venerdì 28 febbraio 2014

"In Ucraina giovani neo fascisti". Yanukovic torna a parlare dalla Russia

 

  Fonte: L'Antidiplomarico

“Sono stato costretto a lasciare il paese sotto minaccia ma continuerò a lottare"

Il presidente deposto dell’Ucraina Viktor Yanukovič ha tenuto una conferenza stampa a Rostov sul Don, in Russia. Si tratta della prima apparizione in pubblico dal giorno del suo allontanamento dal Paese.
Yanukovic, che ha ribadito di essere ancora il presidente legittimo dell’Ucraina, sostiene di “essere stato costretto a lasciare il paese sotto minaccia ma di avere intenzione di continuare a lottare per il futuro dell’Ucraina, contro quelli che usano la paura e il terrore per prendere il controllo del paese.
Yanukovic ha poi denunciato la presa del potere in Ucraina da parte di “giovani neofascisti”, ha ribadito di non riconoscere la legittimità delle nuove autorità di Kiev  e ha anticipato che farà ritorno in patria appena la sua sicurezza sarà garantita.
Il presidente deposto ha poi puntato il dito contro le potenze occidentali, ree a suo dire di aver sostenuto la rivolta e condannato l’Ucraina al default allontanandola dalla Russia.
In merito alla posizione russa, Janukovic  ritiene che “Mosca non può essere indifferente al destino di un grande partner come l'Ucraina” e dovrebbe usare tutti gli strumenti  in suo potere per impedire che "il caos, il terrore si diffondano in  Ucraina" .
Riguardo la situazione in Crimea, Yanukovic ha detto che la repubblica autonoma dovrebbe rimanere territorio ucraino e che non chiederà alcun intervento militare della Russia.
Yanukovych ha ripetuto di non avere ordinato alla polizia di sparare sui manifestanti.

La rivoluzione marrone in Ucraina

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DI ISRAEL SHAMIR
Information Clearing House
Mi piace molto Kiev, una città affidabile con un piacevole carattere borghese, con tanti ristorantini, le strade alberate pulite e il buonumore che si sente nei suoi giardini dove vendono la birra. Un centinaio di anni fa Kiev era come un villaggio russo e in certe zone del centro ancora si sente questo sapore.
Adesso Kiev è pattugliata da teppisti armati dall'Ucraina occidentale, da combattenti neonazisti dell’ "Estrema destra", gli eredi di Stepan Bandera, dei soldati ucraini di Quisling e dei loro compagni di lotta, tutti di fede nazionalista.


Dopo un mese di confronto, il presidente Viktor Yanukovich ha ceduto, ha firmato la resa alla UE e si è preparato a scappare da una giustizia rivoluzionaria rozza, pronta a mordere. I parlamentari del partito di governo sono stati battuti e dispersi, i comunisti quasi linciati, l'opposizione ha conquistato il parlamento, ha nominato nuovi ministri e si è ripresa l’Ucraina. La rivoluzione Brown ha vinto in Ucraina. Questo grande paese dell'Europa orientale, di cinquanta milioni di abitanti, ha fatto la fine della Libia. Gli USA e la UE hanno vinto questo round e hanno respinto la Russia indietro verso est, così come volevano loro.

Resta da vedere se i teppisti neo-nazisti che hanno vinto la battaglia saranno d'accordo nel cedere il dolce frutto della vittoria ai politici, che sono , Dio sa , quanto scaltri. E ancora più importante, resta da vedere se quelli che parlano russo a Oriente e a Sud Est del Paese accetteranno le regole Brown di Kiev o se si divideranno per percorrere una strada autonoma, come fece il popolo di Israele (e come si dice nella Bibbia), dopo la morte di Re-Salomone, che si ribellò contro il suo erede dicendo: "Vai via nelle tue tende, o Israele!" e proclamò l'indipendenza del loro feudo (I Re 12:16). Nel frattempo sembra che il desiderio degli orientali "di mantenere l'integrità dello Stato ucraino" sia più forte della loro avversione contro i Browns vittoriosi. Anche se mettessero tutti insieme i loro rappresentanti per proclamare una dichiarazione di indipendenza, nessuno tirerebbe fuori il coraggio per rivendicare il potere. Queste sono persone pacifiche e hanno poca resistenza quando si deve combattere.
  
Il loro grande vicino, la Russia, non sembra apertamente interessata a questo sviluppo inquietante. Entrambe le agenzie di stampa russe, TASS e RIA, non hanno nemmeno messo questa terribile notizia sulla Ucraina in prima pagina, come invece hanno fatto la Reuters e la BBC : per loro, le Olimpiadi e il biathlon erano più importanti, come si può vedere sui giornali.

Questo atteggiamento a "fare lo struzzo" è abbastanza tipico dei media russi : ogni volta che si trovano in una posizione imbarazzante, ignorano tutto e mettono in TV il balletto del “ lago dei cigni”. Lo fecero quando crollò l'Unione Sovietica nel 1991 e questa volta hanno fatto vedere le Olimpiadi, invece del balletto.

L’opposizione anti-Putin in Russia ha approvato, approvandolo, il colpo di stato ucraino. Ieri a Kiev, domani a Mosca, cantavano. Altro slogan popolare è “Maidan ( la piazza principale di Kiev, il posto dei demo anti-governativi) è come la Bolotnaya” (una piazza a Mosca, il posto delle proteste anti-governative di dicembre 2012).

