTE DI BERLINO
Il piano
dell’ “operazione Berlino” fu elaborato dal quartier generale del
comando supremo dell’armata rossa e dal comandante del fronte e venne
realizzato direttamente dal quartier generale.
Nel piano
si contemplava la rottura del fronte difensivo nemico, lo smembramento e
l’annientamento delle truppe naziste concentrate attorno a Berlino.
L’obiettivo era di impadronirsi rapidamente di Berlino per costringere
la cricca hitleriana alla capitolazione. Venne stabilito un contatto
diretto tra il quartier generale sovietico e il comandante supremo delle
truppe anglo-americane. Dopo la presa della capitale, le truppe
sovietiche avrebbero dovuto raggiungere l’Elba e congiungersi con gli
Alleati.
Nell’
“operazione Berlino” la potenza bellica dell’armata rossa si manifestò
in tutta la sua grandezza. Le truppe sovietiche che parteciparono alla
conquista della capitale contavano 2 milioni 500 mila uomini, più di
41.000 tra cannoni e mortai, 7.500 aerei, 6.250 tra carri armati e
cannoni semoventi. Il rapporto di forze, a favore dell’armata rossa,
era: per uomini 2,5:1; per armi e munizioni 4:1; per aerei 2,3:1. Nel
corso delle ostilità questo rapporto divenne ancor più favorevole alle
truppe sovietiche.
La
realizzazione dell’operazione era affidata al primo fronte bielorusso
(comandato dal maresciallo G. K. Žukov ), al primo fronte ucraino (al
comando del maresciallo I. S. Konev) e al secondo fronte bielorusso (al
comando del maresciallo K. K. Rokossovski). Le truppe sovietiche erano
animate da un alto spirito combattivo, poiché avevano giurato alla
patria e al popolo che avrebbero adempiuto il compito loro affidato e
avrebbero innalzato la bandiera rossa della vittoria su Berlino.
Quanto alto
fosse lo slancio morale delle truppe sovietiche è dimostrato dal facto
che nel periodo della preparazione dell’attacco decisivo contro Berlino,
18 mila tra soldati e ufficiali chiesero di entrare nel partito
comunista. Nell’operazione, a fianco delle truppe sovietiche
combattevano la I e la II armata polacche (al comando dei generali di
divisione S. Polawski e K. Swierszewski).
L’offensiva
delle truppe del primo fronte bielorusso incominciò al calar della
notte del 16 aprile, con un fuoco d’artiglieria durato 20 minuti. Prima,
per illuminate il campo di battaglia, furono accesi 150 potenti
riflettori antiaerei, che tolsero ogni visuale alla fanteria nemica. Ma
l’artiglieria e l’aviazione non riuscirono a infrangere completamente le
postazioni difensive del nemico, che opponeva una furibonda resistenza.
Le due armate corazzate della guardia entrate in combattimento alla
fine del primo giorno non poterono staccarsi dalla fanteria e furono
costrette ad agire in formazione. L’offensiva si era praticamente
trasformata in un lento smantellamento delle posizioni difensive.
Particolarmente intensa fu la battaglia impegnata sulle alture di
Seelower, molto fortificate, punto chiave per i successivi attacchi
contro la capitale della Germania.
Qui il nemico aveva concentrato i carri armati, che,
in appoggio all’artiglieria e sfruttando la posizione favorevole,
sparavano ininterrottamente contro le truppe sovietiche. Il 17 aprile,
dopo un massiccio attacco di 800 bombardieri, con un breve ma intenso
intervento dell’artiglieria dell’VIII armata e della I armata corazzata,
le alture di Seelower furono conquistate. Il 19 aprile tutta la linea
difensiva tedesca dell’Oder, profonda una trentina di chilometri, era
stata sfondata.
Più
favorevoli furono le condizioni in cui avvenne l’attacco del primo
fronte ucraino, che affrontò una difesa nemica molto più debole.
