venerdì 29 agosto 2014

"No pasarán!"

Il Partito Comunista ticinese esprime il suo sostegno ai filorussi nel conflitto con l'Ucraina

Il Partito Comunista della Svizzera italiana esprime il suo sostegno agli indipendentisti filorussi del Donbass nel conflitto con l'Ucraina.
Il segretario Max Ay afferma che "i media occidentali, e purtroppo anche quelli della Svizzera italiana, da mesi stanno tacendo su quanto succede in Ucraina."
"In quel Paese un regime fascista imposto tramite un colpo di stato violento sta reprimendo la popolazione russa" dichiara il segretario del Partito Comunista. "Ha vietato l'uso della loro lingua, ha bruciato le fedi dei sindacati, sta compiendo attentati contro i leader della sinistra e ora vuole anche mettere al bando il forte partito comunista, che alle ultime elezioni aveva il 13% dei consensi. Insomma l'unico bastione contro gli oligarchi ed i fascisti."
"Il regime di Kiev è un regime terrorista, illegale e nazifascista, sostenuto apertamente dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea" aggiunge Ay.
Dichiarando che il Partito Comunista sostiene quindi la carovana antifascista della Banda Bassotti, "per raccogliere fondi a favore dei partigiani del Donbass, che resistono ai nazifascisti ucraini."
Infine i comunisti ticinesi ripetono in coro, anche in questa occasione, "No pasarán!".

lunedì 25 agosto 2014

L’Italia del governo Renzi esclusa dalla riunione di Berlino

di Luciano Lago
Fonte: controinformazione




Importante riunione oggi a Berlino degli Stati membri della UE che coinvolge i ministri degli Esteri di Francia, Germania oltre a Russia ed Ucraina per discutere circa la situazione della guerra che si sta svolgendo in Ucraina.
Partecipa il ministro russo Lavrov e la riunione ha la finalità di trovare una via d’uscita alla crisi determinata dalla sanguinosa guerra civile in corso tra l’Esercito di Kiev che ha intrapreso una spedizione punitiva contro le province di etnia russa del Donbass che si sono proclamate Repubbliche autonome di Novorussia.
L’Italia unico  assente al tavolo dei negoziati,  pur essendo questa il presidente di turno dell’Unione Europea. Non si è ritenuto di convocare il rappresentante degli esteri italiano, sig.ra Mogherini, in quanto del tutto insignificante la politica estera dell’Italia come Stato membro della UE.
Le ultime volte che la Mogherini ha partecipato a conferenze stampa a seguito di riunioni con gli altri membri della UE , questa si è limitata a leggere le veline dettate dal Dipartimento di Stato di Washington e ripetute a pappagallo dalla esponente del governo italiano.

D’altra parte nella sua veste di presidente di turno della UE, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, avrebbe potuto in precedenza sollecitare (a nome della UE) delle iniziative per riportare la pace in Ucraina, come ad esempio richiedere con forza al governo di Kiev la sospensione dei bombardamenti sulle zone civili delle città dell’Est Ucraina, avrebbe potuto sollecitare la creazione di corridoi umanitari per permettere ai civili di riparare in zone sicure, avrebbe potuto richiedere al governo di Kiev di sedersi ad un tavolo di trattative con i rappresentanti delle Repubbliche secessioniste, non lo ha fatto poichè questo non era nell’agenda di Washington, nonostante la UE avesse in mano l’arma di pressione degli aiuti economici all’Ucraina.
La passività e l’inerzia dimostrata dall’Italia hanno determinato la decisione di Germania e Francia ( paesi che contano) di escludere anche formalmente la presenza dell’Italia al tavolo delle trattative.
In questo modo Renzi, al di là delle tante sue tante chiacchiere, ha dimostrato di quanto sia tenuto in conto in Europa e sulla scena internazionale il suo governo, di fatto pilotato direttamente da oltre Atlantico per la politica estera e dalla Troika di Bruxelles e Francoforte per la politica economica.
Questo spiega anche l’indifferenza dell’Europa alle tante lamentele trasmesse dall’Italia sulla questione dell’immigrazione dal Nord Africa: nessun governo europeo prende sul serio queste lamentele e questi richiami, piuttosto vengono trasmessi segnali sbrigativi all’Italia di “arrangiarsi” come può poichè le cancellerie europee hanno ben altro a cui pensare.
Nel frattempo il rappresentante russo Lavrov ha posto l’accento sul diritto di Mosca di tutelare la propria sicurezza, visto che il conflitto si svolge a poche Km. dalla sua frontiera ed ha richiesto una cessazione immediata delle operazioni militari intraprese dal governo di Kiev al fine di intavolare delle trattative serie. Per tale motivo Lavrov ha richiesto a Washington, assente alla riunione, di fare pressioni sul suo alleato di Kiev per ottenere un cessate il fuoco.
Dal governo italiano nessuna posizione in proposito mentre si era avuto, due giorni, prima un sorprendente comunicato della Farnesina circa la spedizione degli aiuti umanitari sulla zona di Lugansk organizzata unilateralmente dalla Russia e che ha portato generi di necessità, medicinali ed alimenti alla popolazione bombardata e sotto assedio, varcando tale convoglio la frontiera ucraina dopo molti giorni di attesa forzata.
Nel comunicato la Farnesina condannava la spedizione degli aiuti umanitari fatta dalla Russia come” una azione gravissima”. Si deduce che una telefonata da Washington in proposito era arrivata allo stesso Renzi e questi si era immediatamente “adeguato” alle direttive dei padroni USA, in barba ad ogni esigenza di rispetto dei diritti umani sventolata in altre occasioni dal governo italiano. Vedi:   La Farnesina n campo “azione gavissima”
Niente di nuovo sotto il sole nella politica italiana: come in altre occasioni, la vecchia “libidine di servilismo” prende il sopravvento nei governanti italiani.