La maggioranza dei russi è rimasta scossa da questo evento, ma non sorpresa. La Russia ha deciso di ridurre al minimo il proprio coinvolgimento in Ucraina alcune settimane fa, come se volesse dimostrare al mondo la sua non-interferenza, un comportamento che sconfina nell’incoscienza. Mentre i ministri degli esteri dei paesi comunitari e dei loro alleati si affollavano a Kiev, Putin mandava Vladimir Lukin, un commissario per i diritti umani, un signore anziano, di basso livello e di poco peso politico per affrontare la crisi ucraina. L' ambasciatore russo Zurabov, altra non-entità, è completamente scomparso dalla vista del pubblico. Ora è stato anche richiamato a Mosca. Putin ha fatto non una sola dichiarazione pubblica sull’Ucraina, come se si trattasse della Libia o del Mali, non di un paese vicino, tanto vicino al retroterra russo.
Però ci si poteva aspettare questo approccio di non interferenza: la Russia non interferì nelle disastrose elezioni ucraine del 2004 , né nelle elezioni georgiane che hanno prodotto governi estremamente anti-russi. La Russia si fa coinvolgere solo se c’è una vera e propria battaglia sul campo, e un governo legittimo che chiede aiuto, come fu in Ossezia nel 2008, o in Siria nel 2011. La Russia appoggia chi combatte per la propria causa, in caso contrario, un po' deludentemente, si fa da parte.
L'Occidente non ha questo tipo di inibizioni e i suoi rappresentanti sono sempre estremamente attivi : il rappresentante del Dipartimento di Stato americano Victoria Nuland (quella del "Fuck the UE”)  aveva passato giornate e settimane a Kiev, alimentando gli insorti e regalando biscotti insieme a milioni di biglietti verdi di contrabbando, incontrando i loro leader, facendo piani e tramando il colpo di stato. Kiev ormai è inondata dall’odore di menta fresca dei dollari ( un sapore che ancora non si sente a Mosca, secondo certi amici russi). L'ambasciata USA sta distribuendoli  a tutti come un texano brillo in un night club. Ognuno dei ragazzoni che hanno combattuto ha preso cinquecento dollari alla settimana, quelli più esperti fino a mille e un comandante di plotone duemila dollari – bei soldoni per gli standard ucraini.
Ma il denaro non è tutto, serve anche la gente per fare un colpo di stato. C’era una opposizione e quando Yanukovich ha vinto con elezioni democratiche, di conseguenza, tre partiti hanno perso le elezioni. I loro sostenitori avrebbero potuto spinger la gente in strada per fare una manifestazione pacifica o per un sit-in. Ma poi ci sarebbe stato chi avrebbe combattuto nel momento critico? Forse no.
Come neppure avrebbe combattuto chi riceveva generose sovvenzioni dall'America e dall'Europa (la Nuland ha calcolato che la spesa investita dagli americani per "costruire la democrazia" sia stata stata di cinque miliardi di dollari) che forse potevano bastare per chiamare in piazza la gente, ma quelli delle ONG, sono persone timide che non arriverebbero a rischiare qualcosa di personale per il benessere di tutti, quindi gli USA avevano bisogno di uno strumento più potente per rimuovere dal governo un presidente democraticamente eletto.
Le Uova di Serpente
Le uova di serpente sono state covate in Ucraina occidentale: dai figli dei collaborazionisti dei tedeschi, allattati con l'odio verso i russi dal latte delle loro madri, e dai figli di padri che avevano formato una rete sotto Reinhard Gelhen, capo delle spie tedesche. Nel 1945 dopo la sconfitta della Germania, Gelhen giurò fedeltà agli Usa e consegnò la sua rete di spionaggio alla C.I.A.
La guerriglia contro i sovietici continuò fino al 1956 e la loro crudeltà divenne leggendaria, terrorizzava la popolazione seguendo gli ordini del comando. È risaputo che molti ucraini, sospettati di essere solo simpatizzanti dei russi, vennero strangolati a mani nude.
Una agghiacciante confessione  di un partecipante racconta di certi fatti che avvennero a Volyn : " Una notte, abbiamo sgozzato 84 uomini .... ( Ndt. seguono particolari che omettiamo )". Furono macellati centinaia di migliaia di polacchi e di ebrei e presero parte anche al terribile massacro dei bambini Yar, con la connivenza dei tedeschi, in qualche modo fu un fatto simile alla connivenza israeliana nei massacri di palestinesi di Sabra e Chatila, compiute dai fascisti libanesi della Falange.
I figli di questi assassini guidati da Bandera sono stati educati all’odio per il comunismo, per i sovietici e per i russi, e alla venerazione di quello che avevano fatto i loro padri. Sono diventati la punta di diamante dei ribelli anti-governativi pro-USA in Ucraina, il Settore della destra estrema, guidata dall’ ultra-estremista-fascista Dmytro Yarosh. Erano pronti a combattere, a morire e ad uccidere. Questa organizzazione era capace di attrarre l'interesse di potenziali ribelli anche da orizzonti differenti : il loro portavoce è un giovane russo-convertito-ucraino-nazionalista Artem Skoropadsky, un giornalista dei mainstream della Kommersant-UA, mezzo stampa oligarchico. Ci sono stati altri casi di giovani russi che si sono uniti alle reti salafite e sono diventati kamikaze, tra le montagne del Caucaso - giovani il cui desiderio di azione e di sacrificio non potevano essere soddisfatti in una società dei consumi.
Si tratta di vere truppe d'assalto di slavi di al-Qaeda e di neo-nazisti  "alleati naturali per gli Stati Uniti".
Sono gente che non combatte solo per far entrare il paese nella UE, contro una permanenza nella lega russa, ma combattono anche contro i russi dell'Ucraina e contro tutta l'etnia Ucraina di lingua russa. La differenza di atteggiamento è discutibile: prima dell'indipendenza nel 1991 tre quarti della popolazione preferiva parlare russo, poi i governi successivi hanno cercato di costringere la popolazione ad usare la lingua ucraina. Per gli ucraini neonazisti, chi parla russo è diventato un nemico. Potremmo fare un confronto con la Scozia, dove si parla inglese, mentre i nazionalisti vorrebbero costringere tutti a parlare la lingua di Burns.
Dietro la punta di diamante del Right Sector- l'Estrema-Destra, con i suoi ferventi combattenti anti-comunisti e anti-russi, c’era una organizzazione più grande che poteva contare sui neo-nazisti di Svoboda, di Tyagnibok.
Qualche anno fa, Tyagnibok chiamò il popolo a una lotta contro russi e ebrei, adesso è diventato più cauto per gli ebrei ma è sempre anti-russo. Tyagnibok è stato tollerato o addirittura incoraggiato da Yanukovich, che ha provato ad imitare il presidente francese Jacques Chirac che vinse il secondo turno delle elezioni contro il nazionalista Le Pen, sicuro che avrebbe certamente perso le elezioni contro qualsiasi altro avversario. Con la stessa tecnica, Yanukovich ha voluto Tyagnibok come suo avversario da sconfiggere al secondo turno delle elezioni presidenziali.
I partiti che sedevano in parlamento ( il maggiore il partito di Julia Timoshenko con il 25% dei seggi e il più piccolo  il partito del pugile Klitschko con il 15%)  sostennero il malcontento popolare e persero le elezioni.
L’Unione dei nazionalisti e dei liberali
Così si costituì una unione tra nazionalisti e liberali sotto l'ombrello di una nuova politica USA in Europa orientale. Una prova era già stata fatta in Russia due anni prima, dove i nemici di Putin si allearono in una forza composta dai liberali a favore dell'Occidente con i nazionalisti dell'etnia russa e tutti i neonazisti più o meno estremisti.
I "liberali" non combattono, sono impopolari tra le masse, includono tra di loro un'alta percentuale di ebrei, omosessuali, milionari, giornalisti liberali -  i " nazionalisti" possono incitare le grandi masse non indottrinate, quasi come i bolscevichi, e combatteranno. Questo è il cocktail antipulci preferito dagli USA e questa alleanza ha effettivamente raggiunto oltre il 20% dei voti alle elezioni cittadine di Mosca, dopo un tentativo di prendere il potere scalzando Putin. Al secondo tentativo in Ucraina, l'azione ha avuto successo.
Ricordiamo: per i liberali non è necessario sostenere la democrazia. Lo fanno solo se sono certi che la democrazia porterà loro quello che vogliono. Altrimenti possono unire le loro forze con quelli di Al Qaeda, come succede adesso in Siria, con gli estremisti islamici come succede in Libia, con l'esercito come succede in Egitto, o con i neonazi come succede ora in Russia e in Ucraina. La storica  alleanza liberal-nazista non ha funzionato perché i vecchi nazisti erano nemici dei banchieri e del capitale finanziario e quindi erano anche contro gli ebrei. Quest'intoppo potrebbe però essere evitato: Mussolini ad esempio non si mostrò ostile con gli ebrei ed ebbe anche un paio di ministri ebrei del suo governo anzi contestò l'atteggiamento antiebraico di Hitler, dicendo che "gli ebrei sono utili e cordiali". Hitler rispose che se anche lui avesse permesso la commistione con gli ebrei, migliaia sarebbero stati quelli pronti ad entrare nel suo partito. Oggi questo problema è svanito: i moderni neonazi non sono ostili verso gli ebrei, verso i banchieri e nemmeno verso i gay. Breivik, quell'assassino norvegese, che ammazzò decine di persone tra la folla, è stato uno straordinario esempio di neonazista amico degli ebrei. Questo sono gli ucraini e i russi neonazisti.
Mentre vecchi teppisti di Bandera uccidevano ogni Ebreo (e ogni polacco ) che incontravano, i loro eredi moderni hanno invece un sostegno prezioso dagli ebrei. Gli oligarchi di origine ebraica (Kolomoysky, Pinchuk e Poroshenko) li finanziano, mentre un importante leader ebraico, il Presidente dell'Associazione delle organizzazioni ebraiche e dei Comuni della Ucraina, Josef Zissels, li sostiene e li giustifica. Sono molti a favore di Bandera in Israele, che raccontano che Bandera non era un antisemita, perchè il suo medico era ebreo (come quello di Hitler). Gli ebrei non sono contro i nazisti se non sono loro ad essere presi di mira. I neonazisti russi hanno come bersaglio gli immigrati tagiki  e i neonazisti ucraini hanno come bersaglio i russofoni.
Rivoluzione: Linee guida