Sfruttando la propria superiorità numerica e qualitativa, le truppe
sovietiche dopo soli 40 minuti di fuoco d’artiglieria riuscirono a
forzare il fiume Neisse, difese e coperte da una cortina fumogena.
La III
armata e la IV corazzata, scese in campo la sera del 18 aprile,
sfondarono la linea difensiva della Neisse e, battuta la IV armata
corazzata tedesca, incominciarono ad avanzare da sud verso Berlino. Dal
19 al 25 aprile le truppe sovietiche attaccarono instancabilmente per
circondare e annientare le truppe tedesche che difendevano la città.
L’ala destra del fronte bielorusso, superati la
resistenza e il contrattacco tedesco, continuava ad avanzare verso
occidente e il 21 aprile giungeva a sud-est e a nord-est ai margini
della zona di Berlino. Il 25 aprile il primo fronte bielorusso e il
primo fronte ucraino chiudevano il cerchio attorno a due raggruppamenti
isolati di truppe tedesche: uno nella zona di Berlino, l’altro nella
zona di Cottbus. Ogni raggruppamento era costituito da 200.000 uomini.
La manovra strategica compiuta per disorientare e
circondare un importante raggruppamento tedesco nella zona di Berlino
era pienamente riuscita.
Nello
stesso periodo era iniziata anche l’offensiva del secondo fronte
bielorusso, che il 20 aprile, più a sud di Stettino, conquistava i due
rami dell’Oder e infrangeva la difesa tedesca a ovest del fiume. Con
questo attacco, esso aveva attirato tutte le riserve nemiche, impedendo
che venissero impiegate per rafforzare la difesa della capitale.
Verso il 25
aprile, dunque, era stata realizzata la prima tappa dell’ “operazione
Berlino”. Poiché erano stati circondati e disfatti i raggruppamenti
posti a difesa di Berlino, la situazione era catastroficamente
precipitate e l’esercito tedesco si avviava all’ora della sconfitta
definitiva. La guerra era giunta sulle strade della capitale della
Germania nazista.
Anche la
situazione interna della Germania era diventata insostenibile. Ancora il
10 aprile Hitler aveva ordinate di dividere il territorio tedesco non
occupato in due zone amministrative e operative: il nord e il sud.
Comandante della zona settentrionale, con pieni poteri militari e
civili, fu il grande ammiraglio Dönitz, comandante della marina militare
nazista; nella parte meridionale del paese fu nominato il maresciallo
Kesselring. Hitler, che aveva mantenuto le prerogative di Führer, di
capo dello Stato e cancelliere e di comandante supremo, decise di
rimanere a Berlino.
plonieri costruiscono un ponle di barche sull'Odor
|
Contemporaneamente,
anche un altro compagno di lotta si accingeva ad abbandonare Hitler.
Nella notte del 23 aprile, Himmler, che si trovava nella Germania
settentrionale, a Lubecca, si incontrava con il route svedese
Bernadotte. Il “fedele Heinrich”, nel corso dell’incontro, affermò di
essere pronto ad abbandonare Hitler, prendere il potere e concludere
l’armistizio con le potenze occidentali. La proposta di Himmler fu
portata a conoscenza del governo americano e di quello inglese. Valutate
le spiacevoli conseguenze delle trattative separate in Svizzera e le
gravissime responsabilità politiche di Himmler, essi rifiutarono la sua
proposta dopo averne informato il governo sovietico. In seguito a ciò,
alle trattative intercorse tra Himmler e Bernadotte venne data grande
pubblicità. Il 28 aprile, informato delle intenzioni del suo pupillo,
Hitler diede ordine di radiare anche Himmler dal partito nazista.
Oltre a
Göring e Himmler, anche il ministro della difesa Speer avanzò pretese al
posto di capo dello Stato, proprio negli ultimi giorni di vita del
regime nazista. Speer era il vero portavoce dei grandi monopoli tedeschi
di cui condivideva la politica.