L’impero della finanza e l’eclissi della sovranità


di Mario Forgione

Fonte: Millennium



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Il 7 agosto scorso il Presidente della BCE Mario Draghi, in un intervento ad ampio raggio su crisi economica e stabilità dell’euro, si è espresso senza veli sul futuro prossimo dei paesi con difficoltà di ordine finanziario: “Gli Stati devono cedere la loro sovranità sulle riforme strutturali.” L’intellighenzia politica italiana, con un malcelato senso di fastidio, ha intuito il riferimento all’Italia e si è subito lanciata in parziali smentite sulla necessità di sottoporre il Paese ad un processo di riforme economiche concordato con la Commissione Europea. In verità, il mese di agosto non è nuovo a simili suggerimenti da parte della BCE. Gli analisti di politica economica ricordano bene la lettera della BCE del 5 agosto 2011 indirizzata al governo Berlusconi con le indicazioni delle riforme “strutturali” per scongiurare la crisi dello spread (tasso di interesse sui titoli del debito pubblico) e della solvibilità del debito pubblico. Non si tratta di una banale coincidenza, ma di un rito che si ripete nel tempo. Nel mese di agosto, infatti, vengono elaborate le linee di politica economica da attuare in autunno, tenendo conto delle previsioni di crescita e dei dati macroeconomici provenienti dagli istituti preposti alla loro raccolta. Si tratta, nelle specie, di analisi macroeconomiche che poi determinano la legge di stabilità (approvazione del bilancio dell’esercizio precedente e dei nuovi capitoli di spesa). In realtà, negli ultimi tempi, la vaghezza del linguaggio giornalistico è un ostacolo importante per la corretta individuazione del significato da attribuire ai concetti espressi dalla dialettica politica. Una delle espressioni più abusate dall’inizio della “crisi dello spread” è quella riguardante le cosiddette “riforme strutturali,” che gli organi dell’UE considerano prioritarie per togliere l’Italia dalla pericolosa oscillazione tra stagnazione e recessione economica. In realtà, l’opinione pubblica è ignara del contenuto delle riforme strutturali invocate dalla UE al punto da costringere l’Italia a cedere la propria sovranità per imporle con un vero e proprio atto di imperio. Anche la classe politica si trincera nel vago e preferisce rendere evanescente l’espressione per evitare di pagare un costo elettorale. Le riforme strutturali sono di natura essenzialmente economica e mirano alla destrutturazione della politica sociale e dell’intervento pubblico in economia. Sostanzialmente, la lettera del 5 agosto del 2011 si articola in due punti essenziali: a) Necessità di una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala; b) Riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale, permettendo accordi al livello di impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. Le indicazioni sono chiare: la strada da seguire è quella del liberismo integrale e della eliminazione di qualsivoglia forma di intervento pubblico in economia. La lettera della BCE del 5 agosto 2011, se letta nella giusta prospettiva e non semplicemente come frutto di un contesto particolare, rappresenta l’inizio di una prassi e di una modalità di azione da parte degli organismi di vertice dell’UE tesa a elidere ogni forma di controllo democratico sull’entità delle misure economiche da adottare per evitare la deflagrazione dell’unione monetaria. Del resto, lo stesso Giulio Tremonti, Ministro dell’economia e delle finanze dell’ultimo governo Berlusconi, in una intervista a il Giornale del 30/7/2013, si è espresso in maniera chiara sul contenuto della lettera: “Pensare che una lettera di quel tipo restasse segreta rivela una distorta cultura democratica. Se davvero hai la mentalità degli arcana imperii devi almeno evitare che si sappia in giro che c’è una lettera senza precedenti nei rapporti europei. Una volta che l’hai fatto sapere, pensare che il testo resti segreto era per lo meno puerile. Specie per come era stata scritta, chiedendo che le azioni dettagliate ed elencate fossero prese alla lettera, “per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro settembre 2011. Molto democratico!”
Giulio Tremonti riprende le stesse argomentazioni nel libro pubblicato nel gennaio del 2012, Uscita di sicurezza.[1] Questo, in sintesi, il pensiero di Tremonti sull’operato della BCE: “ La BCE ha pensato e agito come se la stabilità dell’euro, questa la sua essenziale missione, dipendesse solo dal livello dell’inflazione o solo dai deficit/debiti pubblici, e non anche dalle criticità proprie delle finanza privata, su cui in realtà non si è sufficientemente vigilato, né a livello nazionale né a livello centrale, e soprattutto a livello macroeconomico. In specie gli enti creditizi e la finanza privata, con le loro degenerazioni, sono stati totalmente ignorati, non osservati, non vigilati; la loro massa non è apparsa sugli schermi della BCE. Non è apparsa, si ripete, nemmeno a quel livello macroeconomico che pure era ed è di sua competenza. Un drammatico difetto di visione. Probabilmente è stato così perché la finanza privata era allora generalmente considerata incapace di sbagliare.”
Gli eccessi della speculazione finanziaria e dell’investimento in finanza strutturata degli enti creditizi non sono stati corretti, ma salvaguardati e garantiti dai bilanci pubblici. Il paradosso è quello di permettere alla politica di intervenire a tutela dei bilanci delle banche, ma di impedire alla stessa di correggere le storture del sistema e garantire il livello minimo dei servizi sociali. Dietro le indicazioni della BCE, quindi, esiste una precisa volontà politica: quella di togliere tutti i residui spazi di sovranità popolare. La BCE non si limita più alle “raccomandazioni” o alle direttive tecniche, ma impone addirittura il metodo e detta i tempi delle riforme. Nel gergo degli esperti di diritto pubblico questa prassi prende il nome di “stato di eccezione”, sospensione del normale processo legislativo per esigenze di tenuta del sistema. In verità, la criticità di un simile operato da parte di un organo tecnico e non elettivo come quello della BCE si pone in netto contrasto non solo con il Trattato sul funzionamento dell’UE, ma con la stessa Costituzione italiana. Infatti, l’articolo 127 del TFUE impone alla BCE di mantenere la stabilità dei prezzi (controllo dell’inflazione), ma non di individuare le linee guida di politica economica che gli Stati membri della UE devono adottare. Ancora, l’articolo 11 della Costituzione Italiana permette le cessioni di sovranità, ma al solo scopo di garantire la pace tra le Nazioni. In questo senso, se la partecipazione ad un organismo sovranazionale come l’UE mette a rischio il livello della prestazioni sociali essenziali, la stessa idea di sovranità popolare di cui all’articolo 1 della Costituzione si eclissa in una evidente deriva tecnocratica.
L’epoca attuale segna l’eclissi definitiva della sovranità, della necessità che i pubblici poteri siano in accordo con la volontà e le esigenze del popolo. Alain De Benoist, in un testo pubblicato nella primavera del 2014, parla di “Fine della Sovranità”[2] e articola una sorta di scansione temporale per individuare le diverse tappe che hanno portato alla scomparsa di qualsivoglia forma di raccordo tra azione politica e volontà popolare. Secondo De Benoist, infatti, la “fine del mondo non è avvenuta in un giorno preciso, ma si è spalmata su più decenni.” Il processo di estensione della logica mercantilistica su scala globale ha portato l’organismo sociale ad una sorta di sclerosi che ne sta comportando la totale disintegrazione. Si assiste, nella specie, ad una forma di estrema precarizzazione dell’esistenza, una vera e propria modernità liquida per citare Zygmunt Bauman.[3] In tal senso, Diego Fusaro ha precisato che “il precariato non è soltanto una forma lavorativa, peraltro la più meschina dell’intera storia dell’umanità, in quanto si regge sul duplice nesso di un asservimento che non si vede e di un esproprio forzato della progettabilità dell’avvenire: esso è, piuttosto, la cifra complessiva del nostro tempo storico, in cui vulnerabilità, precarietà e insicurezza regnano ovunque incontrastate.”[4]
Il carattere peculiare dell’attuale crisi economica deve essere individuato nella “completa emancipazione della finanza di mercato rispetto all’economia reale e dall’indebitamento generalizzato.”[5] Del resto, per avere un’idea chiara del fenomeno descritto sopra basta tradurre in cifre i concetti esposti: nel 2011 il valore dei derivati ha raggiunto l’ astronomica cifra di 707. 569 miliardi di dollari pari a circa 11,2 volte l’intero prodotto lordo del pianeta, che ammonta a circa 62. 911 miliardi di dollari.[6] Questo processo di totale asservimento dell’economia reale a quella finanziaria è stato coadiuvato dalla scomparsa di tutte quelle forme di regolamentazione emanate dopo la crisi del ’29 per evitare l’indebita commistione tra banche d’affari e banche commerciali. Si allude, nella specie, alla cosiddetta “deregolamentazione” dei servizi finanziari. L’abolizione, nel 1999, del Glass – Steagall Act (1933), che vietava alle Banche la commistione tra assicurazione, finanza e commercio, ha segnato l’inizio di un inesorabile processo di emancipazione della finanza dalle logiche dell’economia reale. Secondo De Benoist, “non più di mezzo secolo fa, la sovranità politica degli Stati posava su tre pilastri: sovranità economica, sovranità militare e sovranità culturale. Oggi, questi tre pilastri sono crollati. Poiché la mondializzazione ha ridefinito la frontiera tra il settore commerciale e quello non commerciale a favore del primo, gli Stati non solo non possono regolare o controllare il funzionamento dei mercati che creano e scambiano gli strumenti di credito al livello di tutto il pianeta, ma non possono neanche contenere l’ascesa esponenziale di una nuova classe transnazionale, che si afferma a scapito degli emarginati e degli esclusi.”[7] In questo senso, la mondializzazione elimina ogni spazio esterno alla lex mercatoria, in quanto l’esistenza di ogni alterità viene non solo combattuta con il ricatto delle sanzioni economiche, ma addirittura negata come possibilità logica. Il processo di emancipazione del mercato finanziario rispetto a ogni vincolo politico è iniziato con l’ascesa al potere di Margaret Thatcher (1979) e Ronald Regan (1981) e ha raggiunto il suo acme con la dissoluzione dell’URSS (dicembre 1991). La dissoluzione dell’URSS, infatti, non ha avuto solo riflessi geopolitici, ma ha eliminato quell’alterità necessaria al sistema liberal – capitalistico. Solo la saldatura e la cooperazione tra i Paesi BRICS e l’America Latina può offrire un diverso modello di sviluppo economico e sociale rispetto a quello del capitalismo assoluto. L’esproprio di sovranità a favore dei mercati finanziari è stato ancora più radicale nell’Unione Europea, in quanto il TFUE vieta alla BCE di comprare sul mercato primario i titoli pubblici degli stati membri e obbliga questi ultimi a finanziare la propria spesa con i tassi decisi dai “mercati.” Si tratta, nella specie, di una dinamica pericolosa perché espone gli Stati al ricatto degli istituti finanziari e all’eclissi della sovranità politica ed economica. Nessuna riforma, nessun intervento di politica economica può essere attuato se non trova il “gradimento dei mercati” e delle agenzie di rating (specializzate in analisi sulla solvibilità dei organismi debitori). Lo spread, il cosiddetto differenziale tra i titoli pubblici dei paesi UE, non è altro che un termometro per misurare il livello di favore di cui godono gli Stati nell’ambito dei mercati finanziari. Inoltre, le singole banche nazionali possono finanziarsi dalla BCE ad un tesso pari all’1.5% e compare titoli pubblici che rendono fino al 4%. In questo modo, precisa De Benoist, “il debito entra così in una situazione di crescita esponenziale, per la semplice ragione che tutto il denaro messo in circolazione proviene da prestiti bancari e il contraente il prestito deve sempre rimborsare più dell’importo ricevuto. Una spirale infernale.”[8] Le soluzioni adottate dall’UE per uscire dalla spirale di tagli alla spesa, recessione e conseguente aumento del debito pubblico hanno reso ancora più radicale il processo di esproprio della sovranità politica degli Stati.
Nel marzo del 2012, gli Stati dell’UE hanno istituito il MES (Meccanismo europeo di stabilità) il cui capitale deve essere portato a 700 miliardi di euro. L’articolo 9 del MES prevede che i paesi devono contribuire al fondo in proporzione al PIL. Questo significa che l’Italia dovrebbe versare circa 125,3 miliardi di euro, una somma importante per un paese che oscilla tra recessione e stagnazione economica dal 2011. Tecnicamente, il MES ha il compito di evitare le crisi di solvibilità degli Stati membri, ma nessuno degli analisti si è soffermato sul meccanismo perverso attraverso il quale dovrebbe operare questo fondo. Nella specie, le banche nazionali che ricevono prestiti dalla BCE all’1.5% possono erogare prestiti al MES ad un tasso superiore e quest’ultimo, in caso di crisi di solvibilità di uno degli Stati membri, può erogare prestiti ad un tasso ancora più alto allo Stato in difficoltà. Ergo, gli Stati si indebitano per pagare gli interessi sui prestiti concessi dagli istituti creditizi. Si tratta, quindi, di un preciso disegno di ingegneria finanziaria per eliminare ogni spazio di sovranità politica ed economica.
Un altro Trattato, noto nel gergo degli specialisti come “Fiscal Compact,” firmato dagli Stati dell’UE (ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca) nel marzo del 2012 e approvato dall’Italia nel settembre del 2012, ha assestato un ultimo colpo al concetto di sovranità popolare. I contenuti del Trattato sono chiari: limitazione del deficit allo 0,5% e debito pubblico da contenere entro il 60%. Inoltre, il Trattato prevede la riduzione automatica del debito eccedente il 60% nella misura di 1/20 all’anno. Questo significa che l’Italia, il cui debito ammonta 2.168 miliardi (135,6% sul PIL),  dovrebbe ridurre il proprio debito di circa 65 miliardi all’anno. Si tratta di cifre fuori da ogni logica e destinate a frantumare gli ultimi residui di coesione sociale.
Ancora, nel giugno del 2013 i 27 membri dell’UE hanno dato ufficialmente il mandato alla Commissione europea di negoziare con gli Stati Uniti un Partenariato transatlantico del commercio e degli investimenti (TTIP). Si tratta, nella specie, di un complesso progetto per la creazione di un mercato comune tra Europa e Stati Uniti. Del resto, il progetto risale alla Presidenza Clinton del 1995 e si è arricchito di nuovi sviluppi fino al 2009, l’anno in cui Obama ha deciso di imprimere una forte accelerata alle negoziazioni. Gli obiettivi ufficiali delle cancellerie europee di quella degli Stati Uniti sono quelli di eliminare le ultime barriere commerciali (dazi doganali), ma lo scopo è quello di sottrarre agli Stati la possibilità di regolamentare il mercato dei capitali e dei servizi. Del resto, alle negoziazioni sul TTIP partecipano numerose multinazionali come la Nestlè, la Walt Disney, la IBM, Microsoft ecc. Infatti, “come al momento della costituzione del NAFTA (zona di libero scambio che lega il Canada, gli Stati Uniti e il Messico) nel 1994, l’obiettivo manifesto è, come si è visto, quello della deregolamentazione degli scambi tra i due più grandi mercati del pianeta. Il progetto mira alla soppressione totale dei diritti di dogana sui prodotti industriali e agricoli, ma soprattutto si propone di raggiungere i livelli più alti della liberalizzazione degli investimenti.”[9] L’UE e gli Stati Uniti, quindi, dovrebbero far convergere le loro legislazioni in tutti i settori della produzione di beni e servizi. Questo significa che l’Unione Europea deve prendere come modello la legislazione di una Nazione che si pone fuori dal diritto internazionale per quanto riguarda l’ecologia, il lavoro, la protezione sociale e la sicurezza alimentare (si pensi alla complessa tematica degli OGM). Inoltre, il progetto di Partenariato prevede che gli Stati che non si adeguano alle norme del TTIP possono essere chiamati a rispondere delle loro violazioni dinanzi a tribunali arbitrali internazionali istituiti al preciso scopo di rendere vincolante ogni determinazione del Trattato. Le multinazionali potrebbero ottenere risarcimenti illimitati qualora la legislazione degli Stati non dovesse evolvere in senso liberista. Siamo all’ultima tappa di un complesso processo di eclissi  della sovranità: siamo oltre il pensiero di Friedman e Hayek. Lo scopo del neoliberismo non è la riduzione dei compiti dello Stato, ma la totale subordinazione di ogni determinazione politica alle direttive del mercato. La necessità del tempo attuale impone l’emergere di una nuova “massa critica”, di una nuovo approccio dialettico alle questioni nazionali e internazionali. Isolare le questioni interne da quelle internazionali è puerile e pericoloso. La nuova dinamica del capitalismo globale impone di ripensare la politica e con essa la prassi. Prima che sia troppo tardi e l’eclissi della sovranità completa.





