lunedì 26 maggio 2014

L’alleanza Russia-Cina contro l’aggressione USA-NATO

Alexander Clackson, Global Research, 26 maggio 2014
Fonte: Aurora sito 10288770Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che il suo incontro con il presidente cinese Xi Jinping, all’inizio di questa settimana a Shanghai, segna una nuova tappa nelle relazioni Russia-Cina, e che i due Paesi estenderanno una piena cooperazione. Cina e Russia hanno firmato un accordo per la fornitura del gas da 400 miliardi di dollari, garantendo al primo utente energetico del mondo una delle principali fonti del combustibile più pulito e l’apertura di un nuovo mercato per Mosca, che rischia di perdere i clienti europei per la crisi in Ucraina. Inoltre, i due Paesi hanno iniziato le esercitazioni militari congiunte nel Mar Cinese orientale, chiara dimostrazione di forza contro il Giappone, alleato occidentale. Il presidente cinese ha anche apertamente dimostrato la volontà di creare un’alleanza contro gli Stati Uniti. Parlando il 20 maggio, il Presidente Xi Jinping ha invocato la creazione di una nuova struttura asiatica per la cooperazione nella sicurezza basata su un gruppo regionale che comprenda Russia e Iran ed escluda gli Stati Uniti. Chiaramente accusa gli Stati Uniti quando definisce la NATO obsoleto pensiero da Guerra Fredda. Secondo lui, “Non possiamo avere la sicurezza solo per uno o pochi Paesi, lasciando gli altri nell’insicurezza“. Nel suo discorso, Xi Jinping ha offerto la visione alternativa di un quadro per la sicurezza regionale completa, piuttosto che alleanze individuali con attori esterni come gli Stati Uniti. La proposta della Cina di portare avanti l’ambiziosa zona di libero scambio dell’Asia-Pacifico ha incontrato un’accoglienza particolarmente fredda dagli Stati Uniti, che si concentra sull’accordo commerciale tra 12 Paesi conosciuto come Trans-Pacific Partnership, escludendo la Cina. La mossa ha chiaramente sconvolto le istituzioni occidentali. L’ex-segretario alla Difesa statunitense Robert Gates ha detto che Cina e Russia sono sempre più aggressive vedendo gli Stati Uniti ritirarsi dagli affari mondiali. In altre parole, Russia e Cina si oppongono all’egemonia statunitense e reagiscono alle aggressioni degli Stati Uniti, a cui il mondo assiste negli ultimi decenni.
L’alleanza Cina-Russia dovrebbe essere accolta come un blocco contrario al fallimentare e disperato  dominio occidentale concentrato a Washington. Dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, gli USA hanno imposto il loro modello economico che favorisce multinazionali ed élite finanziarie, mentre schiaccia i popoli. Qualsiasi Paese che s’è rifiutato di piegarsi alle pressioni statunitensi è stato attaccato militarmente sotto falsi pretesti come “protezione dei civili” e “problemi di sicurezza nazionale”. Purtroppo le potenze regionali come Russia e Cina non poterono impedire agli USA d’imporre il loro autodistruttivo ordine neo-liberista ad altri Paesi. Tuttavia, recentemente la Cina e soprattutto la Russia hanno iniziato a reagire. La Russia ha scongiurato un altro intervento disastroso in Siria e contrasta il colpo di Stato filo-occidentale in Ucraina. Ora, con Cina e Russia strettamente allineate, i due Paesi potranno impedire agli Stati Uniti e alle loro marionette occidentali di portare avanti la loro agenda economica imperialista. Con l’Unione europea che si sgretola sotto il peso dell’euroscetticismo dell’opinione pubblica, come dimostrano i risultati delle elezioni europee, gli Stati Uniti perdono il loro più stretto alleato. L’UE dovrà scegliere se continuare ad essere un burattino di Washington, rischiando così l’ira dei cittadini europei e raggiungendo infine la completa autodistruzione, o costruire legami più stretti con la Cina e la Russia.
La nuova alleanza fermerà l’espansione militare statunitense ed europea, così come le influenze economiche globali. Sarà un passo positivo, mentre il dominio occidentale negli ultimi decenni ha portato solo altra insicurezza e un sistema economico che avvantaggia pochi e punisce i molti. Le nazioni occidentali, e i loro padroni di Washington, dovrebbero riconsiderare la loro dura posizione sulla Russia. Nel prossimo futuro la nuova alleanza detterà le nuove regole del gioco, quindi l’occidente dovrebbe trattare Cina e Russia con rispetto e abbandonare l’atteggiamento arrogante che l’ha dominato per tanti anni.
Xi Jinping, Vladimir PutinAlexander Clackson è fondatore di Global Political Insight, organismo di ricerca e supporto politico. Ha un Master in Relazioni Internazionali. Alexander è consulente politico e spesso collabora con think-tank e media.
Copyright © 2014 Global Research
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

martedì 20 maggio 2014

Russia. Nostalgia canaglia per l’Urss diventa dato certo

Russia. Nostalgia canaglia per l’Urss diventa dato certo

Nonostante negli ultimi vent’anni l’Urss e il suo sistema politico siano presentati come la quintessenza del male, oggi il comunismo sovietico torna di attualità nel dibattito politico russo. Ben il 36% dei russi infatti ancora oggi riterrebbe il sistema politico sovietico il più desiderabile per il proprio Paese.

A distanza di oltre ventun anni dal dicembre 1991 il ricordo del comunismo e dell’URSS, almeno in Russia è ancora vivo. L’occidente ha pensato bene di cominciare una demonizzazione e una damnatio memoriae contro il comunismo che ha qualcosa di paradossale, visto e considerato che si preferisce ignorare che l’esperimento socialista ebbe un peso importante nel determinare la nascita e la crescita del welfare. Le tv presentano il comunismo sovietico sempre e comunque in modo negativo, al punto che il termine stesso “sovietico” è diventato pregno di accezione negativa e viene utilizzato per esprimere un giudizio più negativo e inappellabile su un’idea o una proposta. Tutto ciò però è frutto della manipolazione occidentale, una manipolazione di massa che ha finito per sovrapporsi alla realtà. In Russia però le cose vanno diversamente e a ventun anni dallo smantellamento del socialismo reale la maggioranza dei cittadini russi si dice ancora convinta che quel sistema sarebbe ancora oggi il migliore possibile. L’indagine è stata effettuata dal Centro Levada,  un istituto russo di ricerche demoscopiche attendibile e serio, non sospetto di condurre operazioni politiche suggerite dall’alto né tantomeno di alimentare ad arte la Nostalghia. Dati alla mano secondo il sondaggio a oggi il 36% dei russi considererebbe il sistema politico sovietico come il migliore per il proprio Paese, contro il 22% che invece vorrebbe vivere in un sistema di democrazia occidentale, e contro il 17% che considererebbe come migliore il sistema di “democrazia” di Putin. Un anno fa le percentuali di gradimento erano rispettivamente del 29, 29 e 20 per cento, quindi cresce in modo importante la nostalgia nei confronti dell’URSS. C’è un’altro dato interessante, circa il 51% dei cittadini russi riterrebbe ideale il sistema di economia pianificata e di proprietà statale dell’Unione Sovietica contro il 21% che preferirebbe invece il libero mercato e la proprietà privata. E’ quindi chiaro che a distanza di ventun anni il sistema capitalistico non è riuscito a sostituire nel cuore dei russi il sistema sovietico che, per quanto largamente imperfetto, rappresentava comunque un sistema economico e sociale del tutto alternativo e per certi versi più avanzato. Se poi si vedono oggi le difficoltà attraversate dal capitalismo, ecco che si comprende il motivo della folle demonizzazione post-guerra fredda del comunismo. Il rischio di un crollo del capitalismo e di una vittoria postuma delle idee di Marx infatti. è sempre in agguato.