Il 15 marzo
aveva inviato a Hitler un memorandum, nel quale, prevedendo
l’inevitabile sconfitta tedesca, chiedeva: 1) che cessasse lo
smantellamento delle fabbriche, delle miniere, dei mezzi di trasporto,
già iniziato dalle truppe tedesche; 2) che si preparasse il passaggio
del beni materiali dello Stato ai “privati” (depositi di merci
industriali, di vestiti, di derrate alimentari). All’inizio di aprile il
conflitto tra Hitler e Speer si acuì. Insieme a Guderian, Speer tentò
di indurre i comandanti dei gruppi d’armata a disobbedire all’ordine di
smantellamento delle imprese industriali.
A metà
aprile, Speer si allontanò da Berlino e nella zona settentrionale del
paese creò un governo segreto che godeva di un potere non minore di
quello che aveva Hitler. Proprio allora Speer e i suoi aiutanti
pensarono di far capitolare l’esercito a Occidente. Successivamente
questo piano venne parzialmente realizzato. Un gruppo di grossi
industriali di Amburgo, attraverso il banchiere svedese Wallenberg,
intavolò trattative con le potenze occidentali, in vista di una
capitolazione della città e della zona circostante. La grande influenza
di Speer a quel tempo è provata anche dall’atteggiamento di Hitler, il
quale, pronto ad accusare di tradimento per la più piccola colpa anche i
più potenti camerati, non si decise a lottare contro Speer, del quale
però conosceva le reali intenzioni. Il 23 aprile Speer concluse un
accordo con Hitler per nominare Dönitz, che era un portavoce della
politica di Speer, successore di Hitler.
L’ARRIVO DELLE TRUPPE ALLEATE ALLE RIVE DELL’ELBA
Dopo che le
truppe naziste erano state circondate nella Ruhr, il fronte occidentale
tedesco si trovò a essere, in pratica, infranto. Conformemente alle
direttive impartire da Eisenhower, il 2 aprile, le truppe alleate
iniziarono l’avanzata verso est. Tre giorni dopo l’inizio dell’offensiva
sovietica contro Berlino, il 18 aprile 1945, la 21a divisione tedesca,
composta di 325 mila uomini, circondata nella Ruhr, capitolava.
Le truppe
del 21° gruppo d’armate alleato, in marcia verso nord-est, giunsero
all’Elba nella seconda metà di aprile, conquistarono la sponda orientale
e, sempre in direzione est, ai primi di maggio entrarono in
Ludwigslust, Schwerin e Lubecca. Il 3 maggio, senza incontrare
opposizione, gli Alleati entrarono in Amburgo.
Il 12° gruppo d’armare alleato, che si muoveva nel
centro del paese, a metà di aprile raggiunse l’Elba nella zona di
Wittenberg, Magdeburgo e Dessau. Il 19 aprile le truppe americane
entravano in Lipsia e in Halle. Gli avamposti del 5° corpo della I
armata americana si incontrarono con le truppe sovietiche il 25 aprile,
sull’Elba, nella zona di Torgau. I fronti orientale e occidentale si
erano così congiunti.
Le unità dell’ala destra del 12° gruppo d’armate, in
movimento verso sud-est, il 12 aprile occuparono Erfurt e il 18
entrarono in territorio cecoslovacco. All’inizio di maggio le truppe
americane giungevano a Linz in Austria. All’ala meridionale del fronte
occidentale era giunto il 6° gruppo d’armate. A metà aprile le truppe
alleate giungevano nella zona di Norimberga e all’inizio di maggio ai
confini austro-tedeschi del fronte di Innsbruck a Salisburgo. La I
armata francese, nel frattempo, aveva occupato l’Austria occidentale.