[1] Giulio Tremonti, Uscita di Sicurezza, p. 90, Rizzoli,2012.

[2] Alain De Benoist, La fine della sovranità, Arianna Editrice, 2014.

[3] Zygmunt Bauman, Vita Liquida, Laterza Editori, 2006.

[4] Diego Fusaro, Minima Mercatalia, p. 405 Bompiani, 2012.

[5] Alain De Benoist, op. cit., p. 21.

[6] Dati raccolti dalla Banca dei regolamenti internazionali.

[7] Alain De Benoist, op. cit., pp. 31 e 32.

[8] Alain De Benoist, op. cit., 45.

[9] Alain De Benoist, op. cit., pp. 83 e 84.

Le “Brigate Internazionali” rivivono nel Donbass

Novorossiya: dei volontari europei e degli ufficiali francesi a fianco dell’esercito del Donbass e per il “socialismo europeo”!

Volontari spagnoli
Volontari spagnoli


Il Primo ministro della Repubblica Popolare di Donetsk (DNR) ha affermato che “degli ufficiali francesi andranno a combattere a fianco dei filo-russi”.

Dei francesi andranno a breve a lottare nei ranghi dei separatisti filo-russi in Ucraina, ha detto il Primo ministro della Repubblica popolare di Donetsk Alexander Zakharchenko, domenica 24 agosto. “Domani riceverò degli ufficiali dalla Francia, degli specialisti. Sono pronti a combattere con noi”, ha detto in una conferenza stampa.


 
COMBATTENTI FRANCESI, SERBI E SVIZZERI… MA ANCHE SPAGNOLI

Alexander Zakharchenko, che si è insediato a metà agosto per sostituire il russo Alexander Borodaï, non ha dato ulteriori dettagli sui francesi né sul loro numero. Ci sono anche “dei serbi e degli svizzeri” fra i combattenti che lottano per “le idee del socialismo europeo”, ha detto. Egli ha fatto a proposito riferimento all’“uguaglianza, alla fraternità, alla Rivoluzione francese, alla Marsigliese”.

Non è sfuggito a nessuno che i leader delle repubbliche del Donbass hanno delle idee simili a quelle che il PCN ha sviluppato da 30 anni e la nostra Organizzazione Comunitaria Transnazionale da 50 anni. Questo non è sorprendente dal momento che siamo i responsabili della riattivazione, nel 1986, dell’Eurasiatismo, la grande idea di tutti i patrioti della Grande-Europa da Vladivostok a Reykjavik (capitale Mosca) …

Il fatto che dei francesi vadano a combattere “per quegli ideali che portarono alla presa della Bastiglia” “significa che la nazione (francese) non è morta”, ha giudicato Alexander Zakharchenko. Il leader del DNR ha anche detto che i repubblicani avevano lanciato questa domenica una “contro-offensiva” a sud della città di Donetsk, circondata per un mese dall’esercito ucraino. Ha riportato diverse centinaia di morti e feriti tra i ranghi avversari.

Noi aggiungiamo che dei compagni spagnoli della “Brigata Internazionale” combattono nel “Battaglione Vostok” dell’Esercito del Donbass.

L’Europa (quella vera, non la NATO-land dei mercanti di Bruxelles) “è un’idea combattente in marcia. Cammina da 2000 anni, da Maratona”, ha detto – ormai quasi 200 anni fa – il grande Mazzini, il leader della prima “Giovane Europa”…

Gloria ai nostri eroi e ai nostri martiri!



 

Luc MICHEL 



Traduzione a cura di SeP

Volontari francesi 

Volontari francesi




Volontari serbi

 Volontari serbi

L’incubo di Washington diventa realtà: Il partenariato strategico russo-cinese diventa globale