La rivoluzione merita qualche riga : Yanukovich non era troppo male come presidente, prudente ma debole ma poi l’Ucraina è arrivata sul bordo del baratro finanziario. Yanukovich ha cercato di salvare la situazione alleandosi con la UE, ma la UE non aveva soldi da buttare. Poi ha cercato di fare un accordo con la Russia e Putin gli ha offerto una via d'uscita, senza nemmeno chiedere all'Ucraina di attaccarsi al carro russo. Questo ha scatenato la reazione violenta della UE e degli Stati Uniti, preoccupati che questo avrebbe rafforzato la Russia .
Yanuk, come lo chiama la gente, aveva pochi amici. I potenti oligarchi ucraini non lo amavano per i soliti motivi e anche per le abitudini di suo figlio, di potuto rubarsi qualche affare che doveva fare qualcun altro. Qui potrebbero segnare un punto a loro favore anche per quello che disse il leader della Bielorussia, il prode Lukashenko, sui modi poco ortodossi del figlio di Yanuk di comprare aziende pubbliche che poi ha portato al dissesto.
L'elettorato di Yanuk, il popolo di lingua russa dell'Ucraina (e sono la maggioranza nel paese, come chi parla inglese in Scozia) è stato deluso perché non ha mantenuto il diritto di parlare russo e di insegnare il russo ai figli. Ai seguaci di Julia Timoshenko, Yanuk non piaceva per aver incarcerato la loro leader. (Anche se lei se l’era meritato per aver pagato assassini, rubato miliardi allo stato ucraino in combutta con un ex primo ministro e per aver fatto affari disonesti con la Gazprom a scapito dei consumatori ucraini). Gli estremisti-nazionalisti lo odiavano per non aver sradicato la lingua russa dal paese.
L'attacco orchestrato contro il Presidente eletto ha seguito alla lettera le istruzioni di Gene Sharp , e cioè :
  1. Scegliere una piazza centrale e organizzare un pacifico sit-in di massa
  2. Parlare all'infinito del pericolo di scoppi di violenza
  3. (Se le autorità non reagiscono subito), provocare spargimento di sangue
  4. Denunciare a tutti e con veemenza che ci sono stati omicidi spietati
  5. Arrivare a far restare le autorità inorridite e stupefatte
  6. Quindi procedere a rimuoverle dal loro ruolo
  7. Un nuovo potere deve essere pronto a prendere il sopravvento.
L'elemento più importante di questo schema però non è mai stato dichiarato dall’astuto Sharp , ed è per questo che il movimento Occupy Wall Street ( che aveva seguito queste regole ) non è riuscito a ottenere il risultato desiderato. Bisogna avere dalla propria parte i Signori del Discorso ™ esempio, i media mainstream occidentali. In caso contrario, il governo ti schiaccia come hanno fatto con Occupy e con molti altri movimenti simili. Ma qui, i media occidentali sono stati completamente schierati dalla parte dei ribelli, in tutti gli eventi organizzati dall'ambasciata americana.
In un primo momento, certe persone che si conoscevano tra loro si sono riunite per un sit-in in piazza Indipendenza " Piazza Maidan" : erano tutti quelli che prendevano le sovvenzioni USAID attraverso la rete delle ONG - ha scritto   Andrey Vajra, un esperto sulle questioni ucraine - gestite dall’oligarca Khoroshkov, neo-nazista della Destra Radicale e dei radicali della Causa Comune. Quella riunione pacifica è stata generosamente intrattenuta con la partecipazione di artisti e con l’offerta gratuita di cibi e bevande e incoraggiando il sesso libero - era già carnevale al centro della capitale e la gente ha cominciato ad arrivare, come accadrebbe in qualsiasi altra città dell’universo conosciuto. Queste feste di carnevale sono state pagate dagli oligarchi e dall'ambasciata americana.
Ma il carnevale non poteva durare in eterno.
Come si legge al punto 2. : Hanno cominciato a far girare la voce che la polizia avrebbe disperso la gente con la violenza,  le persone si sono spaventate e si sono allontanate. Solo pochi attivisti sono rimasti in piazza.
Come si legge al punto 3. È cominciata la provocazione per mezzo di un agente occidentale infiltrato nell'amministrazione, Sergey Levochkin, che ha scritto una lettera di dimissioni, l’ha inviata e poi ha ordinato alla polizia di disperdere il sit -in anche con la violenza. La polizia si è mossa e ha disperso gli attivisti. Nessuno è stato ucciso, nessuno è rimasto gravemente ferito - oggi, dopo cento morti , è ridicolo perfino ricordare questo episodio - ma l'opposizione denunciò che erano stati compiuti omicidi sanguinosi. Il mondo dei media, questo potente strumento nelle mani dei Signori del Discorso, cominciò a scrivere che "Yanukovich aveva massacrato i bambini".
La UE e gli USA parlarono subito di sanzioni e i diplomatici stranieri si mossero tutti per proteggere i pacifici manifestanti, mentre allo stesso tempo si dava man forte alla folla di Maidan, mandando ad aiutarli degli uomini armati e dei picchiatori dell’estrema destra.
Abbiamo parlato finora di Gene Sharp , ma quelli di Maidan hanno avuto anche un altro alleato-consigliere, Guy Debord e il suo concetto di Società dello Spettacolo : Non c’è niente di vero, ma si parla tanto di un evento ben rappresentato per finta, così come fu fatto in passato, nell’agosto 1991 con il "colpo di stato di Mosca". Yanukovich ha fatto di tutto per tenere in piedi la resistenza a Maidan : avrebbe potuto mandare la polizia anti-sommossa per disperdere la folla, ma si è sempre fermato a metà lavoro e ogni giorno che li mandava poi li richiamava. Dopo un trattamento di questo genere, anche un cane che dorme, si mette a mordere.
La spettacolarizzazione della irrealtà di questo evento a Kiev è stata sottolineata dall’arrivo del guerrafondaio dell’impero, il filosofo neo-con Bernard-Henri Levy che è venuto a Maidan come andò in Libia e in Bosnia, reclamando il rispetto dei diritti umani e minacciando sanzioni e bombardamenti. Ogni volta che arriva lui, comincia una guerra. Spero di non trovarmi mai in un paese dove Levy sta programmando una visita.
Le prime vittime della rivoluzione Marrone sono stati i monumenti - quelli di Lenin - perché i ribelli odiano il comunismo in ogni sua forma e odiano ciò che ricorda la guerra mondiale, perché i rivoluzionari stanno con quelli che l’hanno persa, con i nazisti tedeschi.
La storia ci dirà in che misura Yanuk e i suoi consiglieri hanno capito quello che stavano facendo. In ogni caso , hanno incoraggiato il fuoco di Maidan con le loro incursioni inefficienti fatte da una polizia disarmata. I neo-nazisti di Maidan avevano messo i cecchini a sparare contro la polizia, decine di persone sono state uccise, ma il presidente Obama ha chiamato Yanuk e gli ha chiesto di fermarsi, e lui si è fermato. Quando hanno ricominciato a sparare, avrebbe voluto mandare la polizia di nuovo, ma un diplomatico della UE lo avrebbe minacciato di denuncia al Tribunale dell'Aja, e lui avrebbe richiamato, come sempre, la sua polizia. Nessun governo riuscirebbe a funzionare in queste condizioni.
Alla fine è crollato, ha firmato sulla linea tratteggiata in fondo al foglio ed è partito per una destinazione ignota. I ribelli hanno preso il potere, hanno proibito la lingua russa e hanno cominciato a saccheggiare Kiev e Lvov. Ora la vita della gente placida di Kiev si è trasformata in un inferno: rapine quotidiane, botte, omicidi che abbondano. I vincitori stanno preparando un'operazione militare contro le aree di lingua russa nel sud-est dell'Ucraina. Lo spettacolo della rivoluzione può diventare davvero sanguinoso.
Ci sono certi ucraini che sperano che Julia Timoshenko, appena uscita dal carcere, riuscirà a frenare i ribelli, altri sperano che il Presidente Putin presti la giusta attenzione agli eventi ucraini, adesso che i suoi giochi olimpici sono, fortunatamente, finiti.  Lo spettacolo però non è finito, almeno fino a quando non si abbasserà il sipario – ma finché gli attori continuano a recitare  – non sapremo come andrà a finire questo dramma.
Israel Shamir è un commentatore politico e un ideologo radicale di fama internazionale, editorialista e scrittore. I suoi commenti e le sue profonde analisi su temi di attualità sono pubblicati sul sito www.israelshamir.net. Può essere raggiunto a adam@israelshamir.net