LA CADUTA DI BERLINO
Il 26
aprile iniziò la seconda fase, quella conclusiva, dell’ “operazione
Berlino”, cioè la liquidazione dei raggruppamenti tedeschi che
difendevano la capitale e l’attacco operato dall’esercito sovietico su
di un larghissimo fronte lungo l’Elba.
Il comando tedesco, prima ancora che fossero
circondate le truppe di stanza a Berlino, inviò ad est la XII armata del
generale Wenck, già destinata a lanciare un offensiva contro le truppe
americane attestate in Europa. Su questa armata i capi nazisti, che si
erano rifugiati nei bunker della cancelleria del Reich, riponevano ormai
tutte le loro ultime speranze. L’armata di Wenck doveva, attaccando a
sud di Berlino, liberare dall’accerchiamento il gruppo d’armate di
Francoforte-Guben. Ma questa manovra aveva anche un fine politico:
dimostrare alle potenze occidentali che la resistenza davanti alla loro
avanzata era, di fatto, cessata. L’armata rossa mandò a monte tutti i
tentativi dei tedeschi di uscire dall’isolamento o di rompere
l’accerchiamento dall’esterno. L’armata di Wenck venne annientata e i
superstiti fuggirono verso ovest per consegnarsi alle truppe americane.
Per il 1°
maggio la liquidazione del raggruppamento di Francoforte-Guben era
completata. Contemporaneamente erano in corso violenti scontri per
annientare le truppe che difendevano Berlino.
All’interno
della città erano state costruite più di 400 fortificazioni in cemento
armato, mentre le costruzioni sotterranee, i ponti distrutti e i canali
erano stati trasformati in punti di difesa. I nazisti contavano su
scontri isolati, casa per casa, quartiere per quartiere, che avrebbero
fiaccato le forte dell’esercito sovietico.
Ma le
truppe sovietiche, aggirando le fortificazioni nemiche, attaccando a
gruppi, passo dopo passo avanzavano, circondando il nemico. Gli edifici,
trasformati in fortificazioni e centri di resistenza, venivano
distrutti dall’artiglieria. Verso il 28 aprile, il territorio occupato
dai tedeschi si era ridotto a una stretta striscia. che passava per il
centro di Berlino, battuta continuamente dall’artiglieria sovietica. Il
29 e il 30 aprile ci fu lo scontro decisive per la conquista del settore
centrale della città. I sovietici raggiunsero il Reichstag, la
cancelleria del Reich, nei cui sotterranei si nascondevano Hitler e i
suoi intimi, e la porta di Brandeburgo. La battaglia si fece ancora più
cruenta, poiché il Reichstag e le zone adiacenti erano ben fortificati e
difesi.
Il gruppo
di 5 mila soldati attestati nella zona si difendeva con l’accanimento di
chi sente prossima la fine. Alcuni soldati sovietici erano per.
riusciti ugualmente a entrare nel Reichstag. Al sergente M. A. Egorov e
al soldato semplice M. V. Kantarija, del 756° reggimento di fanteria
della 150a divisione, che partecipavano all’attacco al palazzo, venne
consegnata la bandiera rossa da innalzare sul palazzo. Dopo tremendi
scontri nel Reichstag ormai in fiamme, Egorov e Kantarija, appoggiati
dai soldati al comando del sottotenente A. P. Berest, all’alba del 10
maggio innalzavano la rossa bandiera della vittoria sul palazzo che era
il simbolo del Terzo Reich, della Germania nazista.
La caduta
del Reichstag demoralizzò definitivamente i nazisti e le truppe della
guarnigione di Berlino incominciarono ad arrendersi. La sera del 30
aprile Hitler si suicidò e il suo corpo venne dato alle fiamme. Prima di
morire Hitler lasciò un testamento politico “nel quale designava
presidente del Reich e comandante supremo delle forze armate
l’ammiraglio Karl Dönitz e nominava cancelliere Goebbels. Bormann
avrebbe dovuto essere “ministro del partito” e il collaborazionista
austriaco Seyss-Inquart e più recentemente governatore dell’Olanda,
ministro degli esteri.