Fonte: Tribuno del popolo

mercoledì 14 maggio 2014

In Ucraina il cannone tuona per salvare l'egemonia del Dollaro


di Vincenzo Maddaloni Fonte: geopolitica

In Ucraina il cannone tuona per salvare l’egemonia del Dollaro


«Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico e diverrà un impero sostanzialmente asiatico.»[...] Ma se Mosca riconquista il controllo dell’Ucraina, coi suoi 52 milioni di abitanti e grandi risorse naturali, oltreché l’accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente riconquisterà le condizioni che ne fanno un potente stato imperiale esteso fra Asia ed Europa.»
Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera. Il mondo e la politica nell’èra della supremazia americana, 1997
Quando l’anno scorso di questi tempi, il presidente Vladimir Putin inviò in Cina il patriarca di tutte le Russie Kirill, non poteva prevedere quel che sarebbe accaduto in Ucraina. Oggi di quella sua iniziativa non può che rallegrarsene. Infatti, l’incontro di Kirill con Xi Jinping, che nel novembre 2012 è stato eletto segretario generale del Partito Comunista cinese e nel marzo 2013 è diventato presidente del Paese, si svolse – sarà lo stesso presidente Xi a spiegarne il perché – nel palazzo dell’Assemblea del Popolo in piazza Tienanmen. «Lei è il primo capo religioso in visita ufficiale al nostro Paese», aveva detto salutandolo il presidente Xi. «È una chiara dimostrazione dell’elevato livello e dell’ottima qualità delle relazioni tra i nostri due paesi», aveva aggiunto e, così dicendo, aveva consacrato Kirill alla Storia come il primo rappresentante di una Chiesa cristiana e per di più russa a essere ricevuto con l’ufficialità di un capo di Stato dal presidente della Repubblica Popolare Cinese.
E’ anche questo un fatto che aiuta a capire la velocità con cui sta mutando il mondo, tant’è che non a caso l’ex-ministro degli Esteri francese Hubert Vedrine parla di “punizione sado-masochista” che l’Occidente si è inflitto, poiché sanzionando la Russia ha avviato un processo di cambiamenti che gli si ritorcerà contro. Hubert Vedrine non ha dubbi: dalla crisi in Ucraina ne trarrà vantaggio soprattutto la Cina e naturalmente la Russia e con essi il Brasile, l’India e il Sud Africa che insieme costituiscono il BRICS.
Si tenga a mente che i Paesi BRICS rappresentano più di un quarto delle terre emerse del mondo, oltre il 40 per cento della popolazione del globo, e il 35 per cento delle riserve valutarie mondiali. Le economie dei cinque paesi BRICS assommano a 12 mila miliardi di dollari, e supereranno quella statunitense – 15 mila miliardi dollari – entro il prossimo anno, come assicurano gli esperti. Anzi, secondo le stime dell’ex economista della Goldman Sachs, Jim O’Neill, entro il 2020 il Pil del BRICS sarà addirittura di 25 mila miliardi di dollari. Questo è il risultato di un’alleanza nella quale ciascun Paese è sostanzialmente differente dall’altro, non soltanto per razza o colore o fede, ma anche per come ciascun Paese del gruppo si amministra. Insomma, nonostante tutto la formula funziona, e l’obiettivo che il gruppo si pone è di rivoluzionare il mercato globale piuttosto che quello regionale o locale. Il che vuol dire, per prima cosa, diversificare le valute di riferimento in modo che il dollaro non sia più l’unica moneta di pagamento a livello mondiale.
Il 20 maggio il presidente della Russia Vladimir Putin sarà in visita ufficiale in Cina. Prima tappa a Shanghai per firmare il contratto per la costruzione di un gasdotto dalla Russia alla Cina che è destinato a stravolgere le regole del mercato della energia, poiché le operazioni di compera e vendita non saranno più in dollari bensì nella valute nazionali dei due Paesi. Il successo della visita è scontato, almeno secondo Vladimir Yevseyev, direttore del Centro per gli Studi Socio-Politici russo, quando spiega che «La Cina, vuole comprare non solo il nostro gas naturale, ma anche il nostro combustibile nucleare per alimentare le sue centrali nucleari. Sarà pure rafforzata sensibilmente la cooperazione tecno-militare, saranno create nuove joint venture. Insomma stiamo entrando in un nuovo livello di relazioni».
Sicché prendono forma le previsioni di Arvind Subramanian e Martin Kessler del Peterson Institute for International Economics statunitense che disegnano un quadro nel quale la moneta nazionale cinese – il renminbi, il RMB – si rafforza mentre il dollaro s’indebolisce. Essi confermano che il RMB è già la moneta di riferimento in India e in Sud Africa. Poi spiegano che dalla metà del 2010 il RMB ha fatto passi da giganti come valuta di riferimento rispetto al dollaro e all’euro. «Le valute di Corea del Sud, Indonesia, Malesia, Filippine, Taiwan, Singapore e Thailandia ora sono collegate più al RMB che al dollaro. Il predominio del dollaro come moneta di riferimento in Asia orientale è ora limitato a Hong Kong, Vietnam e Mongolia». Pertanto, «Il dollaro e l’euro hanno ancora un ruolo che va ben al di là di quello del RMB, ma tutto sta cambiando a favore della moneta cinese», conclude la relazione di Arvind Subramanian e Martin Kessler.
L’accordo che sarà firmato a Shanghai accelererà questa tendenza che, come ho avuto occasione di scrivere, certamente avrà effetti devastanti sui meccanismi economico-finanziari che sostengono lo status di superpotenza degli Stati Uniti. Infatti, l’unico modo che essi da sempre hanno per far sì che il resto del mondo continui ad accettare riserve di dollari sempre più svalutati (dopo la fine della conversione in oro, decisa da Franklin D. Roosevelt e poi confermata da Richard Nixon) è quello di legare indissolubilmente il biglietto verde ad un bene fondamentale per tutte le economie: l’energia. Ogni volta che è venuta meno questa certezza gli Stati Uniti hanno fomentato una crisi: Libia e Egitto, Siria e Afghanistan, Pakistan e Iraq e adesso l’Ucraina – una catena di orrori senza soluzione di continuità.
Quest’ansia perversa di salvaguardare il dollaro e con esso il governo dell’America sul mondo sta alimentando in Ucraina uno scontro che coinvolgendo la Russia rischia davvero di mettere in gioco gli equilibri geopolitici dell’intero pianeta. Ne è una conferma tra le tante, il pogrom antirusso di Odessa, con il lancio di molotov, di granate artigianali, di assedi, di incendi e un bilancio di almeno una cinquantina di morti ad opera delle squadre nazistoidi di Pravy Sektor (“Settore Destro”), protette e inquadrate – è risaputo – dalla Cia. Quanto basta per scatenare un conflitto mondiale.
Questa caparbia volontà degli Stati Uniti i quali, pur di conservare lo status di superpotenza globale scatenano sanzioni ed embarghi, esercito e marina, droni e blocchi contro quelle nazioni che, a loro insindacabile giudizio, metterebbero a rischio il loro potere, si scontra inevitabilmente con le ambizioni economiche di una Cina la quale non vuole non solo più dipendere dal dollaro, ma è decisa a sbarazzarsi anche di quelli che ha. Il risultato è che le sanzioni statunitensi non producono effetti sulle nazioni che sono partner commerciali della Cina.
Così è accaduto con l’Iran del quale la Cina è il primo partner commerciale, come conferma il quotidiano britannico Financial Times. E così accadrà con la Russia di Vladimir Putin. Il quale arriverà il 20 maggio a Shanghai e il giorno dopo a Pechino con tutto il patrimonio energetico, economico, e con il gotha della finanza e dell’imprenditoria russa.
Assetata com’è di materie prime, la Cina ha di recente intensificato la sua presenza pure in America Latina, quella che nell’immaginario è da sempre “il cortile degli Usa”. E dunque, con gli Usa impantanati in Ucraina, non poteva scegliere stagione migliore il ministro degli Esteri cinese Wang Yi che ha appena terminato il suo viaggio nel continente sudamericano durante il quale ha visitato Cuba, Venezuela, Argentina e Brasile. A luglio, sarà il presidente Xi Jinping che compirà il medesimo giro e s’incontrerà con Raul Castro, Nicolas Maduro, Cristina Fernandez e Dilma Rousseff. L’occasione è il vertice del BRICS che si svolgerà a Fortaleza, in Brasile appunto dal 15 al 17 di luglio.
E’ un appuntamento molto atteso poiché avviene dopo la visita di Putin a Shanghai e l’adozione del rublo e del renminbi anche nel mercato dell’energia. Dopotutto, proprio l’anno scorso in Sud Africa, dove si è svolta l’ultima riunione del BRICS, Brasile e Cina hanno firmato un accordo, per un valore di 30 miliardi di dollari, che consente ai due Paesi di usare le proprie rispettive monete per gli scambi commerciali bilaterali. Il tutto in sintonia con quanto conclamato nel 2009, nello storico primo summit delle economie emergenti riunito in Russia, che si concluse con la dichiarazione congiunta: «Crediamo che sia veramente necessario avere un sistema di divise più stabile (del dollaro statunitense), di facile pronostico e più diversificato».
Nel giro di un lustro dalle dichiarazioni i Cinque sono passati ai fatti. Se ne è accorta per prima la Germania che nel marzo scorso si è aggiudicata il titolo di piazza finanziaria dell’eurozona per gli scambi nella moneta cinese. Francoforte diventa l’hub europeo, l’unico autorizzato a regolare le transazioni finanziarie in renminbi cinesi. «E’ un passo importante sulla strada della internazionalizzazione della nostra moneta», ha detto il presidente Xi Jinping ai politici e agli imprenditori di Düsseldorf, durante la sua visita in Germania. A far da fondale ci sono i resoconti annuali dei flussi commerciali tra la Cina (la seconda più grande economia del mondo) e la Germania (la più grande d’Europa), che superano di gran lunga quelli con la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia messe insieme.
Sicché meglio si capisce il nervosismo, ad ogni sussulto del dollaro, della Federal Reserve Bank, delle lobby finanziarie, dei gruppi di interesse fautori di un globalismo esasperato, e di un capitalismo ferreo. Costoro reagiscono ammassando forze militari e paramilitari ai confini russi in Europa, e nelle acque della Cina in estremo Oriente. Poiché le controversie tra Ucraina e Russia su Crimea e federalismo ucraino diventano un utile pretesto per incoraggiare l’uso della forza, del confronto armato, con lo scopo non ultimo di distrarre l’attenzione da quello che è il loro problema principale: la salvezza del dollaro e con esso dell’impero americano. Su questo l’amministrazione Obama fa quadrato, poco importa se il cannone è tornato a tuonare nel centro dell’Europa. L’impressione è che tuonerà per molto tempo ancora, perché questa maxi intesa tra Cina, Germania e Russia, per non dire dell’accordo energetico monstre in renminbi-rubli tra Putin e Xi, preoccupa gli americani parecchio.