di Andrew Korybko

Fonte: Aurora sito


La partnership strategica russo-cinese (RCSP), ideata nel 1996, è l’ancora geopolitica dell’Eurasia del 21° secolo, plasmandone evoluzione ed ingresso nel mondo multipolare. Nessun altro rapporto politico tra attori dei due continenti vi si avvicina, facendo della RCSP l’unico formidabile rivale degli Stati Uniti con le loro alleanze militari privilegiate con NATO, regni del Golfo e Giappone. Nella lotta di questo secolo per il supercontinente, l’interazione tra RCSP e Stati Uniti definirà la politica mondiale.
??????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????Detrattori o distrattori?
Molto rumore proviene dai media occidentali sulla RCSP, con qualche illuminazione dell’importanza sfida al Washington Consensus, e altro, presentata come null’altro che l’aggravarsi  della dipendenza di Mosca da Pechino. Tali vedute vengono spesso strombazzate sia per spaventare gli statunitensi e giustificare l’aggressione del loro governo a Russia e Cina, che per alimentare la disinformazione volta a dividere Russia e Cina. Solo raramente la RCSP viene citata come avvertimento agli Stati Uniti nel moderare le proprie politiche, modo più competente di presentare tali fatti all’elettore occidentale. L’intento dell’articolo è sostenere provocatoriamente che la RCSP è già una realtà nel mondo in divenire, manifestazione dell’incubo di Washington che si estende dall’Eurasia al Nord Africa e America Latina, sfidando l’ordine occidentale, ma solo per guidarne la transizione al mondo multipolare, obiettivo di entrambi i Paesi nella loro solidarietà dal 1997. La riluttanza degli Stati Uniti nel riconoscere i cambiamenti radicali verificatisi nel mondo, da allora, e l’insistenza nel prolungare il momento unipolare in dissoluzione, sono le maggiori cause della destabilizzazione globale attuale. Nonostante i detrattori che cercano di suscitare paure e le tattiche divisive dei distrattori, la RCSP è solida, difensiva e più unita che mai. Esplorando le convergenze della politica russo-cinese nei settori chiave dell’Eurasia e altrove, l’articolo dimostrerà che la RCSP è viva e in crescita, e che attivamente avvicina il mondo al multipolarismo.
Parte I: Struttura
Prima di passare ai dettagli geopolitici della RCSP, occorrerà identificarne le basi strutturali: il ruolo di Russia e Cina, le basi della loro cooperazione e le azioni istituzionali per la ristrutturazione dell’ordine internazionale.
Contrappeso russo e porta cinese
Ci sono ruoli definiti che entrambi i partner svolgono nella loro interazione. La Russia agisce come equilibratore militar-politico in Eurasia, divenendo un’alternativa (che siano Stati Uniti o Cina) per  grandi potenze, Stati emergenti ed entità interessate. Verrà mostrato come funziona la stretta collaborazione della Russia con la Cina nell’assicurarsi che questo equilibrio raggiunga gli obiettivi strategici di entrambi, a volte riproducendo la dinamica del ‘poliziotto buono, poliziotto cattivo’. La Cina, da parte sua, è sulla via del sorpasso degli Stati Uniti quale prima economia mondiale in termini di PIL, quest’anno, ed è la potenza economica predominante nel mondo in via di sviluppo. I suoi profondi e privilegiati legami nei mercati in via di sviluppo dell’agricoltura e delle materie prime di Africa, America Latina e Stati del filo di perle ne fa la porta economica della Russia, soprattutto alla luce dei recenti sviluppi. Così, ciò che la Russia può fornire alla Cina in termini di equilibrio militar-politico nelle regioni chiave, la Cina lo ricambia con opportunità economiche e agevolazioni negli scambi tramite i suoi contatti e reti di elitarie. Naturalmente, il tandem tra Russia e Cina è ben lungi dall’essere perfetto, come lo è l’applicazione strategica nel mondo, ma questa è la teoria generale dell’approccio cauto: la Russia è il contrappeso e la Cina la porta. Più agiscono  assieme, per esempio in Medio Oriente e America Latina, più se ne intravedono gli obiettivi multipolari puri e lo stretto coordinamento; allo stesso modo, più si avvicinano questi due nuclei eurasiatici, più il rapporto appare complesso e difficile da comprendere.
La culla della cooperazione
La Shanghai Cooperation Organization (SCO) è la culla in cui la RCSP è nata e cresciuta.  Originariamente fondata come i Cinque di Shanghai nel 1996, fu riformata come SCO nel 2001 con l’inclusione dell’Uzbekistan. Da allora, ha stabilito la cooperazione con osservatori come Mongolia, India, Pakistan, Afghanistan e Iran, così come il dialogo per la collaborazione con Sri Lanka, Turchia e  Bielorussia. Questi Paesi rientrano direttamente nella sfera immediata della RCSP, in cui  Russia e Cina esercitano un certo grado d’importante influenza su vari livelli. Inoltre, la SCO fonda  le basi della RCSP, indicando la lotta contro “terrorismo, separatismo ed estremismo in tutte le loro manifestazioni” (quindi anche le rivoluzioni colorate), in quanto nemici principali. Si dà il caso che gli Stati Uniti siano impegnati in tali attività nella campagna per il caos e il controllo in Eurasia, mettendosi così in contrasto esistenziale con Russia e Cina, così come con gli altri aderenti. Non va dimenticato che la SCO conduce anche regolarmente esercitazioni militari congiunte.
Il bastione dei BRICS
Nella forma più visibile della RCSP, i due Paesi cooperano come forza nell’ambito dei BRICS. A  maggio Putin aveva dichiarato che con la Cina “abbiamo priorità comuni, sia globali che regionali… Abbiamo deciso di coordinare più strettamente la nostra politica estera, anche in seno a Nazioni Unite, BRICS e APEC… Non abbiamo divergenze. Al contrario, abbiamo grandi piani che siamo  determinati a tradurre in realtà”. Questa innovativa dichiarazione d’intenti globale s’è tradotta nel passaggio indispensabile all’azione al vertice BRICS di luglio in Brasile, in cui i cinque membri hanno fondato la nuova Banca di Sviluppo confrontandosi direttamente con il predominio economico istituzionale occidentale. Memorandum importanti sulla comprensione multipolare e la creazione di una riserva di valuta hanno conformato gli altri importanti risultati del vertice. Si può dunque vedere che i BRICS sono divenuti il baluardo istituzionale del coordinamento mondiale russo-cinese.
Sintesi strutturale
Russia e Cina hanno ruoli distinti nel loro tandem del potere, e ancora ne perfezionano l’interazione reciproca. La SCO, pur essendo un quadro multilaterale, opera essenzialmente come ente bilaterale della grande cooperazione russo-cinese, con l’Asia centrale come campo di attuazione di future applicazioni esterne. La continua collaborazione istituzionale tra Russia e Cina appare chiaramente nei BRICS, in particolare nell’ultimo vertice. Una volta analizzati unitariamente, entrambi i Paesi uniscono le forze nelle istituzioni appropriate, perseguendo l’obiettivo comune della multipolarità.
Parte II: Applicazione geopolitica
Ora è il momento di seguire le applicazioni geopolitiche della RCSP.  Questa sezione inizierà con l’Asia nordorientale e poi procederà in senso antiorario esplorando il doppio approccio verso Asia centrale, Asia meridionale e sud-est asiatico. Poi passerà all’Europa prima di guardare a Medio Oriente/Nord Africa (MENA) e America Latina. Solo in Africa la RCSP deve ancora maturare, anche se ci sono sicuramente possibilità per la Cina di bilanciare l’influenza della Russia nel continente, in futuro, e d’influenzare i leader regionali espandendone i legami commerciali con Mosca. Infine, la conclusione unificherà l’articolo dimostrando che la RCSP è veramente il rapporto più importante del 21° secolo e veicolo definitivo del multipolarismo. Al lettore si consiglia di tenere a mente quanto segue durante la lettura di questa sezione: ogni mano della RCSP è destinata a lavare l’altra e a completare la controparte nelle regioni/Stati in cui sarebbe in svantaggio rispetto al partner, con lo scopo finale di stabilire un vero multipolarismo globale. Con ciò premesso, l’esame della geopolitica della RCSP inizia.
Asia orientale
L’essenza della RCSP in Asia nordorientale è affrontare con attenzione la “portaerei inaffondabile” degli Stati Uniti e neutralizzarne la letalità. Russia e Cina avevano già dispute territoriali con il Giappone, prima dell’avvio della RCSP, ma il Giappone non ha aggravato tali tensioni che nei primi anni 2010. Il problema giapponese potrebbe più accuratamente essere visto come un problema statunitense, a causa dell’occupazione e della mutua sicurezza reciproca con il Paese, quindi tramite un delegato, la RCSP effettivamente affronta l’ostruzione statunitense al processo di pacificazione del Nordest asiatico. Tokyo ha sempre la ‘clausola per optare’ per la normalizzazione dei rapporti con Mosca (nell’interesse nazionale di entrambi gli attori), ma ciò non sembra apparire nell’orizzonte dell’amministrazione Abe. L’occupazione statunitense è troppo forte e influente perché il Paese se ne liberi nel prossimo futuro; sarebbe un colpo di fortuna una sua frattura e l’avvio di una vera politica estera indipendente, permettendo a Mosca di svolgere un ruolo positivo nel moderare le azioni di Tokyo verso Pechino. Nel contesto attuale, tuttavia, Russia e Cina sanno che il Giappone, e non la Corea democratica (entrambi i Paesi s’impegnano ai colloqui multilaterali per la denuclearizzazione), pone il forte rischio della destabilizzazione del nord-est asiatico, per via dell’aggressività delle rivendicazioni territoriali, in ciò aiutato e spalleggiato dagli Stati Uniti al fine di avere un partner regionale eterodiretto volto a sabotare la prospettiva della cooperazione pan-regionale. Così, per quanto improbabile possa sembrare al momento, nel caso in cui scoppiasse una guerra, Russia e Cina potrebbero cooperare militarmente o userebbero i più forti strumenti diplomatici e politici a disposizione per spingere il Giappone a fare marcia indietro e fermare le ostilità al più presto possibile.
Asia centrale
Molto è stato scritto su una presunta rivalità russo-cinese in Asia centrale, ma in realtà non è così, e non è altro che un pio desiderio di coloro che intendono dividere la RCSP e vedere Russia e Cina scornarsi sulla regione. La Russia guida il processo d’integrazione politica ed economica con  Kazakistan e Kirghizistan sotto gli auspici dell’Unione eurasiatica, ed ha accordi di mutua sicurezza con Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e nella CSTO (anche partecipando regolarmente alle esercitazioni militari). La Cina, d’altra parte, è più di un leader dal basso profilo in Asia centrale, dopo aver stipulato lucrosi contatti commerciali in questi anni ed accordi energetici estremamente strategici con la maggior parte degli Stati della regione, in primo luogo il Turkmenistan. La situazione in Asia centrale è la seguente: la Russia consolida l’influenza sulla sfera ex-sovietica, con gli Stati con cui già coltivava rapporti profondi, mentre la Cina colma il vuoto in alcuni aspetti economici. E’ della massima importanza per la Cina poter diversificare le rotte d’importazione delle risorse, al fine di evitare lo stretto di Malacca, occupato e controllato dagli USA, da cui l’interesse per l’energia dell’Asia centrale. Tramite l’accettazione implicita della Russia del coinvolgimento della Cina, la RCSP procede senza intoppi, essendo nell’interesse della Russia avere un forte partner in una Cina il più possibile energeticamente indipendente. L’espansione fulminea dell’influenza energetica della Cina in Asia centrale è anche utile alla Russia, comunque. I legami che ha favorito con l’Uzbekistan, che negli ultimi anni s’era allontanato dalla Russia (lasciando la CSTO nel 2012 e programmando di acquistare molte avanzate attrezzature militari della NATO in Afghanistan) e  prossimo a divenire il socio eterodiretto degli Stati Uniti dopo la ritirata afghana, potrebbe temperarne le politiche regionali. Non è detto che la Cina possa convincerlo ad astenersi da una maggiore cooperazione militare con gli Stati Uniti, ma potrebbe esercitare l’influenza economica e il forte impatto energetico sull’Uzbekistan cercando di evitare un catastrofico confronto militare con il Tagikistan, che probabilmente coinvolgerebbe la Russia attraverso le sue responsabilità nella CSTO.
Asia meridionale