La notte del 1° maggio Goebbels e il sostituto di
Hitler, Bormann, che si trovavano nella cancelleria del Reich da dove
dirigevano la resistenza della guarnigione berlinese, inviarono il nuovo
comandante dello stato maggiore dell’esercito, general Krebs, dal
general Čuikov, che comandava le truppe sovietiche impegnate nella
conquista della capitale.
Come si
chiarì nel corso dell’interrogatorio di Krebs, egli avrebbe dovuto
vedere se fosse stato possibile indurre il comando sovietico a
trattative di pace separata con i rappresentanti nazisti e
contemporaneamente mettere in urto i sovietici con gli alleati
occidentali. Il comando sovietico ingiunse categoricamente a Krebs di
porre fine alla resistenza delle truppe tedesche e pose come condizione
la capitolazione incondizionata.
Poiché
Krebs non disponeva dei pieni poteri, venne rimandato alla cancelleria.
In quello stesso giorno, convinti che le loro manovre non avrebbero
potuto ingannare il comando sovietico, Göebbels e Krebs si suicidarono,
mentre Bormann cercò di fuggire. A tutt’oggi non si sa che fine abbia
fatto.
Il 2 maggio
le truppe naziste a Berlino erano liquidate e il 7 maggio le truppe
sovietiche giungevano all’Elba su un ampio fronte. Durante l’assedio di
Berlino i tre fronti sovietici avevano duramente sconfitto i
raggruppamenti nazisti, provocato la disfatta delle truppe tedesche e
conquistato Berlino.
Con la caduta di Berlino cessò di esistere il gruppo
d’armate “Centro”. Il nemico aveva avuto circa 250 mila morti e 480
mila prigionieri. Le truppe sovietiche si impadronirono di tutti gli
armamenti. La grande esperienza, la forza e la capacità militare che
l’armata rossa aveva acquisito in quattro anni di guerra emersero con
grande evidenza durante la presa di Berlino.
Questa
impresa coronò la pesante e sanguinosa lotta che il popolo sovietico
aveva condotto per la libertà propria e degli altri popoli d’Europa. La
caduta di Berlino decretò anche la definitiva disfatta della Germania
nazista, lo sfacelo del suo apparato statale e del suo sistema
economico. Tuttavia la guerra non era finita, dato che restava da
completare la liberazione della Cecoslovacchia.
4 L’ARMATA ROSSA LIBERA COMPLETAMENTE LA CECOSLOVACCHIA
[….]
5 LA CAPITOLAZIONE INCONDIZIONATA DELLA GERMANIA NAZISTA
IL “GOVERNO DÖNITZ. LA CAPITOLAZIONE DELL’ESERCITO TEDESCO A NORD E A SUD DEL FRONTE OCCIDENTALE
Gran parte
del territorio tedesco era occupata dalle forze armate sovietiche e
dalle truppe della potenze occidentali. Il fronte dell’esercito tedesco
si era trasformato in una serie di centri di resistenza isolati gli uni
dagli altri. Anche in una situazione cosi difficile, però, i successori
di Hitler continuavano a cercare un’uscita politica che avrebbe dovuto
consentire la sopravvivenza, in un modo o nell’altro, del rinato Terzo
Reich. Naturalmente, essi continuavano a sperare in un probabile
disaccordo tra i sovietici, da una parte, e gli Alleati dall’altra.
Il 1°
maggio Dönitz, successore di Hitler, in un messaggio ai soldati e al
popolo, trasmesso per radio e, nei suoi punti essenziali, ai governi
alleati, affermava che era indispensabile proseguire la lotta contro
l’Unione Sovietica e nello stesso tempo faceva capire che le operazioni
belliche sul fronte occidentale sarebbero cessate entro breve tempo. La
stessa indicazione era contenuta nel messaggio all’esercito.