lunedì 12 maggio 2014

Crisi ucraina: il grande bluff delle sanzioni economiche dell’Occidente contro la Russia


di Jean-Paul Pougala Fonte: Aurora sito



Soyuz-Docked-with-ISSCrisi ucraina: il grande bluff delle sanzioni economiche occidentali contro la Russia
Ecco il 2 e 3 aprile 2014, i titoli dei principali quotidiani occidentali:
The New York Times del 2 aprile è il primo a pubblicare la nota interna di un certo Michael F. O’Brien, vicedirettore per le relazioni internazionali della NASA, “La NASA rompe il maggior contatto con la Russia” (NASA ha tagliato tutti i rapporti con la Russia).
Il giorno dopo, il 3 aprile, sono emittenti e giornali europei ad  entrare in ballo:
“La NASA taglia i rapporti con Mosca a causa della crisi in Ucraina”, Info-RTS (Radio Télévision Suisse).
“La NASA sospende i “contatti” con la Russia”, Le Monde
“La NASA sospende i contatti con la Russia”, Le Figaro
Queste informazioni sono solo fumo, come il bluff delle pseudo-sanzioni economiche occidentali contro la Russia sulla crisi ucraina e ne capiremo immediatamente il perché.
Oblio selettivo delle informazioni
Tutti i giornalisti che danno queste informazioni non comunicano quella più importante, di soli cinque giorni prima che contraddice tali presunte informazioni. Il 27 marzo 2014, al Congresso degli Stati Uniti d’America, il numero 1 dell’agenzia spaziale statunitense, la NASA, Charles Bolden dice ad alcuni deputati e senatori statunitensi che se ci saranno sanzioni tra Russia e Stati Uniti, gli Stati Uniti avranno più da perdere. Spiega perché in realtà gli Stati Uniti non potrebbero sostenere a lungo le sanzioni russe contro gli statunitensi nello spazio. In conclusione, secondo le agenzie, da AP a Reuters via AFP, ai membri del Congresso “conferma la fiducia nel partenariato spaziale con la Russia, da cui gli Stati Uniti dipendono per inviare i loro astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), nonostante le tensioni per la crisi ucraina“. Ecco le informazioni fornite dallo stesso direttore al Congresso degli Stati Uniti. Ma perché i giornali occidentali ignorano queste informazioni per concentrarsi invece su una nota interna del vicedirettore di una sottocommissione? Ancora più inquietante: perché Michael F. O’Brien può fare una dichiarazione in totale contraddizione con le dichiarazioni del suo capo di cinque giorni prima? Ecco in dettaglio la sua dichiarazione: “Data la violazione da parte della Russia della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, fino a nuovo avviso il governo statunitense ha deciso che qualsiasi contatto tra la NASA e funzionari del governo russo dovrebbe essere sospeso, salvo quanto diversamente ed espressamente previsto (…) L’agenzia spaziale degli Stati Uniti pone termine ai voli dipendenti dalla Russia, così come all’ospitalità data ai russi nei suoi edifici, e decreta il congelamento dei contatti via e-mail, teleconferenze o videoconferenze“. Chi ha ragione in questo gioco a poker truccato, dove entrambi i giocatori giocano lo stesso ruolo  al fine di confondere il cittadino ignaro in una cortina di fumo e montature? In  tutto ciò, vi sono due statunitensi nello spazio con tre russi che volano sulle nostre teste nella stazione spaziale internazionale, ISS. Dalla fine dei voli degli Shuttle nel 2011 ad oggi, è la Russia che ha i mezzi tecnici per inviare qualcuno su questa stazione. Il direttore della NASA cercava di spiegare ai congressisti che se la Russia si arrabbia, i due astronauti statunitensi rimarranno bloccati per sempre nello spazio.
E l’Agenzia spaziale europea? Il suo caso è ancora più grave, perché per inviare i propri cittadini nello spazio, gli europei sgomitano. E la Russia ne approfitta. La tariffa per visitare la Stazione Spaziale Internazionale ISS per qualsiasi cittadino non russo è di 71 milioni di dollari, 53 milioni di euro andata e ritorno. E i posti sono limitati, naturalmente. Nel caso di serie sanzioni contro la Russia, questa potrebbe semplicemente rimborsare il Paese occidentale del biglietto di ritorno chiedendogli di sbrogliarsela da solo nel far rientrare il suo astronauta. Si può quindi immaginare l’effetto devastante sull’opinione pubblica occidentale contro i propri capi politici che lasciano morire i propri astronauti nello spazio. Non è finzione, questo è il piano B che Mosca ha preparato in risposta agli occidentali, se superassero la linea rossa. Per saperlo basta ascoltare il viceprimo ministro russo Dmitrij Rogozin dopo la prima delle sanzioni del 28 aprile. Ecco cosa ha detto all’agenzia russa Interfax: “Se vogliono colpire l’industria dei missili russi, automaticamente abbandoneranno i loro cosmonauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (…) Onestamente, cominciano a dare sui nervi con le loro sanzioni e non capiscono nemmeno che gli ritorneranno come boomerang.(…)” E secondo l’agenzia Itar-Tass ecco cosa aggiunge sul suo account Twitter: “Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro la nostra industria spaziale. Ma abbiamo avvertito che risponderemo dichiarazione per dichiarazione e azione per azione (…) Gli statunitensi potranno inviare i loro astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) con un trampolino“. I due astronauti statunitensi sono Rick Mastracchio e Steve Swanson e il loro rientro è previsto per ottobre 2014. Salvo che nel frattempo la situazione si aggravi tra i due Paesi e che i russi semplicemente decidano di lasciarli morire nello spazio. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama avrebbe dovuto seguire il consiglio di un detto popolare akonolinga del Camerun, che recita: “Se vuoi entrare in lotta, per primo togliti il cesto di uova che hai sulla testa“. Prima di fare dichiarazioni sensazionali sulle sanzioni contro la Russia, si dovrebbe far prima rientrare gli astronauti. La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è un investimento da 150 miliardi di dollari forniti da diversi Paesi del mondo. Ma in realtà è gestita dalla Russia, dato che essa solo ha i mezzi tecnici per portarvi personale. Per ridurre la dipendenza dai voli del cargo da trasporti russo Progress, il governo degli Stati Uniti ha concluso accordi miliardari per inviarvi solo 40 tonnellate di carico con due società statunitensi, l’Orbital Sciences per 1,9 miliardi dollari (8 viaggi per consegnare 20 tonnellate di carico) e la SpaceX per 1,6 miliardi dollari (12 viaggi per trasportare 20 tonnellate di carico). Pertanto, senza i russi il programma spaziale degli Stati Uniti è un’avventura piuttosto rovinosa, senza risultati convincenti. L’uscita del 2 aprile 2014 della NASA, che denunciava la cooperazione con la Russia per la crisi ucraina, è un vero e proprio bluff, perché almeno in questo settore, gli statunitensi hanno bisogno dei russi e non il contrario. Ci sono per esempio sempre due navette russe Sojuz nella stazione spaziale, per evacuarne gli occupanti in caso di imprevisti o d’emergenza (incendi, mancanza di ossigeno, prolungata assenza di elettricità, ecc.). Tuttavia su ogni navetta ci sono solo tre posti. E in caso d’incidente, come regola sono i russi i primi a prendervi posto e Mosca poi decide il destino dei restanti occupanti, chi salvare e sacrificare tra europei e statunitensi. E questo non è tutto. Nel settore degli investimenti e dei lanci orbitali dei satelliti per comunicazioni militari o civili, gli Stati Uniti dipendono dalla Russia. Secondo il New York Times del 2 aprile 2014, il segretario della Difesa degli Stati Uniti d’America, Chuck Hagel, ha preteso rabbiosamente che l’US Air Force non si rivolga più alla Russia. Finge di dimenticare che i previsti satelliti militari statunitensi sono assegnati al vettore Atlas-5 della joint venture tra Boeing e Lockheed Martin. E queste due aziende da anni usano per i loro lanciatori motori realizzati in Russia, tra cui i famosi RD-180 che hanno superato tutti i record di lanci senza incidenti dovuti a guasti del motore. Dire a Boeing o Lockheed Martin di lasciare i motori russi, significa chiedergli di iniziare nel 2014 le ricerche su nuovi motori per equipaggiare i loro vettori. Tempo necessario, almeno 10 anni per avere i primi motori. Si tratta puramente e semplicemente di null’altro che stupidità strategica. Ma perché tale improvviso odio contro la Russia? È per amore dell’Ucraina? Ne dubito.
7451784_origLa democrazia negli USA
Per comprendere la sequenza degli eventi in Ucraina negli ultimi mesi, può essere importante tornare al 1835 per leggere un libro di 438 pagine, attuale punto di riferimento per comprendere la politica degli Stati Uniti. Ecco cosa Alexis de Tocqueville scriveva nel primo volume del suo libro, “La democrazia negli Stati Uniti“: “Sulla terra oggi ci sono due grandi popoli che, partendo da diversi punti, sembrano muoversi verso lo stesso obiettivo: i russi e gli anglo-americani. Entrambi sono cresciuti nell’ombra; e mentre l’attenzione degli uomini era rivolta altrove, improvvisamente sono tra le prime nazioni, e il mondo ne ha appreso quasi allo stesso tempo nascita e grandiosità. Tutti gli altri popoli sembrano aver raggiunto i limiti che la natura gli ha tracciato non avendo che da conservare; ma loro avanzano: tutti gli altri si sono fermati o avanzano con estrema difficoltà; solo loro camminano con passo rapido e facile su un corso di cui non si possono ancora vedere i limiti. (…) Per raggiungere l’obiettivo, i primi puntano agli interessi personali e danno libero corso alla forza e alla ragione individuali. I secondi concentrano in qualche modo su un uomo tutto il potere della società. (…) Il loro punto di partenza è diverso, i loro percorsi sono diversi; tuttavia, ciascuno sembra chiamato a un disegno segreto della Provvidenza, che un giorno terrà nelle sue mani i destini di mezzo mondo“.