Questa è una regione in cui la RCSP assume una natura molto complessa, estremamente difficile discernere, fatta eccezione per i più attenti osservatori. Tracciando accordi politici, la Russia è il più stretto alleato dell’India, con il nuovo Primo ministro Nahrendra Modi che ha recentemente proclamato che “Se chiedete a qualcuno tra l’oltre miliardo di persone che vive in India, chi sia il più grande amico del nostro Paese, ogni persona, ogni bambino dirà la Russia. Tutti sanno che la Russia è sempre stata a fianco dell’India nei momenti più difficili, e senza chiedere nulla in cambio”. Questo è un rapporto politico di per sé intriso di titaniche implicazioni globali, ma nel contesto della RCSP, permette alla Russia di esercitare una forte influenza sull’India, mantenendo la pace con la Cina, tanto più che quest’ultima ha aumentato drasticamente la retorica sulla disputa di confine, negli ultimi due anni, con uno stile ironicamente simile a quello che il Giappone usa con la Cina. A differenza del Giappone, però, la Cina ha indicato due mesi fa di essere disposta a risolvere finalmente tale disputa, dando così alla Russia il ruolo di stabilizzatore da svolgere da dietro le quinte, in modo che nessuna delle parti agisca incautamente e metta in pericolo i colloqui. Sempre in tale senso, la Cina ha un rapporto strategico assai stretto con il Pakistan, rivale mortale dell’India, e i due Paesi interagiscono su base militare ed economica. La Cina è interessata a un corridoio energetico verso l’Oceano Indiano, saldamente sotto il suo controllo, e il Pakistan ha bisogno del suo grande vicino per coprirsi contro la minaccia indiana. Questo rapporto minaccia ovviamente l’India, trovandosi in cima alle considerazioni della politica estera dell’élite diplomatica della nazione, così come la strategia navale della collana di perle della Cina nell’Oceano Indiano. Questo è il nome dato alla politica cinese volta a stabilire rapporti navali preferenziali con Pakistan, Sri Lanka, Bangladesh e Myanmar, aumentando l’azione nel cortile dell’India e assicurandosi le rotte energetiche che attraversano la regione. Con tale rivalità geopolitica tra India e Cina, il ruolo della Russia verso entrambi gli attori assume un’importanza fondamentale nel garantire pace e stabilità e, a differenza dell’Asia nord-orientale con il Giappone, in Asia del Sud la Russia ha l’alta probabilità di poter influenzare gli eventi in misura più incisiva. Proseguendo nella strategia della collana di perle della Cina, si aprono anche le porte alle opportunità della Russia. Grazie al rapporto di Pechino con Islamabad e la sensibilità politica sull’invio di armi al suo partner, la Russia può agire per delega e vendere elicotteri da combattimento con la pretesa della lotta antidroga del Pakistan. Anche se irrita l’India, ciò rappresenta un “cambio di paradigma” in più di un senso: non solo Russia e Pakistan snobbano l’occidente, ma la Russia può utilizzare la fiducia dell’India per fare accettare (o comunque sopportare) agli indiani questa nuova relazione militare. La vendita aiuta il Pakistan a bilanciare la Cina in quanto delegato verso l’India (non importa quanto sia secondario), e aiuta indirettamente la Russia sulla situazione in Afghanistan nel dopo 2014. Tale sviluppo monumentale è interamente attribuibile all’intercessione della Russia, in quanto se la Cina avesse venduto apparecchiature simili al Pakistan, avrebbe potuto creare una crisi nelle relazioni bilaterali con l’India e affondato i possibili colloqui sulla definizione della disputa sui confini. Inoltre, tangenzialmente, la Russia potrebbe in futuro utilizzare i legami commerciali preferenziali della Cina con i suoi partner della collana di perle, per la diversificazione economica dei prodotti agricoli, obiettivo intrapreso da quando le contro-sanzioni sono state emanate ai primi di agosto. Ciò sarebbe soltanto un ricambio per quanto la Russia ha permesso alla Cina in Asia centrale, con la diversificazione energetica, per esempio; quindi ha un senso nella struttura della RCSP che la Cina aiuti la Russia nel fare questo per la sua agricoltura e la bassa diversificazione commerciale verso l’Asia meridionale. Come è stato sottolineato all’inizio della seconda parte dell’articolo, Russia e Cina sono complementari in tutti i modi possibili, essendo ciò la spina dorsale del partenariato strategico. Se uno apre la porta alla cooperazione con un certo Stato o regione a proprio vantaggio, poi permette all’altro di entrarvi, se non anche dal retro, lontano dal controllo pubblico.
Sud-Est asiatico
Questa regione è una delle più deboli per la RCSP, ma è ancora un’opportunità per entrambi gli Stati. La Cina è coinvolta nell’aspro battibecco con i vicini sui reclami nel Mar Cinese Meridionale, in particolare con il Vietnam. E’ qui che si presenta l’occasione per la Russia di svolgere il ruolo di bilanciamento strategico e di adoperarsi per promuovere la grande partnership con la Cina. Russia e Vietnam hanno un rapporto lungo e cordiale risalente all’epoca sovietica, Mosca fornisce ad Hanoi sottomarini dandogli una relativa tranquillità verso la Cina.  Anche se la rivalità cino-vietnamita nel sud-est asiatico non è strutturalmente feroce come quella indiano-pakistana in Asia meridionale, in entrambi i casi la Russia può fungere da mediatore tra i due grazie alla sua posizione unica. E’ ironico che il rapporto russo-vietnamita, costruito durante la guerra fredda per contrastare la Cina, possa ora essere utilizzato per aiutare Pechino in modo contorto. Russia e Cina, come già accennato, hanno bisogno l’uno dell’altro per restare forti e stabili, raggiungendo l’obiettivo a lungo termine del multipolarismo globale, quindi l’invio di armi della Russia al Vietnam non dovrebbe essere visto come un tentativo d’indebolire la Cina, ma piuttosto di ancorare l’influenza di Mosca in un Paese che s’è già dimostrato problematico per Pechino. Attraverso questa profonda presenza, la Russia può quindi influenzare le decisioni dell’élite politica vietnamita operando verso una soluzione costruttiva (o almeno non militare), anche se ciò si traduce in un ‘conflitto congelato’ o prolungamento dell’attuale stallo. Naturalmente, vi sono altri attori che influenzano il Vietnam (in particolare gli USA), ma l’influenza russa ad Hanoi non va sottovalutata, in quanto entrambi i Paesi parlano anche di maggiore cooperazione economica nell’ambito dell’Unione Eurasiatica, mostrando così che il fattore Russia ancora ha un peso nella capitale vietnamita.
Europa
Alla luce dell’attuale spirale nelle relazioni Russia-UE, non c’è praticamente nulla che la Russia possa fare nella RCSP per aiutare la Cina, ma la Cina può offrire un’opportunità alla Russia. Così, uno dei grandi disegni strategici della Cina è facilitare il commercio accelerato con l’UE attraverso un triplice approccio: Nuova Via della Seta (con componenti terrestri e marittime), Ponte Eurasiatico e Rotta Artica. Gli ultimi due passano direttamente sul territorio russo, marittimo o terrestre, aumentando così la prominenza geopolitica della Russia tra Europa e Cina, che piaccia o no all’UE. Non importa se l’Europa ricambia trasportando i propri prodotti attraverso il territorio russo o meno, dato che la Cina ancora prevede nettamente di farlo, consegnando ancora alla Russia una posizione economica più forte e guadagni più tangibili rispetto a prima.
Medio Oriente e Nord Africa (MENA)
Dalla rivoluzione colorata della Primavera araba del 2011, il MENA è il punto focale dell’intenso coordinamento politico russo-cinese. Sergej Lavrov aveva dichiarato nel maggio 2011, dopo un incontro con il ministro degli Esteri cinese, che “Abbiamo deciso di coordinare le nostre azioni utilizzando le capacità di entrambi gli Stati per facilitare una prima stabilizzazione e impedire ulteriori conseguenze negative imprevedibili”. Fu la risposta ovvia alla violazione occidentale della UNSC 1973, quando la risoluzione del Consiglio di Sicurezza fu palesemente violata per giustificare la guerra della NATO alla Libia e il successivo cambio di regime. Chiaramente, Russia e Cina compresero che tale violazione potrà un giorno verificarsi anche più vicino ai loro confini, se non perfino affrontare destabilizzazione interna e relativo indebolimento dello Stato, e quindi anche nei loro stessi Paesi. Nel Medio Oriente si può anche facilmente vedere che entrambi i Paesi adempiono ai loro ruoli specifici nel partenariato. L’interazione della Russia con Siria e Iran, e più recentemente Egitto, visibilmente ne illustra il ruolo di equilibratore militare e politico. La Cina è profondamente coinvolta nel commercio energetico dal MENA, con il 60% del petrolio proveniente da qui. Entra anche nell’economia non-energetica della regione, in particolare negli Emirati Arabi Uniti. Così, oltre al coordinamento politico generale e l’assoluto accordo tra Russia e Cina nel MENA, la regione ne definisce i rispettivi ruoli.
America Latina
Questa regione, più del MENA, mostra senza dubbio che la RCSP è attiva in condizioni di quasi-laboratorio. L’America Latina è lontana dagli intrighi geopolitici dell’Eurasia, rendendo in tal modo la cooperazione tra Russia e Cina comprensibile anche per l’occhio inabituato ad osservare. Negli ultimi dieci anni la Russia è tornata in America Latina, sia nello stile che nella sostanza. Le sue navi hanno visitato porti ed attuato esercitazioni congiunte con il Venezuela, bombardieri russi l’hanno sorvolato e vi si sono riforniti. Il Nicaragua ospiterà una base russa a guardia del canale finanziato dai cinesi, ora in costruzione nel Paese. Gazprom ha iniziato ad investire in Bolivia e Argentina, e Rosneft è attiva in Venezuela. Medvedev e Putin hanno anche visitato la regione, ed è stato ipotizzato che la Russia abbia accettato di riaprire la base spionistica sovietica a Cuba, nella visita di quest’ultimo a luglio. Si può quindi affermare che la Russia è più influente in America Latina oggi di quanto lo sia mai stata durante la Guerra Fredda. La Cina, essendo la porta economica, è l’investitore in più rapida crescita in America Latina, ed è destinata a diventarne il secondo maggiore partner commerciale. Come già accennato, finanzia il rivoluzionario canale del Nicaragua, diversificando la rotta trans-oceanica dal cliente panamense degli Stati Uniti, invitando ulteriori investimenti e commerci non-statunitensi nella zona. Questo in realtà già accade anche senza il canale. La Russia capitalizza un decennio di contatti ristabiliti con l’America Latina, diversificando il commercio agricolo dall’occidente per via delle recenti contro-sanzioni. Ciò rivela l’ampia strategia della Russia, spezzando il predominio occidentale su taluni mercati agricoli e fornendo ai produttori un’opzione alternativa. La Russia vuole anche migliorare la propria sovranità statale e quindi diminuire l’influenza economica occidentale sulla sua economia interna, da cui l’espansione commerciale verso i mercati non-occidentali delle ultime settimane. Complessivamente, l’America Latina è la base più adatta nel far progredire il mondo multipolare nel cortile del gigante unipolare in dissoluzione. Russia e Cina non hanno assolutamente alcun interesse a una qualche competizione in questo teatro, senza dubbio dimostrando così i grandi obiettivi strategici generali della RCSP. Il coinvolgimento russo e cinese nella regione avanza a ritmo spettacolare e multiforme, aprendo così la possibilità di una drammatica trasformazione geopolitica proprio sulla porta di casa degli Stati Uniti. L’America Latina è in molti sensi per gli Stati Uniti ciò che è l’Europa dell’Est per la Russia, una regione dall’intensa antipatia verso il suo grande vicino e quindi da gestire in modo flessibile partecipando anche ad azioni dannose per il suo ex-egemone.
Pensieri conclusivi
Il partenariato strategico Russia-Cina (RCSP) è veramente di portata globale, comprendendo il mondo intero su vari livelli. Gli assiomi presentati devono essere riesposti al fine di ricordarne al lettore l’essenza: Ogni mano della RCSP è destinata a lavare l’altra e a completare la controparte in regioni/Stati in cui può essere in svantaggio rispetto al partner, allo scopo di stabilire vero multipolarismo globale. La Russia è il contrappeso e la Cina la porta. Più cooperano per esempio in Medio Oriente e America Latina, più si possono vederne i puri obiettivi multipolari e lo stretto coordinamento tra questi Stati; allo stesso modo, più questi due nuclei eurasiatici si avvicinano, più appare complesso il rapporto e più sarebbe difficile capirlo.
Con ciò in mente, la RCSP è più facile da comprendere, e le sue ambizioni multipolari appaiono evidenti. Tornando all’inizio del testo, dove sono citati detrattori e distrattori, è ormai dimostrato che i distrattori gettano fumo cercando di nascondere l’ovvio, la RCSP è una forza reale e tangibile nel mondo. I detrattori a loro volta, avevano torto quando affermavano che questa partnership è aggressiva. Sicuramente sfida il Washington Consensus, ma lo fa con mezzi pacifici e politici, soprattutto con un approccio che combina contatti militari-diplomatici e contrappeso politico della Russia al ruolo di porta economica della Cina. Così è indiscutibile che, nel 21° secolo, la RCSP sarà il partenariato più dinamico nella costruzione della multipolarità mondiale, respingendo i disperati tentativi degli Stati Uniti di preservarsi l’anacronismo unipolare.
xi_putin3Andrew Korybko è corrispondente politico statunitense di La Voce della Russia, attualmente vive e studia a Mosca, in esclusiva per Oriental Review.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