Fonte: http://www.informationclearinghouse.info
Link:  http://www.informationclearinghouse.info/article37761.htm
Tratto da:  http://comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13000&mode=thread&order=0&thold=0
Il testo italiano di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte ComeDonChisciotte.org  e l'autore della traduzione Bosque.Primario

lunedì 24 febbraio 2014

Ucraina e il fascismo che nessuno vuole vedere

 Ucraina e il fascismo che nessuno vuole vedere

Fonte: Tribuno del popolo


Vorremmo rassicurare tutti i nostri lettori antifascisti che sono rimasti disorientati dalla disinformazione e dalla faziosità con cui i media hanno parlato dei fatti in Ucraina: non avete avuto le traveggole, i fascisti ci sono per davvero!
Tutti quelli di voi che, osservando quanto successo in Ucraina, hanno provato un forte senso di disorientamento e di disagio, sono coloro a cui ci rivolgiamo con questo breve articolo. Innanzitutto vorremmo confortarvi, non siete stati soli a sconcertarvi, e poi vorremmo anche rassicurarvi, abbiamo visto anche noi gruppi di neofascisti a braccio teso con croci celtiche e svastiche per le strade di Kiev in questi giorni che sono stati chiamati quelli della “rivoluzione” ucraina. Inizialmente abbiamo pensato di aver avuto le traveggole dato che tutti i quotidiani europei sembravano raccontare un’altra storia, omettendo di sana pianta per intere settimane anche solo di menzionare che, tra i pacifici ragazzotti europeisti di Maidan, si trovavano anche i militanti neonazisti e neofascisti dell’estrema destra ucraina, gli eredi di quello Stefan Bandera che nel corso della Seconda Guerra Mondiale si era schierato senza tentennamenti accanto alla Whermacht di Hitler. Vedendo bande di neonazisti sventolare come se niente fosse svastiche e croci celtiche abbiamo provato un brivido lungo la schiena, non tanto perchè pensavamo che i fascisti non ci fossero più, teoria in voga tra i radical chic europei, quanto perchè in modo scandaloso nessuno dei nostri “democratici” politici ha preso posizione apertamente contro lo scempio di Maidan, a parte qualche singola eccezione, vedi Arlacchi del Pd.
Ci siamo sentiti dei pazzi quando abbiamo sentito di un Parlamento ucraino che viene fatto funzionare sotto la minaccia dei manganelli neofascisti, abbiamo quasi creduto di essere impazziti e di vedere fascisti dove non ci sono, poi però abbiamo realizzato di essere dannatamente lucidi, di essere qui oggi nel 2014, e che non c’è davvero niente da scherzare. Siamo di fronte a un Occidente che si professa democratico, libero, (ormai non più antifascista perchè termine secondo loro desueto) solo a parole, mentre quando si tratta del proprio tornaconto è disposto in modo molto pratico a mettere da parte tutti questi valori. Così i politici europei e americani non hanno esitato a ricorrere anche ai neonazisti pur di perseguire la propria trama, non che sia la prima volta del resto, basta ricordarsi il golpe dei Colonnelli in Grecia o il consenso dato al fascismo di Francisco Franco in Spagna. Così persino una certa sinistra si è fatta abbindolare chiudendo gli occhi di fronte alle nere milizie e cercando di giustificare l’ingiustificabile, magari sostenendo che gli ucraini erano ormai stanchi del “regime”, quando però il governo di Yanukovich, corrotto o meno che fosse, era stato eletto proprio dai cittadini ucraini in  elezioni democratiche giudicate regolari dagli stessi paesi che oggi hanno appoggiato il golpe di piazza. Quando poi i media occidentali hanno cominciato a bombardare anche con le immagini delle statue di Lenin abbattute, il parossismo ha toccato l’acme e ci è sembrato di tornare, davvero, ai tempi del Terzo Reich e del fascismo, quando cioè nell’indifferenza generale le camere del lavoro e le sedi dei comunisti venivano bruciate. Secondo i nostri “liberi” media è del tutto normale che militanti neofascisti assaltino le sedi comuniste, del resto loro sono i primi ad aver costruito un clima per cui il comunismo equivale alla quintessenza del male sulla terra. Un male evidentemente persino peggiore del fascismo secondo loro, dal momento che non hanno esitato a chiudere gli occhi quando si è palesato nel cuore dell’Europa. Ma del resto si sa, il fascismo secondo molti altro non è che un modo, l’estremo, che ha il capitalismo per difendere se stesso.
Gracchus Babeuf