Quando analizziamo gli eventi in Ucraina, possiamo dire che dei due protagonisti principali, gli Stati Uniti sembrano agire con maggiore dilettantismo, nella mediocrità. Minacciare di sanzioni Putin, acclamato dal suo popolo con quasi l’80% di popolarità per aver annesso la Crimea, sperando che tremi come un bambino alla’asilo, è alquanto ingenuo per non dire sciocco. Ma perché? Secondo le analisi e le previsioni di Tocqueville, la democrazia statunitense è indebolita dalla totale assenza di libertà intellettuale, per via di ciò che chiamava “dispotismo delle masse” e “tirannia della maggioranza”. Dice che in questo Paese gli “ignoranti si credono saggi”. Sul dilettantismo statunitense nella politica internazionale sappiamo che non è dovuto a mancanza d’intelligenza dei suoi strateghi, ma piuttosto dal bisogno di compiacere e assoggettarsi alla “tirannia della maggioranza”, agli ignoranti che non sanno nemmeno dove siano i propri interessi. E’ in questo contesto che il presidente Obama annuncia e minaccia sanzioni economiche contro la Russia, quando tutti sanno che tali sanzioni non saranno mai messe in pratica senza colpire gli operatori economici degli Stati Uniti. Ciò vale per gli Stati Uniti, ma anche per i loro alleati. In termini puramente economici, si veda l’esempio di uno dei Paesi occidentali che brandisce le sanzioni contro la Russia, la Germania.
Germania
I politici europei sono veramente incoscienti“. Non lo dico io, ma è ciò che pensa e dice apertamente chi conta nell’economia tedesca, soprattutto industriali chimici, automobilistici e bancari riguardo le dichiarazione dei vari capi europei sulla crisi ucraina. In un articolo del quotidiano economico francese “La Tribune” del 13 marzo, con il suggestivo titolo: “I padroni tedeschi riluttanti a punire la Russia“, il giornalista Romaric Godin ci dice come praticamente tutti i boss tedeschi siano in prima linea nel difendere Vladimir Putin e la sua decisione di annettere la Crimea. E per non offendere il padrone statunitense questo sostegno non apparirà mai sui giornali tedeschi che all’unisono hanno condannato il malvagio Vladimir ed espresso il loro sostegno ai manifestanti Euro-Majdan a Kiev, che entreranno nella storia per aver attuato la rivoluzione più idiota regalando al nemico che volevano umiliare, la Russia, una regione dalle dimensioni del Belgio. Ci sono state delle eccezioni, tuttavia, nell’allineamento unanime della stampa tedesca dietro il presidente Obama. Questo è il quotidiano “Handelsblatt“, espressione della confindustria tedesca. Nel suo editoriale del 13 marzo, l’editore in persona, Gabor Steingart, denuncia gli occidentali per il confronto fatto da Hillary Clinton tra Vladimir Putin e Hitler. Va oltre, restituendo al mittente le accuse di espansionismo mosse dall’occidente contro Putin. Risponde l’ex-vice di McCain nelle presidenziali del 2008 degli Stati Uniti, Sara Palin, che ha trovato Obama troppo morbido sul caso ucraino e ha suggerito la necessità di un duro per bloccare un altro duro; Steingart si beffa completamente di ciò che chiama la politica chiacchierona dei “pitbull” occidentali. Ma in questa fase, c’è ancora qualcosa che intriga: perché diavolo la confindustria tedesca sostiene Vladimir Putin, al punto da prendere in giro i propri politici? Questi capi tedeschi hanno presentato alla cancelleria Merkel il risultato di un sondaggio che dice che il 69% del popolo tedesco è con Vladimir Putin e contro le sanzioni. Ciò ha spinto il vicecancelliere Gabriel a cercare di calmare il malcontento degli industriali tedeschi con promesse che contraddicono il comunicato finale di Bruxelles che conferma le sanzioni contro i funzionari russi, in questi termini: “La Germania farà di tutto per evitare nuove sanzioni contro la Russia“.
Il motivo di questo attendismo è più facile di quanto si possa immaginare: il buon senso. I tedeschi hanno rinunciato all’energia nucleare. Hanno bisogno di produrre energia termica, soprattutto dall’energia fossile in cui il gas fa la parte del leone. Oggi il prezzo del gas che la Russia applica per la Germania non è il risultato di un negoziato, l’equilibrio di potere è completamente a favore della Russia perché non vi è partita, la Germania non ha alcuna alternativa credibile al gas russo, e i russi lo sanno. Quindi, indipendentemente dal prezzo che i russi imporrebbero, i tedeschi dovrebbero pagare senza batter ciglio. Ma la Russia non ne abusa. Sostenendo la competitività tedesca la Russia mantiene il prezzo del gas in modo corretto, sufficiente a che queste aziende possano soddisfare sempre più clienti e quindi aver sempre più bisogno del gas russo. Ecco perché la quasi unanimità degli industriali tedeschi nell’indignazione verso la cancelliera Merkel che supporta la causa dell’opposizione ucraina sostenendo apertamente i manifestanti anti-russi. Questo è anche il motivo per cui gli industriali tedeschi, noti per la loro discrezione, hanno gettato le loro riserve. Ad esempio, il 12 marzo 2014 Jürgen Fitschen, presidente della federazione delle banche private BdB, co-direttore della Deutsche Bank, ha fatto dichiarazioni ufficiali mendicando  dalla cancelliera Angela Merkel di smetterla d’innervosire la Russia, perché dice “non si sa mai cosa può succedere nella testa di un Putin arrabbiato“. E che la Germania non può permettersi il lusso di solleticarlo per scoprirlo. In altre parole, prega i politici tedeschi di non aderire all’unanimità europea contro il presidente Putin, e di fare tutto “per evitare assolutamente di far rivivere la Guerra Fredda”. Quando ho provato a chiedere ad alcuni degli industriali tedeschi del loro sostegno alla Russia, più o meno ho avuto l’essenza del loro ragionamento assai pragmatico: la Germania versa ogni anno alla Russia 40 miliardi di euro per acquistare soprattutto gas. E la Germania non ha risolto il problema del deficit commerciale per bilanciare i conti tra i due Paesi. Ciò che dicono è facile da capire anche per i bambini all’asilo: la Germania paga 40 miliardi di euro alla Russia. E’ responsabilità degli industriali tedeschi recuperare questi soldi con tutti i mezzi, perché un deficit commerciale con un Paese significa essere sempre più poveri rispetto a quel Paese. E ogni anno i risultati sono incoraggianti, la Germania recupera dalla Russia circa l’8% annuo del suo debito. E una crisi con la Russia rovinerebbe tutto il lavoro degli industriali tedeschi per ridurre lo squilibrio tedesco nei confronti della Russia, dove sono presenti 6000 aziende tedesche.
Si comprende dunque perché il 12 marzo di quest’anno, il presidente della Federazione degli esportatori tedeschi, BDA, ha convocato una riunione di emergenza a Berlino seguita da una conferenza stampa per dire, forte e chiaro, che gli industriali tedeschi sono con la Russia. Ha continuato suggerendo al governo di prendere tempo. Ecco cosa ha detto in una conferenza stampa: “l’essenziale obiettivo principale da raggiungere nella crisi con la Russia è guadagnare tempo e non lanciare immediatamente i missili delle sanzioni“. Per coloro che non capiscono, dice che si deve fingere di condannare la Russia ufficialmente, ma in sordina continuare gli affari, dopo tutto queste aziende hanno investito 20 miliardi di euro in Russia.
I miliardi della Crimea
Si osservino i volti dei capi dell’Ucraina alle riunioni con i capi occidentali. Notate qualcosa di strano? Osservate ancora con cura. Ancora non vedete niente di strano? Beh, ci sono persone che hanno appena preso il potere con un golpe nella rivoluzione popolare, dovrebbero essere molto felici. Beh no, hanno una faccia da funerale. Sono in lutto. Guardate Obama quando riceve il nuovo primo ministro ucraino alla Casa Bianca. La si confronti con la conferenza stampa in Olanda del mese prima. Sono in lutto, sì anche Obama è in lutto. Pensate che il lutto sia per la Crimea? Bingo, indovinato. Ma ciò che non sapete è che non si tratta solo della Crimea. E perché sono in lutto? Per capirlo, indaghiamo con un po’ di brainstorming e dalle nostre informazioni su alcune situazioni reali. Quando a Kiev vi è stato tale sorta di passaggio di poteri da un governo legittimamente eletto dal popolo dell’Ucraina a estremisti di destra sostenuti da Stati Uniti ed Unione europea, in quel preciso momento il gigante russo del gas Gazprom accelerava la costruzione del gasdotto South Stream che dovrebbe bypassare l’Ucraina a sud rifornendo Paesi come l’Italia o l’Austria del gas russo, aggiudicando l’appalto per la costruzione della prima delle 4 sezioni del gasdotto alla società italiana Saipem, per un importo di 2 miliardi di euro. Stessa cosa con due altre aziende, la tedesca Wintershall già partner del progetto al 15% e la francese EDF che possiede sempre il 15% del progetto, sei giorni prima dell’occupazione della Crimea da parte delle cosiddette SDF russe. Ma questa informazione non dice nulla. Per comprenderne la portata, scopriamo dalle notizie pubblicate il giorno stesso dell’occupazione della Crimea da parte delle truppe russe, su un giornale russo specializzato in questioni energetiche del marzo 2014, il mensile “Ekspert” che titola: “Con la Crimea, la Russia risparmia 20 miliardi di dollari sul