La Russia e il balzo latino-americano nel multipolarismo


di Andrew Korybko Fonte: Aurora sito

1E3F793A-A6C4-40F6-80B8-FB2FE5D773E2_mw1024_s_nLa Russia ha ripristinato la portata globale dell’epoca sovietica con Vladimir Putin, estendendone l’influenza in tutto il mondo. Svolgendo il ruolo di contrappeso strategico, le relazioni con la Russia sono ora più che mai apprezzate mentre il mondo volge al multipolarismo. Alcuni sfondi contestuali rendono l’America Latina ricettiva al multipolarismo e ai grandi obiettivi della politica estera russa. Negli ultimi dieci anni, Mosca ha tessuto una rete complessa di relazioni estendendo direttamente e indirettamente la sua influenza nei Caraibi e sulle coste del continente sudamericano. Questa strategia non è priva di rischi, tuttavia, dato che i partner della Russia sono vulnerabili alle diverse destabilizzazioni sponsorizzate dagli USA. Se gestito correttamente, tuttavia, il ritorno della Russia in America Latina può essere la manna del multipolarismo, e può anche sovvertire l’iniziativa strategica del Pentagono e, per una volta, mettere sulla difensiva gli Stati Uniti nel proprio naturale ambito d’interesse. (Grazie alle sue peculiarità geopolitiche e all’unico rapporto storico e sociale con gli Stati Uniti, il Messico è escluso dall’analisi, essendo più appropriato analizzarne i legami con la Russia in separata sede sul tema).