Il 2 maggio
Dönitz costituiva a Flensburg sul confine danese un nuovo governo che,
per il suo carattere e la sua composizione, era nazista. Cancelliere del
Reich, ministro degli esteri e delle finanze venne nominato l’ex
ministro delle finanze di Hitler, conte Schwerin von Krosigk; ministro
del lavoro e della produzione, Speer; ministro del lavoro, Seldte,
fondatore nel primo dopoguerra dell’organizzazione revanscista “elmi
d’acciaio”. Uno dei primi atti di questo “governo” fu l’adozione, come
base per la politica futura, della “capitolazione a zone” e l’inizio di
trattative con i singoli comandi alleati. Per nascondere queste
trattative ai sovietici, fu deciso di non usare la radio come mezzo per
allacciare i rapporti.
Il 2 aprile
le truppe alleate avevano iniziato l’offensiva nell’Olanda
nord-orientale, in seguito alla quale 120 mila soldati tedeschi delle
province occidentali rimasero isolati. Venuti a conoscenza
dell’imminente arrivo delle truppe alleate, i prigionieri sovietici
rinchiusi dai tedeschi sull’isola di Texel, il 6 aprile organizzarono
l’insurrezione. Ma il comando alleato e la direzione delle forze interne
della resistenza non dettero aiuto agli insorti. Nell’impari battaglia
morirono più di 300 uomini, mentre gli altri furono tenuti nascosti
dalla popolazione, fino a quando, il 16 maggio, giunsero gli eserciti
alleati. Per impedire che la resistenza partecipasse alla liberazione
dell’Olanda occidentale, il 28 aprile il comando anglo-americano
concluse un armistizio con il comando tedesco in Olanda.
Nella notte
tra il 2 e il 3 maggio una delegazione ufficiale tedesca, composta
dall’ammiraglio Friedeburg, comandante della marina, dal generale Kinzel
e dal contrammiraglio Wagner passarono la linea del fronte che li
separava dalle trincee del 21° gruppo d’armate alleato. Le trattative
della delegazione tedesca con il maresciallo Montgomery portarono a un
accordo tra le due parti; in base a questo accordo, le truppe attestate
in Olanda, nella Germania nord-occidentale e nelle isole circostanti
(tra le altre le Frisone ed Helgoland), nello Schleswig-Holstein e in
Danimarca sarebbero capitolate incondizionatamente.
Nel
protocollo di resa si faceva una riserva: esso sarebbe stato applicato
indipendentemente da qualsiasi altro accordo di capitolazione, concluso a
nome delle potenze alleate nei confronti della Germania intera.
L’accordo di capitolazione per il nord entrò in vigore il 5 maggio
mattina e dava al comando nazista la possibilità di proseguire in questa
zona le operazioni contro l’esercito sovietico, giunto da est.
Questo
punto dell’accordo venne particolarmente sottolineato da Keitel in un
ordine segreto, comunicato il 5 maggio, subito dopo l’interruzione delle
operazioni nella zona settentrionale ancora occupata dai tedeschi:
“Deponendo le armi nella Germania nord-occidentale, in Danimarca e in
Olanda, noi partiamo dalla constatazione che la lotta contro le potenze
occidentali non ha più senso. A est, invece, la guerra continua”. Perciò
l’accordo concluso da Montgomery costituiva un atto sleale nei
confronti dell’Unione Sovietica.
Il 4 maggio
capitolarono davanti agli Alleati i resti delle armate tedesche
sull’Elba. Il rappresentante americano, che si era rifiutato di
accettare in questa zona la capitolazione in blocco, perché era
contraria agli accordi con l’Unione Sovietica, affermò che i soldati
potevano arrendersi singolarmente alle truppe americane. Con questa
condizione si arresero 100 mila tedeschi.