domenica 23 febbraio 2014

Arancione tinto di nero

La rivoluzione arancione è tornata, ma stavolta è un arancione affumicato dal nero nazista. I russofoni vorranno la secessione o accetteranno il golpe?

di Giulietto Chiesa

Fonte: Megachip



La rivoluzione arancione è tornata, ma questa volta è un arancione affumicato dal nero nazista. Adesso il grande interrogativo è se le regioni dell'est e del sud, Il Donbass e la Crimea, muoveranno verso la secessione, oppure accetteranno il colpo di stato violento.
Decisione che dipenderà da molti fattori, ancora aperti e incerti.
Certo è che, adesso, per i russofoni di Ucraina il restare equivarrà a scendere di grado: da cittadini con eguali diritti a subordinati a un potere politico centrale che dichiara, senza mezzi termini, di considerare la Russia un nemico.
L'Europa e Washington applaudono il nuovo governo nero di Kiev, promettono aiuti, si felicitano vicendevolmente nel baccanale del trionfo. E alzano la posta: una "mezza Ucraina" non gli basta. La vogliono tutta, costi quello che costi. E, infatti , accusano Mosca di puntare alla secessione.
Yulia Timoshenko ha già vinto le prossime elezioni presidenziali di maggio. Intanto annuncia la caccia all'uomo . "Yanukovic e i suoi - dice - saranno puniti. E' già chiaro che, in nome dell'unità del paese, è pronta a mandare i carri armati golpisti a punire i "russi" secessionisti.
Ma neanche questo appare sufficiente. Si alza la sfida a Mosca: "La nostra rivoluzione sarà un esempio per altre repubbliche ex sovietiche - esclama l'eroina dell'Occidente - abbiamo indicato loro la strada verso la libertà". Il vicinissimo Lukashenko, schiacciato ormai tra la Polonia revanchista di Tusk e la "nuova Ucraina" di Stepan Bandera incassi l'avvertimento. Ma il presidente della Bielorussia non sarà l'unico a doversi guardare la schiena. C'è la Georgia, invitata a alzare di nuovo gli scudi. C'è la Moldavia da strappare definitivamente al "comunismo". E c'è la Russia di Putin da umiliare.
E' un programma che prevede due esiti possibili: uno è la resa della Russia all'ineluttabile accerchiamento. L'altro è un innalzamento drammatico della tensione tra Mosca e l'Europa, tra la Russia e l'Occidente. Le navi USA sono già nel Mar Nero. Mosca, per ora, tace, mentre cala il sipario dell'Olimpiade.

Intervista alla Segreteria del Partito Comunista di Serbia


CPS_logo A cura di Mario Forgione. Da Nomos V. Eurasia: grande spazio e superpotenza.
Proponiamo un’intervista a Vojislav Radojević e Ivica Kostić, i due membri della Segreteria del Partito Comunista di Serbia. Il Partito Comunista di Serbia, che ha stretto rapporti di collaborazione e intesa con Millennium, ne rappresenta il suo principale alleato politico nel settore balcanico.

Prima di addentrarci nell’analisi delle vostre proposte politiche, anche alla luce dell’intesa con il movimento Millennium, sarebbe interessante comprendere la genesi del vostro partito e i rapporti di forza con la vecchia classe dirigente della Lega dei Comunisti di Serbia: Esiste o meno una soluzione di continuità tra queste due forze politiche ed entro quale raggio di azione politica si inscrive il vostro partito?
Il Partito Comunista di Serbia (PCS) è stato creato verso la fine del 2007, come risultato di un vuoto politico lasciato in Serbia. Durante questo periodo, in Serbia vi erano molti partiti registrati con il prefisso “comunista”, ma nessuno di questi svolgeva un ruolo attivo. In aggiunta alla passività poi, molti di questi appartenevano alle più varie correnti revisioniste, come gli stalinisti, i titoisti e gli hodzisti, ma non vi era nessun partito che rappresentasse l’idea originale marxista-leninista. L’appena formatosi PCS ha subito sostenuto la fonte del marxismo e del leninismo, arricchita con le esperienze positive dei lavoratori sviluppatesi nella precedente unione statale della Yugoslavia. In accordo con gli impegni del suo programma, il PCS non è una continuazione dell’azione della Lega dei Comunisti di Serbia e della Lega Comunista Yugoslava, ma è il Partito Comunista la cui azione è basata sull’esperienza positiva dei partiti precedenti, traendo gli insegnamenti da questa esperienza e creando una moderna, efficiente e chiara affiliazione partitica marxista. Le attività del PCS sono basate sui principi della democrazia diretta e imperativa, quindi non vi è alcun presidente. Il Segretario Generale è eletto solo per 2 anni, ed egli cambia il Vice-Segretario, sempre in questi 2 anni. Il PCS è guidato dalla Segreteria, dove tutti i membri sono pienamente uguali in diritti e doveri. Noi crediamo che il principio della leadership collettiva riflette la vera essenza del marxismo dove tutti i membri della Segreteria sono contributori e non competitori.
Noi crediamo che la più alta forma di organizzazione dei lavoratori consista nella concezione marxista di produzione sociale, e con alcune modifiche minori essa può essere un esempio per il mondo intero. La maggiore differenza tra il sistema di produzione socialista e quello capitalista è che sotto il capitalismo la produzione è subordinata alla massimizzazione del profitto, mentre nel socialismo essa deve soddisfare i bisogni sociali. Il nostro obiettivo primario è quello di cambiare le menti delle persone in Serbia, per ottenere un chiaro obiettivo che perseguiamo, che è l’instaurazione di un sistema socio-economico socialista basato sui principi della democrazia diretta. Cambiare le coscienze equivale ad aprire gli occhi ai cittadini serbi su dove essi vengano portati dal modello capitalista che è stato imposto alla Serbia dall’Occidente.