Sfondo contestuale
L’America Latina nel suo complesso è generalmente molto sensibile a qualsiasi espressione dell’egemonia statunitense (economica, politica e soprattutto militare), ed è una delle regioni più fertili del mondo per il pensiero antioccidentale. Ciò è in gran parte riconducibile agli oltre 500 anni di saccheggio verificatisi per mano degli europei e poi degli statunitensi, come eloquentemente indicato nel famoso libro del 1971 “Le vene aperte dell’America Latina”. Relativamente parlando, data la storia con il suo grande vicino nordamericano, l’America Latina può solo contrapporsi al suo vecchio egemone, come l’Europa orientale con la Russia. Ciò ne fa una posizione strategica geo-sociale che può sconvolgere l’unipolarismo contribuendo alla creazione del mondo multipolare.
Il Venezuela in ascesa
Tale sentimento contro occidente e Stati Uniti, in particolare, ha portato alla nascita di ciò che viene definito “Socialismo del 21.mo secolo”. Hugo Chavez fu il volto di questo movimento e suo massimo sostenitore, impregnando questa ideologia socio-economica con alcuni aspetti di politica estera, che sarebbe poi divenuti la norma tra i suoi seguaci. In particolare, Chavez era decisamente contrario alla politica estera degli Stati Uniti, e di conseguenza Washington progettò il breve colpo di Stato che lo rimosse dal potere temporaneamente, nel 2002, dopo il recupero dall”offensiva segreta degli Stati Uniti, Chavez istituzionalizzò democraticamente il suo governo tramite il voto ed avviò l’esportazione dell’influenza regionale del Paese attraverso l’organizzazione multipolarista ALBA che aveva fondato. Di conseguenza, Chavez era assai favorevole alla Russia riportandola negli affari emisferici.
Ritorno della Russia
In questo periodo la Russia sorgeva dalle ceneri del crollo sovietico, tornando al suo status di grande potenza. E così aveva bisogno di espandere il suo nuovo dominio in zone in cui un tempo aveva influenza, tra cui naturalmente l’America Latina. Visite reciproche, accordi su armi e contratti energetici fiorirono tra Russia e Venezuela dal 2000, ed entrambi i Paesi erano già forti partner strategici nel 2010, quando Putin si recò a Caracas. La cooperazione militare nel settore navale e aereo consolidò il rapporto e mostrò il reciproco impegno delle parti. Tutto ciò era influenzato ed in linea con il Concetto della Politica estera russa del 2013, dove la ricerca della multipolarità è un presupposto scontato (essendo indicato come obiettivo della politica estera ufficiale nel 2000) e la maggiore interazione con l’America latina vi veniva sottolineata. È importante sottolineare che questo stesso documento distingue inoltre tra Stati dei Caraibi e dell’America Latina, una distinzione che avrà risalto nella prossima sezione.
Il legame cinese
Per concludere lo sfondo contestuale dell’attuale politica latinoamericana della Russia, i semi geopolitici del partenariato strategico russo-cinese hanno finalmente maturato e fruttato. La Cina ha aperto importanti porte alla cooperazione della Russia con alcuni Paesi della regione, così come all’importante finanziamento del rivoluzionario canale di Nicaragua. Il partenariato strategico non  sottovaluta la politica latinoamericana della Russia, ma si preannuncia importante nel prossimo futuro. Tutto ciò, in relazione alla situazione contestuale, così come al grande ruolo di Brasile e BRICS, ha reso il ritorno monumentale di Putin in America Latina di un mese fa, una progressione naturale e logica della politica globale russa, così come il viaggio di Lavrov nella regione di due mesi prima.
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Il fulcro venezuelano
Il ruolo del Venezuela nella politica regionale della Russia è estremamente importante, con il Paese  fulcro tra due triangoli dell’influenza strategica di Caraibi e America Latina. In riferimento al Concetto della Politica estera russa del 2013, Mosca vede queste due regioni come parti distinte di un tutto più grande, quindi è fondamentale che il Venezuela sia la leva dell’influenza della Russia. Caracas ha acquisito questo ruolo per via dell’espansione della sua influenza attraverso ALBA, nel ruolo dirimente di leader regionale del socialismo del 21° secolo, e per il grande peso economico che vi pone grazie alle sue grandi riserve di petrolio.
I Caraibi
Il primo fulcro che il Venezuela incentra è quello di leader del triangolo dei Caraibi tra esso, Nicaragua e Cuba. L’importanza del Nicaragua e del suo canale finanziato dai cinesi è già stata indicata, ma è anche importante menzionare che il Paese è ancora una volta governato dall’ex-sandinista Ortega Daniela. Significativo dato regionale che un alleato di Mosca negli anni ’80, sia tornato alla presidenza nel 2006; non solo è uno stretto alleato di Russia e Venezuela, ma è anche, ovviamente, in ottimi rapporti con la Cina e promuove maggiori legami economici con l’Iran, attestando in tal modo le sue credenziali multipolari. Il terzo angolo del triangolo dei Caraibi, Cuba, è importante per la sua vicinanza geostrategica alle coste meridionali degli USA e al ruolo simbolico che la sua leadership ha nella regione e nel mondo anti-occidentale. La posizione di Cuba ha ancora una volta acquisito maggiore valore agli occhi dei decisori russi, date le recenti indicazioni che la base spionistica sovietica, Lourdes, possa essere riaperta.
Sud America
Nel continente latino-americano, il Venezuela supporta la Russia nell’azione politica in Ecuador e Bolivia, due Paesi con leader violentemente antioccidentali. L’Ecuador è rapidamente diventato un alleato dei russi di vitale importanza, negli ultimi anni, con Medvedev che commentava alla fine del 2013, che era divenuto uno dei “partner più importanti dell’America Latina”. Durante la stessa visita, la Russia annunciò che avrebbe investito 1,5 miliardi di dollari nel settore energetico dell’Ecuador. La stretta cooperazione tra Mosca e Quito s’illustrava a pieno all’inizio del mese, quando il Presidente Rafael Correa ha rimproverato pubblicamente l’appello disperato dell’UE a non commerciare con la Russia. La cooperazione con la Bolivia, tuttavia, è più in sordina ma la Russia ha recentemente intensificato la cooperazione energetica con il Paese, che ha il secondo maggiore giacimento di gas del continente. La Bolivia è attualmente più importante dal punto di vista geopolitico e come forte sostenitore ideologico del multipolarismo.
Sommario
Russia e Venezuela hanno un reciproco rapporto proficuo, e in cambio dell’ampia assistenza di Mosca a Caracas, ha accesso privilegiato ai Paesi critici nelle regioni dei Caraibi e dell’America Latina. Con il primo, la Russia aveva già un patrimonio storico di cooperazione, ma il fattore venezuelano ha rafforzato i legami esistenti e datogli ulteriore ‘credibilità regionale’. Verso il Sud America, si possono attribuire i successi della politica estera della Russia con l’Ecuador e la Bolivia alla forte agevolazione data dalla relazione strategica con il Venezuela. La Russia non ebbe tale influenza in questi Paesi in passato, simile a quella attuale, e ciò è un risultato tangibile dell’amicizia russo-venezuelana. Così, si può considerare il Venezuela come supporto politico regionale primario della Russia e uno dei suoi centri di gravità strategici.
Brasile e Argentina
Non meno importanti dei suoi legami con il Venezuela sono i rapporti della Russia con Brasile e Argentina. Questi due Paesi sono una coppia di fatto nella strategia sudamericana della Russia, e permettono di esercitare influenza nell’Atlantico meridionale. Brasile e Russia sono membri dei BRICS, e questa organizzazione, secondo Putin, “è l’elemento chiave del mondo multipolare emergente”. Pertanto, la cooperazione tra i due è sovra-regionale e si estende sul mondo, ma è ancora importante ricordare che ognuno di essi assiste l’altro nella creazione di un punto d’appoggio strategico nella rispettiva regione. Ciò dà alla Russia un avamposto in Sud America e al Brasile uno in Eurasia, srotolando in tal modo il tappeto rosso dei vantaggi economici. I rapporti con l’Argentina sono più complessi che con il Brasile, ma non significa che non siano vicini. L’Argentina è ufficialmente un importante alleato non-NATO, dopo aver ricevuto tale designazione nel 1998, a garanzia del privilegiato rapporto militare con gli Stati Uniti, facendone l’unico Stato di tale categoria presente nell’emisfero occidentale. Sgomentando Washington, però, tale categorizzazione ‘gratificante’ potrebbe essere stata prematura, mentre l’Argentina volge drammaticamente al campo antioccidentale dopo il collasso economico di un decennio fa. Contestando apertamente le pretese del Regno Unito sulle isole Malvinas/Falkland e accusando nettamente gli Stati Uniti di aver cospirato per destabilizzarne l’economia, comportamento che la distingue visibilmente dagli altri importanti alleati non-NATO come Israele e Australia. E’ in tale contesto politico che l’Argentina si avvicina ai BRICS, con la Russia che l’aveva invitata a partecipare al vertice brasiliano dello scorso mese. V’erano anche molte voci anche sul tentativo di unirsi all’organizzazione in futuro, mostrando ulteriormente l’intenzione della propria leadership di rompere economicamente con l’occidente. Ultimamente, l’Argentina ha con entusiasmo e volontariamente aumentato l’invio di derrate in Russia per compensare il vuoto lasciato dalle contro-sanzioni sui prodotti europei. Brasile e Argentina sono così i principali centri d’influenza russa in Sud America. Va da sé che i legami costruttivi con questi giganti economici inevitabilmente portano a relazioni positive con il piccolo vicino Uruguay, che è saltato sul carrozzone delle contro-sanzioni aumentando le esportazioni agricole verso la Russia. Quando si osserva una mappa, questi tre Paesi costituiscono la maggior parte del continente e hanno incredibili potenziali economici ed umani e risorse naturali, dimostrando così che, anche se fossero i soli partner emisferici della Russia, solo attraverso essi la Russia avrebbe già stabilito un piano strategico solido nel cortile degli USA.
Trans-Pacific Partners
Il terzo vettore della politica latinoamericana della Russia è direttamente supportato dal partenariato strategico russo-cinese. La Cina è il mammut economico mondiale, specialmente nel Pacifico, ed esercita immensa influenza con i suoi legami commerciali con gli altri Stati. Nell’APEC ha l’opportunità di incontrare e avere colloqui ad alto livello con i suoi partner latinoamericani del Pacifico, in particolare Perù e Cile. Entrambi questi Paesi sono alleati e membri dell’American Pacific Alliance, blocco commerciale neo-liberista che comprende anche Colombia, Costa Rica e Messico. La maggior parte di questi Stati è impegnata in trattative con gli Stati Uniti sulla Trans-Pacific Partnership di Washington. Nonostante ciò, la Russia è interessante a corteggiare più strette relazioni con Perù e Cile, in particolare. L’ex-presidente Medvedev visitò il Perù nel 2008, la prima visita di un leader russo nella storia, in cui i due Paesi firmarono accordi sull’industria della difesa, economici e di cooperazione antidroga. Putin in seguito incontrò il presidente del Perù a margine del vertice APEC 2012 tenutosi a Vladivostok, un chiaro segno che la Russia è interessata a rafforzare le sue relazioni con il Paese. Legami furono infatti rafforzati, essendoci ora piani con il Perù per la produzione congiunta di elicotteri russi nel Paese, e le aziende ittiche peruviane ora  programmano di sostituire quelle europee colpite dalle sanzioni. In Cile, il Paese è stato a lungo un deciso alleato degli USA, ma la recente elezione della leader della sinistra Michelle Bachelet potrebbe rendere il Paese più multipolarista. Ha già avviato l’esenzione del visto ai cittadini russi e sembra pronto a riempire il vuoto della Norvegia nella fornitura di salmone ai russi. Bisogna ricordare che l’Unione europea ha recentemente pubblicato un patetico appello ai Paesi dell’America Latina a non commerciare con la Russia e sfruttare le contro-sanzioni ai danni di Bruxelles. Essendo il Cile stretto alleato degli USA e membro dell’Alleanza del Pacifico, era inaspettato che sfidasse l’occidente in questo modo, soprattutto con una ‘nuova guerra fredda’ in corso. Ciò potrebbe essere spiegato dalla firma tra Cile e Cina di un accordo di libero scambio nel 2005, che entrerà in pieno vigore nel 2016. Negli anni successivi, la Cina si è assicurata tale punto d’appoggio economico nel Paese, ora suo principale partner commerciale. Così, sembra che Pechino abbia usato la sua influenza economica sul Cile per aiutare Mosca in questo caso, nell’ambio del partenariato strategico globale russo-cinese. In generale, in relazione a Perù e Cile, la Cina non usa tutte le carte economiche. Ha anche firmato un accordo di libero scambio con il Perù nel 2009, divenendo due anni dopo suo maggior partner commerciale e investitore. Naturalmente, la Russia già compiva  progressi in Perù, prima di ciò, ma è probabile che il coinvolgimento indiretto cinese abbia contribuito a spianare la strada alle relazioni attuali. Pertanto, nel contesto più ampio della grande strategia latinoamericana della Russia, i casi di Perù e Cile fungono da forti indicazioni della portata globale e dell’efficacia del partenariato strategico russo-cinese nel trasmettere le ambizioni regionali di Mosca.
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La risposta statunitense
Gli Stati Uniti, data l’arroganza dell’American Exceptionalism e gelosi custodi dei dettami restrittivi della dottrina Monroe, non prendono con leggerezza l’avanza della Russia nell’emisfero occidentale. In realtà, gli Stati Uniti sono completamente contrari a ciò che la Russia fa, e vogliono seriamente eliminarne le ultime avanzate. Secondo la dottrina Wolfowitz, si deve impedire a qualsiasi Paese di sfidare gli Stati Uniti, mentre il Pentagono teme le conseguenze non solo dell’influenza russa in America Latina, ma della resistenza generale e le sfide di molti suoi leader. Si può così spiegare il tentativo di golpe del 2002 contro Chavez, così come l’occulto golpe del 2009 in Honduras contro Manuel Zelaya, di sinistra e filo-multipolarista. Il Dr. Paul Craig Roberts ha osservato che la politica statunitense contemporanea avvia l’effetto domino della destabilizzazione per rovesciare Venezuela, Ecuador, Bolivia e infine Brasile. Considerando la serie di colpi di Stato e rivoluzioni colorate degli Stati Uniti, non sembra essere un’affermazione irrealistica. Ci sono quindi tre categorie di vulnerabilità alla destabilizzazione cui ciascuno degli Stati esaminati rientra:
Pressioni
Gli Stati Uniti riconoscono che due loro alleati tradizionali, Perù e Cile, escono dall’orbita unipolare ed entrano nella sfera del mondo multipolare. Dato che hanno bisogno che questi due Stati siano relativamente stabili, al fine di perseguire la trama trans-Pacifico per dividere il Sud America, è improbabile che adottino immediatamente le tradizionali misure di destabilizzazione contro di essi. Invece, probabilmente cercheranno di fare pressione con mezzi economici e politici, rimanendo titubanti nel sconvolgere prematuramente il futuro equilibrio regionale che prevedono. Resta da vedere esattamente quali forme prenderanno, ma si può essere certi che Washington risponderà, in un modo o nell’altro, alla disobbedienza dei suoi delegati.
Moti interni
Il livello successivo di destabilizzazione intensa sarebbe diretta contro Brasile e Argentina. Questi Paesi sono ovviamente più grandi dei loro omologhi latinoamericani e quindi meno suscettibili alla semplice pressione economica e politica. I loro sistemi di governance non sono attualmente vulnerabili ad un colpo di Stato militare tradizionale, aumentando così la possibilità di spaventarne la leadership con la solita minaccia della rivoluzione colorata. Pertanto, gli Stati Uniti probabilmente espanderanno l’aggressione economica all’Argentina e molto probabilmente al Brasile in futuro. Potranno anche ricorrere ai metodi subdoli delle organizzazioni anti-governative a capo della “resistenza”, mobilitando e sviando le masse in ampie proteste future. Lo scopo è dimostrare tangibilmente, in Brasile e Argentina, che gli Stati Uniti hanno gli strumenti per esacerbare le fratture economiche e sociali nazionali esistenti, minacciandone la leadership.
Tentativi di golpe definitivi
La terza e più intensa categoria di destabilizzazione si ha quando gli Stati Uniti cercano di rimuovere i legittimi governi degli Stati presi di mira. I Paesi che rientrano in tale categoria sono  Venezuela, Cuba, Bolivia, Ecuador e Nicaragua, che gli Stati Uniti hanno sempre cercato di rovesciare. Il governo statunitense disprezza le personalità e le politiche di questi Stati resistenti e sfidanti, ed è più che probabile il ricorso a metodi occulti per cercare di sottometterne la resilienza.  Pertanto, ci si può aspettare un certo grado di destabilizzazione aggressiva statunitense, volta a colpirli in una forma o nell’altra nel prossimo futuro.
Pensieri conclusivi
Quando si fa un passo indietro e si analizza il quadro completo, la Russia ha compiuto straordinarie avanzate geopolitiche in America Latina dalla fine della guerra fredda, soprattutto dopo che Putin è salito alla presidenza. E’ ormai evidente che la Russia sia coinvolta in una complessa rete di alleanze nel cortile degli USA, con il Venezuela e l’asse Brasile-Argentina punti focali della sua strategia emisferica, aprendo la strada alla resistenza multipolare. Con l’aiuto della Cina, la Russia ha debilitato la fedeltà cieca dei tradizionali alleati degli USA, dimostrando in tal modo che può veramente attrarre Paesi precedentemente “intoccabili” della regione. Pur essendo carico di rischi, tutti gli Stati esaminati hanno volontariamente scelto di collaborare con la Russia a prescindere, mostrando di comprendere l’importanza di avere relazioni pragmatiche con Mosca. Inoltre, il fatto stesso che gli Stati Uniti debbano rispondere alle mosse della Russia in America Latina, dimostra che l’iniziativa strategica è contro il Pentagono, mettendolo implicitamente sulla difensiva a livello di teatro, sviluppo inedito nella sua storia. Nel complesso, il ruolo della Russia di contrappeso strategico globale e d’irresistibile partner economico è ormai chiaro a tutti nell’emisfero, creando rapidamente una nuova realtà geopolitica nel cortile degli Stati Uniti, piantando l’ultimo chiodo sulla bara dell’unipolarismo. xi-with-president-maduro 
Andrew Korybko è corrispondente politico statunitense di La Voce della Russia, attualmente vive e studia a Mosca, in esclusiva per Oriental Review.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