Dopo aver
firmato l’accordo per la capitolazione parziale al nord, Friedeburg si
recò a Reims, al quartier general, delle truppe alleate in Europa, per
trattare con Eisenhower, al fine di concludere la capitolazione, sulla
base delle stesse condizioni, anche per le truppe tedesche del sud, die
si trovavano di fronte agli americani.
Questo
accordo avrebbe dovuto significare, di fatto, la fine di ogni resistenza
da parte della Germania nazista, per quanto riguardava il fronte
occidentale, mentre le ostilità sul fronte orientale sarebbero
continuate. Le trattative, iniziate da Friedeburg, furono continuate dal
generale Jodl. Eisenhower, però, avendo capito che un simile accordo
significava una aperta rottura con l’Unione Sovietica, richiese ai
plenipotenziari tedeschi di firmare la capitolazione su tutti i fronti.
Dopo alcuni tentennamenti, Dönitz, convinto dell’inutilità di ulteriori
rinvii, diede ordine a Jodl di firmare la capitolazione incondizionata
su tutti i fronti.
Questo suo
atteggiamento fu determinato dal fatto che gli antisovietici che
regnavano nel comando alleato, a lui ben noti, avrebbero consentito alle
truppe tedesche di evitare il fatale adempimento delle condizioni della
capitolazione. Attraverso la radio, insieme all’accordo sulla
capitolazione, Dönitz ordinò a Kesselring e ai comandanti d’armata
Schörner, Rendulić e Löhr di “spostare dal fronte orientale, al più
presto possibile, per portarlo sul fronte occidentale, tutto quello che è
possibile e in caso di necessità di attraversare combattendo le linee
sovietiche”.
LA FIRMA DELLA CAPITOLAZIONE INCONDIZIONATA
La mattina del 7 maggio, al quartier generale di
Eisenhower a Reims venne firmato un protocollo preliminare per la
capitolazione incondizionata di tutte le forze aeree, navali, terrestri
Germania. L’atto generale di capitolazione, per l’insistenza del governo
sovietico, venne firmato a Berlino.
L’8 maggio
1945, nel sobborgo berlinese di Karlshorst, alla presenza dei
rappresentanti delle forze armate dell’Unione Sovietica (il maresciallo
Žukov), dell’Inghilterra (il maresciallo d’aviazione A. Tedder), degli
Stati Uniti (il generale Spaatz), della Francia (generale de Lattre de
Tassigny) e del feldmaresciallo Keitel, capo del comando supremo,
dell’ammiraglio Friedeburg, del generale d’aviazione Stumpff, per la
Germania, venne firmato l’atto di capitolazione incondizionata.
Dopo la
firma dell’atto, dal 9 al 17 maggio 1945 si consegnarono ai sovietici 1
milione e 391 mila uomini. La guerra in Europa era terminata. Le potenze
della coalizione antifascista con in testa l’Unione Sovietica avevano
vinto la lunga e sanguinosa guerra.
I popoli
sovietici, che avevano sopportato la maggior parte del peso della guerra
e avevano avuto le perdite maggiori, insieme ai popoli amici salutarono
trionfalmente questo storico avvenimento.
Il 9
maggio, giorno della definitiva capitolazione della Germania nazista,
venne dichiarato dal presidente del soviet supremo dell’Unione Sovietica
“giorno della vittoria”.
Il 24
giugno, a Mosca, sulla piazza Rossa venne organizzata la parata della
vittoria, alla quale parteciparono reparti di tutti i fronti, composti
da eroi della guerre patriottica. A capo dei reparti di ogni fronte
marciavano i gloriosi comandanti sovietici. Durante la parata, davanti
al mausoleo di Lenin vennero deposte 200 bandiere strappate alle truppe
naziste.
Il
presidium dell’Unione Sovietica concesse medaglie “per la vittoria sulla
Germania nella grande guerra patriottica del 1941-1945” e per “il
lavoro eroico nella grande guerra patriottica 1941-1945”.
Fonte: Resistenze
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