gasdotto South Stream“. Per comprendere il significato di questa informazione, dobbiamo ricordare che la Russia ha deciso di costruire due gasdotti, uno a Nord attraverso il Mar Baltico, portando il gas in Germania, Paesi Bassi, Belgio e Francia bypassando l’Ucraina, evitando la crisi del 2007 e i ricatti che Kiev potrebbe imporre sulle forniture di gas russo all’Unione europea. Quindi il secondo gasdotto denominato South Stream che passa per Mar Nero, Turchia e Grecia, rifornendo Italia, Grecia, ecc., sempre bypassando il territorio ucraino. Solo che quando il progetto fu tracciato, si basava su una Crimea ucraina e quindi l’evitava. Occupando la Crimea, ha ridotto la lunghezza della pipeline e quindi il lavoro per completarlo. Risparmio totale: 20 miliardi di dollari. Finora, e non dico sempre, Obama e i nuovi dirigenti a Kiev sono in lutto per la perdita della Crimea. Ciò semplicemente perché la Crimea era l’unica possibilità per l’Ucraina d’indipendenza energetica dalla Russia da quando furono scoperti, su un’area di 1400 kmq al largo della Crimea orientale, i giacimenti di gas e petrolio più importanti della regione. Secondo il quotidiano economico italiano “Il Sole 24 ore” del 15 marzo 2014, le scoperte fatte dagli occidentali, tra cui ENI, Shell e Exxon, sono fenomenali. Il quotidiano italiano spiega che l’ENI dovrebbe controllare il 50% dell’operazione e la società pubblica ucraina Chornomornaftogaz, come spesso accade in Africa, solo il 10%.
Il progetto South Stream sarebbe costato ai russi 46 miliardi dollari. Recuperando la Crimea, il costo passa a 25 miliardi di dollari. E inoltre la Russia nega l’unica possibilità dell’Ucraina di produrre petrolio e gas. La questione ora è come l’Ucraina senza la Crimea potrà pagare i propri debiti con l’occidente. La Russia potrebbe anche condonarglieli ma in ogni caso i giacimenti di gas e petrolio dalla Crimea consoleranno i russi. Ecco perché le sanzioni pseudo-economiche contro la Russia non fanno né freddo né caldo al Presidente Putin e al Primo ministro Medvedev, cosa che quest’ultimo ha detto  in una dichiarazione del 22 aprile. Tornando al gasdotto South Stream e alla Crimea. La Russia ha già steso una mano agli europei, offrendo alle società Saipem, Wintershall ed EDF un buon prezzo. La velocità della proposta dimostra che è una manovra per dividere gli europei, e che funziona: da allora, da quando si parla di sanzioni economiche dell’Unione Europea contro la Russia, non c’è unanimità su una dura presa di posizione contro la Russia. E la statunitense Exxon e l’olandese Shell? Anch’esse si sono rivoltate contro i loro rispettivi governi pur di evitare il confronto con i russi per le sanzioni. Saranno escluse dalle operazioni in Crimea su petrolio e gas? Il beneficio finanziario della Crimea è troppo grande per la Russia per farsi emozionare dalle sanzioni occidentali ed inoltre penalizzerà gli stessi investitori in terra russa. La Russia attraverso Gazprom ha diviso le briciole del progetto South Stream tra diversi Paesi, come Austria, Bulgaria, Croazia, Grecia… Paesi che in sordina soffrono l’ira della Commissione Europea, che si giustifica così: “Nella sua forma attuale, il gasdotto South Stream non opererà sul territorio dell’Unione europea”. Per la Commissione ci sono tre ragioni per non andare avanti: “nessuna separazione tra produzione e trasmissione, monopolio dei trasporti e opacità della struttura tariffaria“.
Conclusione parziale
Le eventuali sanzioni dell’occidente contro la Russia sono una spada a doppio taglio che farà più danni all’occidente che alla Russia, Continente-Stato di 17 milioni kmq che può tranquillamente vivere in completa autarchia isolandosi dal mondo senza soffrirne indebitamente. Meglio, viviamo nel ventunesimo, piuttosto che nel ventesimo secolo. Le sanzioni economiche saranno solo simboliche perché i beni rifiutati a un Paese vengono rapidamente sostituito da altri. E su questo punto i cinesi non si fanno pregare sostituendo i Paesi che applicano sanzioni. L’abbiamo visto in Iran, s’è visto anche in Corea democratica dove, nonostante le sanzioni occidentali, non manca nulla. S’è visto anche in Zimbabwe, dove quasi ci si dimentica che c’è un embargo economico europeo contro questo Paese, perché lì i voli giornalieri da Harare per Londra sono stati sostituiti dai voli giornalieri per Pechino. Seguendo la strategia della Cina in occidente, la Russia mette le mani su tutti i gioielli dell’economia occidentale, perché ha i soldi, un sacco di soldi. La Russia ha una chiara strategia per controllare il mercato azionario e comprare tutte le aziende che operano in Russia su aree strategiche. Così, British Petroleum fu acquistata dai russi per 55 miliardi di dollari, vale a dire 27500 miliardi di franchi CFA. L’azienda dei trasporti francese GEFCO è ora di proprietà al 100% di una società delle ferrovie russe. In Italia, Pirelli è inghiottita dai miliardi russi. In un caso o nell’altro i russi non sono africani. Sanno quali sono i loro interessi e sanno come difenderli. Qualsiasi sanzione contro di loro riduce due volte in ginocchio coloro che le impongono.
sevastopol-putinQuali lezioni per l’Africa?
Quando il 2 maggio 2014 49 ucraini chiamati dagli occidentali “filo-russi” e dai russi “sostenitori del federalismo ucraino” sono stati bruciati vivi in un edificio del sindacato a Odessa, nel sud dell’Ucraina, dai “filo-occidentali” o “partigiani dell’unione”, le reazioni più di ogni altro hanno chiarito che l’Ucraina gioca ancora una parte nella Guerra Fredda tra gli Stati Uniti d’America e la Russia, per interposti attori. Gli statunitensi sanno di essere stati ancora una volta intrappolati dai russi nella famosa conferenza di Ginevra del 17 aprile 2014. Gli statunitensi credevano di avere i russi in pugno facendoli sedere per la prima volta su un tavolo con coloro che l’amministrazione Putin ha definito “estremisti che hanno preso il potere a Kiev illegalmente“. Gli statunitensi scoprirono, solo dopo la riunione, che in fondo hanno dovuto convalidare l’annessione della Crimea alla Russia, dato che tutto sarà discusso a Ginevra, ma senza alcuna traccia della Crimea, formalizzando di fatto l’accettazione degli Stati Uniti dell’annessione della Crimea alla Russia. E’ questa consapevolezza che frustra Washington mettendo sotto pressione la sua gente al potere a Kiev per sferrare l’attacco armato contro i separatisti in Ucraina orientale. In fondo fu lo stesso Obama che chiese e ottenne la risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel marzo 2011, per proteggere gli abitanti di Bengasi in Libia perché, disse, “Gheddafi spara al proprio popolo”. Forse il presidente degli Stati Uniti Obama riesce a spiegarci la differenza tra il popolo di Bengasi in Libia, che riceve il suo sostegno, e le popolazioni di Slavjansk, Odessa, Kostantinovka, Marjupol, Kramatorsk, ecc., uccise e bruciate dai militari del proprio Paese inviati dai golpisti di Kiev agli ordini di Washington. Forse Obama è l’unico a spiegare la differenza tra le dichiarazioni del capo dei servizi antiterrorismo ucraino, Vassilij Krutov, in una conferenza stampa a Kiev il 3 maggio 2014: “L’Ucraina è ora in una situazione di guerra, perché ciò che accade nella regione di Donetsk e nelle regioni orientali non è un evento passeggero, ma una guerra“.
Le affermazioni della Guida libica Gheddafi, nel febbraio 2011, dicevano: “Ciò  che succede a Bengasi non è una rivolta del popolo scontento, ma terroristi stranieri di al-Qaida che ci hanno dichiarato guerra. E a Bengasi c’è la guerra“. Su qualunque cosa Obama decide a geometria variabile i buoni e definisce gli altri, i cattivi da combattere, secondo gli interessi del momento degli Stati Uniti. Ma temo che questa volta il presidente degli Stati Uniti non sia nemmeno in grado di scoprire perché sostiene il caos in Ucraina o, peggio, sia incapace di dire come i morti nella parte orientale e meridionale dell’Ucraina siano utili agli interessi degli Stati Uniti. O tutti questi morti servono solo a flettere i muscoli contro il nemico, la Russia? Oggi la Repubblica del Sud Sudan creata da Obama con il fuoco e il sangue, con il solito aiuto della razzista Corte penale internazionale che aveva decretato che i malvagi si trovavano a Khartoum, il cui peggiore difetto è avere accordi strategici con la Cina, escludendo le società statunitensi dall’operare nel suo sottosuolo. L’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale del Sud Sudan aprì il giorno dell’indipendenza, al fine di far godere al Sud Sudan i miracoli forniti dalla democrazia. Obama non ha nemmeno lasciato un giorno di tregua a questi nuovi capi nel decidere con quali Paesi avere relazioni diplomatiche, così come hanno avuto l’indipendenza con il caos che gli statunitensi erano riusciti a creare in Sudan con l’aiuto dei loto illustri attori di Hollywood, che dalle loro sontuose ville in California scorgevano il genocidio in Darfur. E quando hanno diviso il Sudan in due parti, il miracolo s’è avverato: il genocidio in Darfur è improvvisamente scomparso. La staffetta è passata al Sud Sudan sotto il controllo di Washington. E se la Russia minacciasse sanzioni economiche e militari agli Stati Uniti, se la pace non tornasse rapidamente in Sud Sudan?
5059F911-9D9E-4F25-B7BF-B2EE8274BC2D_mw1024_n_sTraduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 Jean-Paul Pougala insegna Geostrategia Africana al Master II presso l’Istituto Superiore di Management, ISMA, di Douala, Camerun