I Balcani, per loro particolare conformazione storica e geografica, sono un centro nevralgico per la costituzione di un assetto geopolitico capace di integrare i paesi che gravitano o hanno interessi politico/economici nel Mediterraneo con i paesi dell’Est Europa. Dopo i noti rivolgimenti storici che hanno interessato la penisola balcanica, esiste ancora la possibilità di fare dei Balcani una cerniera geografica e culturale capace di rafforzare il blocco geopolitico europeo?
I Balcani, a causa del loro peculiare assetto geografico e storico, sono centro nevralgico per la costituzione di una struttura geopolitica capace di integrare i Paesi che circondano il Mediterraneo, che, insieme ai Paesi est-europei, hanno interessi politici ed economici in quest’area. Una volta conosciuti gli sconvolgimenti storici che hanno afflitto la penisola balcanica, pensate sia possibile che questa regione sia geograficamente e culturalmente più capace di rafforzare la regione geopolitica europea?
La storia recente dei Balcani – proprio come quella più antica – è stata estremamente difficoltosa per la sua intera popolazione. Questo fato è stato impossibile da sfuggire per il popolo serbo. Con la decisione dell’Occidente di distruggere la Yugoslavia, i Serbi furono lasciati alla mercé degli Stati recentemente indipendenti dell’ex Yugoslavia. L’ex Yugoslavia ha generato tre nuove nazioni quali i Montenegrini, i Macedoni e i Musulmani. Senza entrare nei motivi della loro creazione, tutti insieme non erano idonei a diventare una nazione. Questo è vero in particolar modo per i Musulmani, che sono diventati sempre di più a causa dei Serbi islamizzati, e durante i secoli hanno sempre contrastato i Serbi. Pressocché in nessuna guerra contro i Musulmani i Croati e i Serbi sono stati d’accordo. Lo stesso vale per gli Albanesi, che non sono mai stati dalla stessa parte dei Serbi. Le ferite profonde che il popolo serbo indossa, e che hanno lasciato un marchio indelebile sulla sua volontà, hanno determinato la posizione dei Serbi nei confronti delle altre nazioni della ex Yugoslavia quando essa è iniziata a cadere a pezzi. A tutte le persone della ex Yugoslavia è stato permesso di votare sul proprio futuro, solo al popolo serbo è stata negata questa possibilità. Con l’aiuto dell’Occidente, I Serbi, che erano uno dei popoli costituenti, sono diventati una minoranza nel nuovo Stato. Questa è la ragione principale dello scoppio del conflitto civile. Tutte le soluzioni imposte dall’Occidente, che non erano né giuste né intelligenti, rimasero cose irrisolte che potevano sempre degenerare in un sanguinoso conflitto nell’ex Yugoslavia. Pertanto, il territorio dell’ex Yugoslavia sarebbe un bariletto di polvere da sparo sul suolo dell’Europa, e non sarà mai un ponte di cooperazione. Dubitiamo sia possibile qualsiasi sincera cooperazione tra i popoli dell’ex Yugoslavia, poiché nessuna nazione mantiene la propria politica indipendente.

L’intellighenzia del blocco atlantico è stata sempre storicamente contraria alla creazione di una valida armonia tra le sfumature etnico-culturali che caratterizzano la penisola balcanica. La stessa Europa – si pensi alla partecipazione attiva dell’Italia all’attacco Nato ai danni di Serbia e Kosovo nel marzo del 1999 e al forte sostegno dato dai paesi europei alla Croazia e alla Slovenia per lo smembramento della Federazione balcanica – si è sempre caratterizzata per una politica di totale asservimento agli interessi di Washington. Oggi, anche alla luce dell’elezione di Tomislav Nikolić, esiste per la Serbia la possibilità di svincolarsi dalle ingerenze atlantiche pienamente accettate dal suo predecessore Boris Tadić?
Il popolo serbo nelle elezioni precedenti non ha avuto la possibilità di scegliere tra differenti opzioni politiche, ma solo di scegliere tra differenti servi dello stesso padrone. La scelta tra cose uguali non è un’opzione. La Serbia ha imposto il più atroce sistema di governo, un governo kleptocratico. Oggi, nel Parlamento serbo risiede l’opzione politica unipolare che esegue ciecamente le richieste dell’imperialismo plutocratico occidentale, e per il suo servizio essa è premiata con la possibilità di essere libera dalle interferenze o dalle conseguenze legali per saccheggiare illimitatamente il loro stesso Stato. Il cambio del partito dominante in Serbia è solo un cambio di cosmetici, destinato a rappresentare un nuovo inganno per il popolo, mentre l’essenza della politica estera e interna del governo di Tomislav Nikolić, con ogni probabilità, rimarrà immutata da quella del governo di Boris Tadić. La Serbia non è un Paese indipendente, ma un territorio indefinito occupato dentro e fuori. Sono incomprensibili per la Serbia le aspirazioni di entrata nell’Unione Europea, sapendo che essa è occupata dai Paesi occidentali ed è economicamente devastata. Ciò serve solo a dimostrare la disposizione dei collaborazionisti locali a diventare una colonia dell’Occidente. Il più grande “merito” in questa situazione è della politica di tradimento dell’ex Presidente serbo Boris Tadić e dei suoi partner di coalizione fino al 2000, quando hanno condotto i cittadini serbi verso la schiavitù occidentale moderna. La proprietà pubblica è stata prima di tutto sequestrata al Popolo per trasferirla nelle mani dello Stato (parliamo di circa 150 bilioni), quindi rubata per sé stessi o per le imprese occidentali attraverso una privatizzazione che ammontava all’incirca a 800 milioni di euro. Tutti coloro che hanno partecipato al furto perpetrato ai danni del popolo dovrebbero comparire davanti alla Corte e restituire tutto al loro legittimo proprietario – il Popolo.