La complessità della Quarta guerra mondiale

di Eugenio Orso
Fonte: Pauperclass



1. Il significato dei conflitti novecenteschi riassunto in poche righe.
Il primo conflitto mondiale fu un grande bagno di sangue elitistico alimentato dalla nazionalizzazione delle masse in Europa (ideologia nazionalista per il ceto medio di massa), dalle dinamiche dell’imperialismo europeo con accenti coloniali (quello avversato da Lenin), dalla competizione distruttiva fra le potenze europee – i gruppi dominanti capital-imperialisti – che gli usa avrebbero messo in ombra nel corso del novecento, acquisendo la preminenza. Questa guerra fu piuttosto “statica”, tipicamente di trincea, con grandi, sanguinose battaglie, ma limitati progressi in termini di conquiste territoriali (la Somme, oltre un milione di morti fra prussiani, francesi, inglesi e altri), coinvolgendo civili inermi, ma non ancora in modo così drammatico e totale come nei conflitti successivi. L’Europa, sconvolta dalla grande guerra, uscì definitivamente dal “clima” culturale del diciannovesimo secolo. L’episodio storico dell’Ottobre Rosso di Lenin, con la morte dell’impero zarista e la nascita dell’Urss, ebbe una grande, decisiva influenza anche sulla dinamica e sull’esito dei due conflitti successivi, pur non riuscendo a fermare sugli altri fronti la prima guerra mondiale. Altro elemento da considerare, d’importanza decisiva, fu l’intervento americano in Europa con milioni di uomini (dal 6 aprile 1917), che volse le sorti della guerra a favore di Gran Bretagna e Francia. Dopo la loro vittoriosa “irruzione” sulla scena internazionale nella guerra con la Spagna del 1898, per Cuba, le Filippine, Portorico e Guam, con questo conflitto gli usa, benché ancora inferiori militarmente agli europei, fecero un notevole passo avanti per diventare la prima potenza mondiale, strappando progressivamente il testimone alla Gran Bretagna.
Il secondo conflitto mondiale iniziò all’ombra dell’imperialismo europeo, si nutrì di elementi ideologici per mobilitare le masse e farle combattere (nazionalismo, nazismo, fascismo, comunismo, persino liberalismo “vecchia maniera”), in un’Europa che aveva ancora il primato nel mondo, ma finì con l’assoggettamento del vecchio continente, che perse definitivamente la preminenza a tutto vantaggio degli usa. La seconda guerra mondiale può essere letta come una reazione europea al capitalismo di matrice anglosassone, e un tentativo di riportare l’economia sotto il controllo della politica, ma soprattutto consentì il superamento definitivo della grande crisi capitalistica del ’29, confermando il drammatico intreccio fra guerra ed economia capitalista (oltre cinquanta milioni di morti e l’Europa semidistrutta, fino agli Urali). Non fu una guerra “statica”, ma dinamica, di movimento (blitzkrieg germanica,  uso di truppe aviotrasportate, penetrazioni in territorio nemico per centinaia di chilometri), e coinvolse in pieno i civili, diventati un obiettivo da colpire senza risparmio con i campi di sterminio, i bombardamenti aerei a tappeto, l’uso dei primi ordigni nucleari sulle città. Particolare non secondario, dal conflitto emerse il prossimo competitore della neonata potenza americana, cioè l’Unione Sovietica, che con il suo sacrificio in termini di perdite di vite umane (circa venti milioni) aveva permesso di sconfiggere la germania nazista.
La terza guerra mondiale non fu un conflitto generalizzato, come fortunatamente sappiamo, ma un confronto di durata quasi cinquantennale (1945-1991) fra i due veri vincitori del secondo conflitto, cioè gli usa e l’Urss. Qualcuno l’ha definita addirittura “guerra civile mondiale”, dopo la lunga e sfibrante “guerra civile europea” iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre (o meglio con lo scoppio della grande guerra, nel 1914) e conclusasi nel 1945. Si trattò di una contrapposizione fra mondi – il primo mondo occidentale contrapposto al secondo mondo sovietico-collettivista – e di un confronto serrato fra sistemi economici alternativi, ma con qualche tratto comune. Il capitalismo liberista di matrice anglosassone, per emergere e affermarsi completamente, superando le ricette keynesiane, il costoso stato sociale e i compromessi Stato-Mercato, dovette vedersela con il collettivismo di matrice sovietica, che presentava, a sua volta, alcuni tratti capitalistici (persistenza della piccola proprietà privata, suddivisione classista della società, ma con minori differenze di ricchezza rispetto all’occidente, eccetera). La terza guerra mondiale fu “fredda” solo in apparenza, perché i blocchi contrapposti si affrontarono in molte aree del mondo e in tutti i continenti – per “interposta persona”, ma non di rado con l’intervento diretto dell’uno o dell’altro, come in Corea, Vietnam, Afghanistan – per cui nei conflitti locali (talora ipocritamente definiti “a bassa intensità”) vi furono milioni di morti e feriti, nonché immani distruzioni. La “guerra fredda” scoppiò subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, quasi senza soluzione di continuità,  non risparmiando l’Europa, se pensiamo alla guerra civile greca, combattuta dai comunisti contro i governativi filo-occidentali dal 1946 al 1949. Com’è arcinoto, il conflitto “freddo”, ma nella realtà storica di allora caldissimo, finì in seguito all’implosione del blocco sovietico nel triennio 1989-1991. Non per questo le guerre finirono, e anzi, un nuovo, insidioso conflitto, tale da mettere in pericolo gli stessi presupposti della civiltà umana, iniziò subito dopo il collasso sovietico.
2. Quarta guerra mondiale: due conflitti in uno.
La quarta guerra mondiale è in pieno corso, se gli eventi bellici in questi ultimi mesi si sono moltiplicati e aggravati, lambendo il Medio Oriente, L’Africa e anche l’Europa. I conflitti in Iraq, in Siria, in Libia, nella striscia di Gaza e in Ucraina orientale non sono “indipendenti” l’uno dall’altro, ma episodi di rilievo della quarta guerra mondiale. Ma le cose non sono così semplici e chiare come si crede. Fino ad ora abbiamo conosciuto almeno due conflitti paralleli, in cui l’ultima, grande guerra pare sdoppiarsi.
Il primo conflitto è scoppiato nel nord e nell’occidente del mondo, per distruggere i modelli di capitalismo novecenteschi d’importanti nazioni europee, come l’economia mista italiana, il capitalismo “renano” tedesco e l’economia mista francese con elementi di capitalismo “renano”, e imporre al vecchio continente il capitalismo ultraliberista anglosassone con respiro globale. O meglio, per imporre all’Europa un nuovo modo storico di produzione, all’apice del trionfo del capitale sul lavoro (e su gran parte dell’umanità), che possiamo chiamare in sintesi neocapitalismo finanziarizzato.
 L’attacco, in atto da un buon ventennio, è diretto contro lo stato sociale, la spesa pubblica (che dovrebbe avere funzione propulsiva nei periodi di crisi), l’intervento statale nell’economia, la protezione delle produzioni nazionali, i diritti dei lavoratori, i livelli di occupazione, i redditi popolari, e in ultimo ma non ultima, la sovranità politica e monetaria degli stati. Qui le armi economiche sostituiscono quelle tradizionali (raramente “si spara” sulla folla depauperata, non si bombardano i quartieri popolari, non si usano armi chimiche o proiettili all’uranio per contrastare gli scioperi) e un ruolo importante è assegnato alla disinformazione di sistema (tutti i media occidentali) che contribuisce, a braccetto con la precarizzazione e la flessibilizzazione dei lavoratori trasformati in semplice fattore-lavoro, alla costruzione di un uomo precario, scarsamente combattivo e ampiamente incosciente davanti alla realtà politica e sociale. L’attacco è diretto, quindi, contro i vecchi modelli capitalistici dal volto “socialmente quasi-umano”, la proprietà pubblica (dei mezzi di produzione, della moneta), la sovranità statale, la socialità nel suo complesso e tutte le classi dominate retaggio del novecento (ceti medi, proletariato industriale e rurale, eccetera). La guerra sociale è condotta con larga disponibilità di mezzi dalla glasse globale neodominante, che ha iniziato a formarsi negli usa durante gli ultimi due decenni della precedente “guerra fredda”, ed è diretta contro il resto della società, dai ceti medi figli del welfare novecentesco alle classi operaie, salariate e proletarie, nonché contro la persistenza di elementi culturali borghesi (caratteristici della vecchia classe dominante, l’alta borghesia proprietaria) e piccolo-borghesi. Se pensiamo alle condizioni in cui versano molti paesi europei, fra i quali anche l’Italia, l’attacco ha avuto successo  e la “guerra sociale neocapitalistica interna” è entrata nella sua fase finale, di annientamento culturale, sociale e politico del “nemico”, cioè di tutti noi. Inoltre, si è proceduto alla militarizzazione delle forze di polizia in previsione di estesi riots con l’ampliarsi delle disuguaglianze sociale e il moltiplicarsi dei comportamenti sistemici repressivi. Non è un caso se la polizia americana, come testimoniano i recenti disordini a sfondo razziale (e sociale) di Ferguson, Missouri, dispone di armamento militare, di squadra e pesante (veicoli corazzati). Questi conflitti, definibili “interni”, potranno rincrudire con il precipitare della situazione sociale, trasformandosi, in futuro, in autentici episodi bellici.
Il secondo conflitto è un puzzle sempre più inquietante di episodi bellici localizzati, invasioni, bombardamenti con aerei e droni, guerre civili più o meno artificialmente suscitate, destabilizzazioni violente, con afflussi in loco di armi, soldi e mercenari, di singoli stati da mettere fuori combattimento (Libia e Siria, ad esempio). Per ora, senza l’uso di armi nucleari, ma con violenze inaudite contro le popolazioni civili (primo, vero bersaglio degli attacchi armati), saccheggi, attenzione estrema dei mercenari, dei miliziani e dei paramilitari per gli obiettivi economici, energetici e per il sequestro violento di beni patrimoniali (come ben testimoniano le azioni stragiste del sanguinario stato islamosunnita e degli armati dello stato-canaglia filoatlantista ucraino). A costo di perdere il controllo dei mercenari che finanziano, armano, addestrano  e spediscono a combattere in vari paesi per il soldo, i globalisti occidentali (americani, europoidi, islamosauditi e giudeo-israeliani), stanno spingendo sull’acceleratore, in particolare nell’area siriano-irakena e nel Donbass ucraino, per raggiungere obiettivi strategici, frantumare le resistenze contrarie ai loro interessi (Assad con l’esercito regolare in Siria, patrioti russi e russofoni in ucraina) e per isolare e mettere in difficoltà la Federazione Russa e l’Iran. Sicuramente il rischio di perdita di controllo del “braccio armato”, dopo aver scatenato  il sanguinoso conflitto e supportato le entità criminali armate, è significativo in Iraq-Siria e riguarda il neonato stato islamocriminale, ma ciò non impedisce ai suddetti (dominanti globalisti occidentali, “sauditi” e giudeo-israeliti compresi) di permettere la continuazione di questi conflitti, e anzi, di estendere progressivamente le aree coinvolte nella guerra. Non vi è, ormai, alcuno scrupolo nel mutare con la violenza più cieca, principalmente rivolta contro i civili, i confini degli stati, sulla base delle convenienze globaliste. Notiamo come, davanti a questi episodi bellici sempre più gravi ed estesi, vi sia una certa, voluta, passività dei paesi succubi dell’occidente neocapitalistico. Se vi è intervento militare, contro qualcuna delle citate entità criminali – nella  fattispecie, conto lo stato-canaglia islamosunnita – questo è molto limitato, esclusivamente aereo, tale da non “depotenziare” del tutto l’organizzazione armata stragista, come nel caso dei bombardamenti usa nel nord dell’Iraq, ben localizzati quanto all’aerea interessata e non decisivi per decidere le sorti del conflitto.
2. Complessità e scopi della Quarta guerra mondiale.
La complessità della quarta guerra mondiale, non deriva soltanto dallo sviluppo parallelo dei conflitti, quello socioeconomico-culturale contro le classi subalterne in occidente e quello armato, suddiviso in molti episodi bellici e di distruzione, contro i paesi riottosi per “normalizzarli” eliminando effettivi e potenziali avversari. Soprattutto non si deve pensare, “ottimisticamente”, che la guerra in corso finirà con il raggiungimento di alcuni obiettivi strategici, come l’isolamento della Russia e/o collasso del regime di Putin, la fine di Assad in Siria, il ridimensionamento dell’Iran, il mantenimento del dollaro come valuta di riserva. Si tratta di un conflitto con caratteristiche asimmetriche, combattuto su più livelli: azioni terroristiche, flussi di mercenari e armi, penetrazione preventiva di organizzazioni non governative compiacenti, sostegno politico e finanziario a opposizioni interne per destabilizzare, “rivoluzioni colorate” come antefatto. Un conflitto unico, benché scomponibile in parti nelle analisi, di grande valenza strategica e di natura culturale, combattuto senza quartiere, e senza delle vere tregue, con tutte le armi a disposizione, nell’evidente squilibro di forze che esiste a vantaggio dei globalisti occidentali. Lo scopo ultimo è la sottomissione, alle dinamiche neocapitalistico-finanziarie e agli interessi privati della classe dominante deterritorializzata, di tutto il pianeta. Un conflitto che s’intreccia con quello verticale fra gruppi dominanti, disposti a usare i popoli l’uno contro l’altro, non essendo i loro destini, a differenza della vecchia borghesia proprietaria, indissolubilmente legati alle sorti e alla potenza di uno specifico stato nazionale o federazione di stati (neppure per quanto riguarda gli usa). Se un elemento strutturale neocapitalistico irrinunciabile, fra i pilastri dell’intera costruzione, è la crisi economica perpetua, a questo si accompagna l’attuale “guerra senza fine” interna ed esterna. Cioè, la quarta guerra mondiale contro le classi dominate in occidente e contro i popoli dell’ex terzo mondo, riottosi ad accettare l’ordine nuovo-capitalistico. Prima della battaglia decisiva per la supremazia mondiale, economico-finanziaria, monetaria, militare, con i globalisti orientali “emergenti” della Cina neocapitalista – che continua a fingersi socialista contro ogni evidenza – gli occidentali intendono “fare terra bruciata” di ogni paese, popolo o potenza resistente, dalle coste atlantiche africane fino ai confini con la Cina stessa. Indubbiamente la nato sta cercando ad ogni costo, e a costo di ogni sorta di provocazione (facendo abbattere arerei di linea, cercando di bloccare convogli umanitari e facendogli sparare addosso), la guerra con la Russia in Europa orientale, e non è escluso che si punti a un conflitto nucleare. Se vi saranno episodi di scontro nucleare localizzato, e anche se questi non porteranno alla distruzione completa del pianeta (ma con quali danni?), possiamo star certi che non porranno la parola “fine” al quarto conflitto mondiale in corso. Dopo aver piegato la resistenza russa, preluderanno alla battaglia finale con la Cina neocapitalista e ultramercatista, la cui classe dominante di globalisti “orientali” vorrebbe  esprimere, nel corso di questo secolo, la leadership mondiale, togliendo definitivamente lo scettro dalle mani dei “colleghi” occidentali