Donetsk: «Chiediamo l’annessione a Mosca»

Ucraina. Il referendum conferma le volontà indipendentiste. Kiev riprende l’offensiva militare
Persone in fila per votare al referendum indipendentista in Ucraina
Con oltre il 90 per­cento dei favo­re­voli nella regione di Lugansk, e oltre l’80 per­cento in quella di Done­tsk, le due regioni sepa­ra­ti­ste hanno uffi­cia­liz­zato la pro­pria richie­sta di indi­pen­denza. Le imma­gini del week end hanno mostrato parec­chia gente accorsa ai seggi, accu­sati di non aver bril­lato per tra­spa­renza; ma d’altro canto il risul­tato era scon­tato e il refe­ren­dum rap­pre­senta il momento più sim­bo­lico della man­canza di fidu­cia, da parte delle regioni orien­tali, rispetto al governo uscito dalla bat­ta­glia di Maj­dan a Kiev.
Supe­rata la dome­nica di voto, dun­que, si ritorna a par­lare di poten­ziali solu­zioni alla crisi, anche se il risul­tato elet­to­rale delle regioni sepa­ra­ti­ste ha allon­ta­nato ancora di più le parti. Per Kiev, l’Unione euro­pea e gli Stati uniti si è trat­tato di una farsa; ben diverso il signi­fi­cato per i ribelli che hanno chie­sto, dopo l’ufficializzazione del voto, l’annessione alla Fede­ra­zione russa. Una richie­sta che segue le orme di quanto acca­duto in Cri­mea, ma che vede Mosca meno deter­mi­nata ad acco­gliere l’invito. Non solo, per­ché il capo degli insorti filo­russi dell’autoproclamata Repub­blica popo­lare di Done­tsk, Denis Pushi­lin, ha dichia­rato che le ele­zioni pre­si­den­ziali ucraine del pros­simo 25 mag­gio «non avranno luogo» nella regione di Done­tsk. Pushi­lin ha quindi affer­mato che per la set­ti­mana pros­sima non è pre­vi­sto alcun refe­ren­dum per l’annessione alla Rus­sia ipo­tiz­zato da alcuni osser­va­tori. La richie­sta di annes­sione, però, rimane. La regione di Lugansk ha invece chie­sto al governo ucraino «un’iniziativa di emer­genza» per modi­fi­care la Costi­tu­zione e adot­tare il federalismo.
Mosca ha fatto sapere di rispet­tare «l’espressione della volontà della popo­la­zione della regione di Done­tsk e Lugansk», con­fer­mando la pro­pria spe­ranza nel «dia­logo tra i rap­pre­sen­tanti di Kiev, di Done­tsk e di Lugansk». Que­sta è la linea di Mosca, già ripe­tuta più volte, arri­vata dopo alcune aper­ture piut­to­sto rile­vanti da parte del Crem­lino. Putin ha sot­to­li­neato tre aspetti per aprire nuo­va­mente il dia­logo tra le parti: stop all’offensiva di Kiev, in modo da assi­cu­rare le ele­zioni pre­si­den­ziali del 25 mag­gio e in attesa, dia­logo tra Maj­dan e i «sepa­ra­ti­sti».
Il pro­blema è che Kiev da que­sto punto di vista non sem­bra sen­tirci. Ieri dopo la pro­cla­ma­zione dei risul­tati del refe­ren­dum sono ripar­titi i bom­bar­da­menti alle città orien­tali, men­tre l’ipotesi di un dia­logo con gli espo­nenti delle regioni dell’est del paese non sem­bra rien­trare negli impe­gni segnati nell’agenda di Kiev.