L’operato politico di Boris Tadić si è caratterizzato per un’accettazione supina dei dettami politici di Washington e, la stessa candidatura ufficiale della Serbia per l’ingresso nell’Unione Europea presentata il 22 dicembre 2009, è stata accompagnata da forti pressioni politiche per fa sì che la Serbia perdesse la sua specificità culturale. La vittoria del leader del Partito progressista serbo, anche alla luce della sua esperienza politica con Slobodan Milosevic, può ridare vigore politico alla Sebia?
La nostra opinione è che Slobodan Milosević, anche se prima era un ufficiale dell’ex Partito Comunista, cambiò velocemente posizione e si accordò apertamente con il capitale occidentale, e che, grazie alla servile politica di Milosević, nei primi anni della transizione 3500 persone vennero in possesso delle più ricche e più forti compagnie serbe in via totalmente gratuita o a costi ridicoli, tanto che alla popolazione non era possibile acquistare nemmeno un chilo di pane. L’arrivo al potere di Slobodan Milosević è anche l’inizio della contro-rivoluzione in Serbia e del rovesciamento del socialismo. La maggior parte del lavoro è stata effettuata, e continua il saccheggio dell’appena create strutture DOS del 2000. Il culmine del collasso del governo si è raggiunto mettendo al potere Tomislav Nikolić. L’unica soluzione per la Serbia consiste nei cambi necessari nel sistema socio-politico, nell’arrestare l’erosione dello Stato, nel preservare l’esistenza fisica dei cittadini e finalmente nel ritornare a standard di vita normali. Guardiamo come promemoria i risultati del precedente sistema socialista oltre il presente capitalista: è mendace affermare che il socialismo fu un sistema inefficace, perché basterebbe guardare le statistiche del PIL del 1989 e quelle di oggi. L’ammontare del PIL del 2011 consisteva nel 64% di quello del 1989. Il PIL ammontava a 32 bilioni di euro, quando nel 1989 equivaleva a 50 bilioni. Se non fosse stato per l’imposizione della guerra, le sanzioni e i collaborazionisti del governo, il PIL serbo – considerando la media più bassa – avrebbe un tasso di crescita del 4% annuo, e nel 2011 sarebbe stato all’incirca di 120 bilioni di euro. Segnaliamo che l’industria costituiva il 30% del PIL nel 1989, e ora, nel 2011, solo il 13%. Questo è un ottimo “successo” della transizione dal socialismo al capitalismo. Tutti noi siamo caduti credendo ingenuamente che sotto il capitalismo avremmo vissuto meglio. Ora, con tutte le prove numeriche, possiamo dire che il capitalismo si è dimostrato inefficace in Serbia, e solo un cambio di sistema economico potrebbe sarebbe un bene per noi tutti. Questo sistema ci porterà tutti alla rovina. Le cause dell’abbassamento del PIL non possono essere spiegate in altro modo se non con il saccheggio dell’economia, la mancanza di sviluppo a lungo termine, la dominazione del consumo distruttivo e l’accumulato e l’acquisito dei mezzi di ricchezza sociale. Il risultato è la mancanza di novità e la drastica riduzione delle vere fonti esistenti di crescita economica. La produzione industriale nello stesso periodo lo illustra davvero bene e dimostra che la tendenza punta chiaramente verso il basso – dai 100 del 1989 ai 45 punti percentuali nel 2009. Non abbiamo intenzione di annoiare i lettori fornendo altre statistiche, ma vorremmo indicare il PIL dei Paesi limitrofi, comparandoli con quello serbo, così da rendere chiaro a tutti dove si posiziona la Serbia. La Croazia ha raggiunto un PIL di 60.9 bilioni di dollari, 40.9 bilioni la Slovenia, la Serbia 38.4 nel 2010. In ciò può essere visto tutto il furto, e possiamo dimostrare ai cittadini serbi quanto siano state genocide le politiche economiche dello scorso governo Tadić. Il ridicolo PIL pro capite serbo è causato dalla distruzione dell’industria e dell’agricoltura. La Serbia ha 7.3 milioni di abitanti, la Croazia ne ha 4.4, la Slovenia 2. Ovviamente, il risultato della distruzione dell’economia è la disoccupazione di massa dei cittadini serbi, che ha raggiunto la quota di un milione di disoccupati, oltre che il più basso salario medio d’Europa, di circa 300 euro.

Tomislav Nikolić, nelle sue prime esternazioni, ha chiarito che “non abbandonerà il cammino intrapreso da Boris Tadić verso l’Unione Europea, ma questo cammino non avverrà ad ogni costo”. Qual è sul punto la posizione del Partito Comunista di Serbia e quale ruolo intende ritagliare al suo partito nell’attuale sistema di forze che governa il paese?
Il PCS crede che l’Unione Europea è un’unione del capitale, non un unione del popolo, e questo è totalmente inaccettabile per noi. In questa Europa comanda la dominazione del capitale tedesco e l’indiscussa politica della Germania. L’Unione Europea è diventata la tomba delle nazioni europee, e si sta esaurendo mettendo in totale dipendenza economica la maggioranza dei suoi Stati membri, e in modo ancora peggiore quelli dell’Europa dell’Est. La Serbia è stata anch’essa in questa condizione, perdendo ogni anno circa 110.000 suoi cittadini, con il tasso del 47% di denatalità, il 50% che si spostavano in altri Stati e il 3% per i suicidi, rapimenti o morte per fame. Sono questi i valori europei imposti sulla Serbia? Il PCS è innanzitutto per l’indipendenza (politica e economica) ma, in caso debba scegliere un lato, sceglierà sempre un’alleanza con quei Paesi che non hanno mai compiuto aggressioni contro la Serbia o che in nessun modo abbiamo mai ucciso cittadini serbi.

Nonostante il “moderatismo” che ha caratterizzato l’operato politico di Boris Tadić la relazione tra Serbia e Kosovo – soprattutto dopo l’indipendenza proclamata unilateralmente dal governo di Prizren il 17 febbraio 2008 – non è stata aliena da tensioni e contrapposizioni frontali. Tomislav Nikolić acutizzerà il contrasto o concentrerà la sua azione politica più sul piano interno? Quale è sul punto la posizione del Partito Comunista di Serbia?
Tomislav Nikolić, in quanto vassallo dell’imperialismo occidentale, non è autorizzato a prendere qualsiasi decisione sul problema del Kosovo e della Metohija, né lo farà, eccetto forse una futile e mite azione politica per calmare le tensioni del popolo serbo. Noi crediamo anche che, in linea con l’agenda dell’apparato neoliberale, riconoscerà infine l’indipendenza del Kosovo e della Metohija.
La posizione del PCS sul Kosovo e la Metohija è: il Kosovo e la Metohija hanno occupato parte del territorio serbo e, di conseguenza, la Serbia ha il diritto legittimo di liberare il territorio e ri-annetterlo alla madrepatria. Quando questo sarà fatto dipende da vari fattori, ma è indiscutibile che verrà fatto. Ogni accordo, contratto o documento che sia stato firmato dal corrente o precedente governo, e che colpisce negativamente la popolazione serba, non è considerato valido dal PCS.