D’altro canto Unione euro­pea e Stati uniti sem­brano fare ben poco per favo­rire un nego­ziato di que­sto tipo.
L’Ue, nono­stante le aper­ture di Hol­lande e Mer­kel del fine set­ti­mana, non pare avere la forza di costrin­gere Kiev a un dia­logo, nean­che sotto la minac­cia, magari, di con­ge­lare gli aiuti eco­no­mici. La man­cata forza di Bru­xel­les è evi­dente pen­sando ad altri due ele­menti: la Ue aveva chie­sto a gran voce un’indagine indi­pen­dente sui fatti di Maj­dan e una sul tra­gico togo di Odessa. Da Kiev nes­suna rispo­sta, né Bru­xel­les ha mai preso posi­zione sui 46 morti del palazzo del sindacato.

Dall’altro lato gli Usa, sono gli ultimi a poter mediare, vista la loro posi­zione così netta fin dall’inizio dello scon­tro in Ucraina. Non solo durante i giorni delle pro­te­ste e quelli della bat­ta­glia, l’ambasciata di Kiev è stata il quar­tier gene­rale della Cia, con tanto di capo al seguito, come ammesso da Washing­ton, non solo ha man­dato in Ucraina aiuti mili­tari non letali e uomini dell’Fbi, ma da quanto risulta dalla stampa tede­sca (Der Spie­gel) avrebbe inviato anche 400 mer­ce­nari a com­bat­tere nelle regioni orien­tali. Senza con­si­de­rare il fatto di aver finto di non vedere, al pari dell’Unione euro­pea, la pre­senza di neo­na­zi­sti all’interno dei mec­ca­ni­smi poli­tici e mili­tari del governo Yatseniuk.
Tutti invece si sono tro­vati con­cordi nel con­si­de­rare la Rus­sia come respon­sa­bile della crisi, tanto che ieri l’Unione euro­pea ha fatto par­tire nuove san­zioni con­tro Mosca. Il Con­si­glio Ue Affari esteri, in corso a Bru­xel­les, ha deciso di ampliare i cri­teri e la base legale delle san­zioni. Per la prima volta i mini­stri degli Esteri della Ue hanno deciso di col­pire due imprese della Cri­mea, nazio­na­liz­zate dalla Rus­sia a seguito dell’annessione della regione. Estesa anche la lista delle per­sone col­pite dal con­ge­la­mento degli asset finan­ziari e dalla restri­zione sui visti. In numero delle per­sone san­zio­nate è salito a 61. Nel frat­tempo Yatse­niuk, il pre­mier auto­pro­cla­mato di Kiev, ieri in serata ha incotn­rato a Kiev il pre­si­dente del Con­si­glio euro­peo Her­man Van Rom­puy e domani sarà ospite a Bruxelles.
La Com­mis­sione, ha ricor­dato l’esecutivo euroe­peo, «è deter­mi­nata ad aiu­tare l’Ucraina e ad assi­cu­rare che l’Ucraina abbia tutto il soste­gno di cui ha biso­gno, nel breve e nel lungo periodo».

mercoledì 7 maggio 2014

Ucraina. Bild accusa: “Nazisti foraggiati da Fbi e Cia”

Ucraina. Bild accusa: “Nazisti foraggiati da Fbi e Cia”

di G.B.

Fonte: Tribuno del popolo

Dopo lo spaventoso massacro di Odessa, su cui sta emergendo la netta responsabilità dei neonazisti, il quotidiano tedesco Bild ha rivelato come Cia e Fbi stiano giocando un ruolo di primo piano in Ucraina, ovviamente appoggiando gli estremisti di destra in chiave antirussa. 
Mentre la stampa italiana, con l’eccezione di Panorama, ha vergognosamente oscurato la strage di Odessa, cercando quasi di far finta di nulla di fronte alle barbarie, in Germania il noto quotidiano “Bild” ha deciso di dire la verità e ha accusato direttamente Cia e Fbi di star giocando un ruolo di primo piano in Ucraina. Sulla carta infatti Fbi e Cia dovrebbero “combattere il crimine organizzato“, ma in Ucraina sembrano più che altro coordinare “il lavoro delle squadre militari ucraine e dei gruppi di miliziani di estrema destra“. Affermazioni molto gravi che purtroppo trovano conferme sul campo dal momento che sono centinaia i testimoni oculari che hanno sentito mercenari del governo di Kiev parlare in inglese e maneggiare armi della Nato. Del resto Robert Brennan, capo della Cia, era o non era a Kiev poco prima del lancio della controffensiva contro l’Est? E come dimenticare quei campi di addestramento della Nato costruiti in Polonia e Paesi baltici dove i neonazisti ucraini si erano formati sul campo già ben prima del 2014? Senza contare, come riportato da Popoff Globalist, anche i ventitrè campi di addestramento militari per le nuove reclute neonaziste. Ma non è finita qui, il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine è andato anche oltre: “I radicali che operano nell’area di Odessa vengono letteralmente stipendiati dalla Nato. Quanto? La media per i miliziani è di mille euro al mese (un buon salario per gli standard ucraini). Mentre i leader arrivano fino a tremila euro“. Ironia della sorte però la maggior parte dei media europei fanno finta di niente, così come sembrano non occuparsi che le squadracce naziste del Pravy Sektor stanno per essere legalizzate dalla Rada ucraina, che peraltro continua a operare espellendo i deputati sgraditi e non rispettando alcuna regola democratica. Nonostante video e testimonianze accusino proprio i militanti del Pravy Sektor per la strage di Odessa, i neonazisti continuano a girare indisturbati godendo di una sorta di immunità. Del resto proprio i militanti del Pravy Sektor hanno preso la testa delle proteste di piazza Majdan con la violenza, ed evidentemente anche con il placet dell’Occidente. Non ne sentirete ovviamente parlare sui nostri giornali asserviti, ma Oltreoceano, come ricordato da Popoff Globalist, il giornalista e storico William Engdahl ha pubblicato un’inchiesta sul Centre for Research on Globalization nella quale accusa l’estrema destra ucraina di essere una sorta di braccio armato dell’Alleanza Atlantica nell’Europa dell’Est e nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, definendola «la nuova Gladio». Per non parlare di Victoria Nuland e John McCain che si sono fatti vedere con i leader di Svoboda e Pravy Sektor, sapendo benissimo chi erano e scegliendo scientemente di appoggiarli. Così il mainstream continua a occultare le violenze e gli squadrismi dei neonazisti ma per fortuna nel mondo di internet tanti reporter improvvisati stanno facendo girare video dei loro pestaggi a cittadini comuni, spesso in tanti contro uno. Sarebbe davvero interessante avere un parere da Barack Obama, per molti il difensore della “democrazia”.
 

Fascisti italiani in Ucraina? Una storia lunga


 Fascisti italiani in Ucraina? Una storia lunga
















di Federico Rucco 

Fonte: Contropiano

Ci sono dei mercenari fascisti che combattono in Ucraina insieme ai loro camerati di Pravi Sektor? In rete circola la foto e la notizia della presenza in Ucraina di tale Francesco Saverio Fontana, alias Francois Xavier Fontaine, alias Stan. Secondo alcune fonti, Fontana sarebbe un sodale di vecchie conoscenze del neofascismo italiano come Gabriele Adinolfi (tra di fondatori di Terza Posizione e oggi intellettuale di riferimento per Casa Pound), la foto lo mostra con la maglietta dell'omonimo gruppo anche se smentisce di esserne un militante. Nel 1978, a Pisa, fu cacciato da Lotta Continua e dopo pochi mesi fu beccato ad attaccare i manifesti del Movimento Sociale Italiano.
Ma è proprio un certo “Stan Ruinas” intervenendo sul forum fascista di Viva Mafarka il 3 maggio scorso, che dà la sua versione in primapersona di quanto accaduto ad Odessa: “Non sono un militante di Casa Pound che per altro stimo. Non mi vanto dei morti bruciati vivi. Ci hanno sparato e fatto 3 morti. La gente si è arrabbiata ed è successo per stanarli. Come PS e Self Defence ne abbiamo preso prigionieri 8 un po ammaccati ma nessuno li tocca più. Non è nello stile della Casa e della gente”.

La presenza di fascisti italiani in Ucraina è accertata, ma da quanto si deduce dai forum e dai siti neofascisti lo è anche in Russia; è in corso su questo un asprissimo dibattito tra le varie “anime nere”. Un dibattito che il “teorico” Adinolfi liquida così: “per tutti coloro che su Pravy Sektor e sui nazionalisti ucraìni sono perplessi o tendenzialmente ostili, esistono due possibilità nel muovere la loro critica: comportarsi o come i pussisti o come Evola. Nulla di più facile: seguite la vostra natura, perché non è solo questione di cultura ma soprattutto di razza dello spirito. E quella è quella che è: non si riesce a simularla né a dissimularla, emerge nella sue essenza”. Adinolfi contrappone gli atteggiamenti dei fascisti che erano stati interventisti nella prima guerra mondiale contro Austria e Germania (quindi Mussolini, Corridoni, D'Annunzio, Marinetti) con quello di Evola che invece sosteneva che bisognava schierarsi con gli Imperi Centrali. Tra i due Adinolfi mostra di preferire il secondo. 
Ma la vicenda della presenza dei fascisti nel conflitto in Ucraina ci rimanda a vicende analoghe già segnalate in occasione dell'arruolamento di fascisti italiani tra i miliziani croati, durante la guerra civile che ha insanguinato la Jugoslavia negli anni Novanta. Una esperienza bellica che è stata decisiva per la costituzione di una rete di “uomini neri” addestrati militarmente. Il vero crocevia di questa rete sembra essere stata infatti la Croazia e la comune esperienza accumulata nella guerra civile secessionista. In quel conflitto, fascisti italiani, slavi, francesi, tedeschi etc si ritrovarono insieme nelle milizie paramilitari fasciste del Partito del Diritto Croato (HOS). Anche sulla guerra civile in Jugoslavia il mosaico neofascista italiano ha conosciuto - come oggi sull'Ucraina - le sue divisioni. In gran parte filo-croati (i croati sono cattolici, molti sono anticomunisti e gli ustascia furono alleati del nazifascismo), solo alcuni settori della destra si schierarono con la Serbia (ortodossa e filorussa), in modo particolare sulla questione del Kosovo dove gli albanesi erano musulmani e agiva l'innaturale alleanza tra jihadisti e Stati Uniti che aveva mosso i suoi passi in Bosnia negli scontri precedenti.
La Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle stragi, a cavallo tra il 2000 e il 2001, chiese al Ministero degli Interni e al ROS dei Carabinieri l’acquisizione dei “Dossier balcanici” contenenti una ventina di nomi di neofascisti che avevano combattuto in Croazia e Bosnia durante la guerra civile che dilaniò la Jugoslavia negli anni ’90. (1)
In quelle settimane si stava indagando sull’attentato dinamitardo contro Il Manifesto che portò al ferimento e all’arresto dell’attentatore – il noto neofascista Andrea Insabato. Quest’ultimo, nel 1991 aveva promosso l’arruolamento in Italia di mercenari disposti ad andare a combattere per “la sorella Croazia che ora ha un nemico più grande. Si deve difendere dai serbi e dai comunisti”. Per la polizia c’erano almeno una trentina di neofascisti esperti di esplosivi e una ventina di loro aveva combattuto in Jugoslavia. (2)
Il sito antifascista francese “Reflex” riferisce che neofascisti francesi, italiani e tedeschi, furono integrati in Croazia e Bosnia nella “Legione Nera”, derivazione balcanica messa in piedi dall’organizzazione fascista francese Nuova Resistenza nell’estate del 1991, ossia nello stesso periodo dell’arruolamento avviato da Andrea Insabato e dal suo gruppo “Rinascita Nazionale”. Ma se il progetto di Insabato si arenò – il suo progetto era una sorta di linkage con la destra croata che prevedeva l’aiuto militare italiano in cambio delle zone croate rivendicate dall’Italia – i fascisti italiani rimasero lo stesso a combattere nelle milizie paramilitari in Croazia e Bosnia contro serbi e musulmani (3).
In quel contesto si ritrovarono insieme un vasto raggruppamento di “uomini neri” non solo dell’Europa occidentale ma anche ungheresi, rumeni, ultracattolici irlandesi, personaggi del tutto simili a quelli che abbiamo trovati coinvolti nelle vicende più recenti.
Un ruolo centrale nel finanziamento dei gruppi fascisti nei Balcani, chiama in causa quella che possiamo definire la “Holding nera” cioè il complesso impero finanziario messo in piedi in Gran Bretagna dai fuoriusciti neofascisti che gravitavano intorno a Terza Posizione e che oggi animano la più forte tra le organizzazioni neofasciste italiane: Forza Nuova.

Le più note società che fanno capo ai neofascisti italiani in Gran Bretagna sono le agenzie turistiche Easy London e i circa 1.300 negozi della catena Meeting Point. “Altre importantissime fonti di finanziamento del movimento sono due organizzazioni ultra cattoliche, che fin dagli inizi della latitanza hanno offerto a Fiore e Morsello protezione, ma soprattutto danaro, sono la St.George Educational Trust e la St.Michael Arcangel Trust, vale a dire enti per la promozione degli insegnamenti della chiesa cattolica. Della prima – afferma l’autore del libro “Trame Nere” Giuseppe Scaliati – secondo il quale “Fiore è amministratore ed è direttamente collegata alla St.George League, un piccolo e ricchissimo gruppo nazista in contatto con personaggi e fondi delle ex SS; la seconda, al pari della prima in quanto a ricchezza, prende il nome dall’Arcangelo Michele, santo patrono dei miliziani della Guardia di ferro del leader fascista rumeno Corneliu Codreanu”. E’ inquietante il nome scelto. Come noto Forza Nuova è stata fondata il 29 settembre del 1997 , il giorno di San Michele. Dietro un rassicurante e molto cristiano nome come quello dell’Arcangelo Michele agiva proprio la Legione dell’Arcangelo Michele nella Romania fascista degli anni trenta e quaranta.
Ma non è tutto, un‘altra inchiesta giornalistica ha portato alla luce l’esistenza del “Gruppo dei Quaranta”. Il gruppo che utilizza anche i fondi della “Third Position International” e che doveva acquisire un intero paese in Spagna per farne una sorta di zona liberata nera. “Le tracce del gruppo” scrive Guido Olimpio, l’esperto di intelligence del Corriere della Sera “sono state individuate nella ex Jugoslavia, in Italia e ovviamente in Gran Bretagna. Usando come copertura ditte e società, i neonazisti hanno arruolato lo scorso anno volontari da inquadrare nelle unità paramilitari della milizia croata HOS. Aiuti alla fazione sono stati inviati da Third Position International che ha patrocinato raccolte di denaro “in favore dei bambini croati”. Ed ancora “E’ probabile che attraverso il centro di reclutamento i neofascisti siano riusciti a raccogliere miliziani dell’ultradestra europea disposti a dar manforte ai camerati croati”. Sempre secondo Olimpio, il terminale italiano del “Gruppo dei Quaranta” è una rete che raccoglie i resti di varie formazioni (neofasciste, NdR) come i NAR, Ordine Nuovo e Terza Posizione (5).
C'è ancora tanta brutta gente in giro, anche in Ucraina. Antifascisti sempre!!

Fonti:

(1) Gianni Cipriani, Il Nuovo 23 dicembre 2000/ Indymedia Lombardia
(2) Atti della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle Stragi, seduta di martedi 9 gennaio 2001
(3) Sia il sito antifascista “Searchlight” sia The Guardian pubblicarono ampi servizi su questo
(4) Giuseppe Scaliati, “Trame Nere”, edizioni Frilli 2005
(5) Guido Olimpio, in Corriere della Sera del 24 novembre 1997