Sul piano interno, tenuto conto della complessa congiuntura economica che attraversa l’Europa, la Serbia vive una situazione non ottimale. Il tasso di disoccupazione è al 25%, l’inflazione è all’11% ed esiste una forte corruzione politica. Quali sono le proposte di politica economica del Partito Comunista di Serbia?
Solo per correggerla, in Serbia il livello di disoccupazione supera il 30% della popolazione, ed è un record europeo. Né il precedente né l’attuale governo sono interessati al problema, dato che secondo i postulati del liberal-capitalismo la disoccupazione non è un problema. La disoccupazione causa il più grande potenziale problema in una società, perché la stessa società affonda nella disperazione, nella criminalità e la rottura delle giunture sociali. Ogni riparazione del modello capitalista in Serbia non darà alcun risultato positivo, ma la Serbia scomparirà come Stato e il popolo serbo verrà distrutto o, al meglio, potrà divenire una versione moderna dei Curdi, un popolo senza Stato.solo un cambio radicale nell’ordinamento socio-politico e l’instaurazione del socialismo possono permettere prima di tutto la rivitalizzazione dei Serbi e la sopravvivenza dello Stato serbo, e poi il rapido sviluppo economico del Paese che garantirà a tutti i cittadini una vita umana. Solo un genuino Partito Comunista può guadagnare la fiducia dei cittadini, permettendo la sopravvivenza della Serbia, e questo è il PCS. Cambiare l’ordine socio-economico può liberare la Serbia dai crimini e dalla corruzione che hanno ferito il capitalismo, e sono direttamente connessi alla testa dei partiti politici che hanno governato la Serbia. Nessun cambio cosmetico nel sistema porterà nulla di buono ai cittadini della Serbia. La Serbia è una colonia dell’Occidente, e noi sappiamo bene che nelle colonie non si può vivere bene. Il socialismo quindi diviene una necessità esistenziale per la sopravvivenza dello Stato e dei suoi cittadini.

La Serbia è un’enclave del cristianesimo ortodosso e il dialogo privilegiato con Mosca è una costante della politica serba. L’Europa, nel momento attuale, oltre a vivere una crisi finanziaria di vastissima portata non è ancora capace di dar vita ad un blocco geopolitico forte, prima che monetario. La Federazione Russa, tenuto conto delle forti affinità culturali con Belgrado, può essere una valida alternativa per stimolare gli investimenti economici?
La Serbia deve dismettere l’idea veramente stupida di Boris Tadić secondo la quale l’UE non ha alternative. Solo la Serbia non ha alternative. La Serbia deve rivolgersi alle unioni ed ai Paesi che non l’hanno ricattata, che non sono in guerra contro di essa e contro il suo popolo, e che non riconosco l’indipendenza del falso Stato del Kosovo. La Serbia deve trovare nuovi mercati e fonti energetiche, e questi non sono sicuramente nei paesi dell’Unione Europea. Piuttosto questi sono in Russia, che dispone di un larghissimo mercato e di risorse energetiche. Nonostante la Serbia abbia eccezionalmente buoni accordi commerciali con la Russia, può essere usata solo una minima parte di questi accordi perché non vi è nulla da esportare in Russia. La produzione serba è distrutta, e ci vorrà del tempo per ripristinarla e trarre vantaggio dai benefici degli accordi economici con la Russia. Introducendo la Serbia nell’Unione Europea, essa perderebbe tutti i benefici che sono stati concordati con la Russia, e probabilmente perderebbe per sempre il Kosovo e la Metohija, dato che la condizione chiave per l’entrata della Serbia nell’UE sarebbe il riconoscimento del Kosovo come stato indipendente. Costi alti per piccoli benefici.

Millennium e il Partito Comunista di Serbia si pongono come movimenti capaci di dar vita ad un fronte articolato contro le derive connesse all’unilateralismo politico. Il discorso culturale occupa, nei due movimenti, un posto centrale e si pone come un corollario della piattaforma politica dell’Eurasia. Il Partito Comunista di Serbia intende continuare a stringere alleanze programmatiche con movimenti affini per giocare un ruolo da protagonista nelle dinamiche geopolitiche?
Il PCS intende stabilire una più stretta collaborazione con tutti gli Stati, i partiti e i movimenti del mondo che abbiano gli stessi interessi, così da poter risolvere i problemi con l’aiuto reciproco, non interferendo negli affari interni dello Stato, del partito politico o del movimento in questione. Intendiamo stabilire l’unità d’azione con loro per creare un fronte comune contro il capitalismo e scambiando le esperienze di questa lotta, poiché tutti noi abbiamo un comune nemico. Una eccezionale vicinanza di mentalità tra i popoli italiano e serbo fa sì che sia possibile capirvi davvero bene. La globalizzazione in Europa impone problemi davvero simili, che richiedono veramente simili soluzioni, e un’azione unitaria contro il capitale globale, poiché tutti noi viviamo sotto la stessa dittatura del grande capitale. Il combattimento richiede un’azione unitaria coordinata di tutte le forze progressiste dell’umanità. Il PCS è pronto per l’azione unitaria e per l’unità d’azione a livello globale con tutte le forze con simile orientamento ideologico.

Segreteria del Partito Comunista di Serbia

Fonte; Millennium

venerdì 21 febbraio 2014

Ucraina: l’infermiera è viva. Ed è nazista

di



Crisi ucraina. Diventata il simbolo delle proteste, è una militante del gruppo neonazista Settore Destro


 

Ieri i media di tutto il mondo — spe­cie gli ita­liani — hanno ser­vito un «sim­bolo» degli scon­tri di Kiev: l’infermiera Ole­sya Zhu­ko­v­ska che, ferita nella bat­ta­glia, twit­tando «Muoio» è diven­tata «mar­tire di Mai­dan». In realtà è ancora viva e il suo viso ange­lico ha finito per rap­pre­sen­tare l’Ucraina che «vuole l’Europa, con­tro il regime filo russo». Ieri però su Vkon­takte, il face­book russo, lei ha rac­con­tato la sua sto­ria e la sua mili­tanza. Pro­viene dalle regioni occi­den­tali, le più anti russe, ser­ba­toio delle forze in piazza a Kiev. E non solo. Per­ché Ole­sya ha sot­to­li­neato di fare parte di Pra­viy Sek­tor (Set­tore Destro), gruppo non solo di destra, ma pro­pria­mente neo­na­zi­sta e tra i più anti­se­miti e vio­lenti nella piazza di Kiev. Sì, è il sim­bolo della «rivolta» ucraina.

giovedì 20 febbraio 2014

‘Manifestanti per la UE” dicono in Europa, ma si tratta di miliziani addestrati dalla Nato

‘Manifestanti per la UE” dicono in Europa, ma si tratta di miliziani addestrati dalla Nato

Secondo gli ultimi dati durante gli scontri tra manifestanti che protestano contro il governo, e polizia sono morti almeno 20 persone. I media locali comunicano che tra le vittime del conflitto c’è un giornalista che lavorava presso l’edizione Vesti .Il reporter è stato trascinato dal taxi, picchiato e sparato a bruciapelo. Si dà la responsabilità a Titushky, gruppo informale di estremisti paramilitari.
Inoltre a Kiev sono stati uccisi due poliziotti e 21 agenti di polizia feriti sono stati ricoverati in ospedale, ha comunicato il rappresentante del Ministero degli Interni.
In piazza Maidan, in centro a Kiev, capitale dell’Ucraina, la protesta non si placa, anzi la situazione ha raggiunto un nuovo livello. I manifestanti durante i mesi di rivolta si sono trasformati in veri e propri miliziani. La situazione potrebbe mutare da un’ora all’altra.
Vi proponiamo ora la testimonianza di Eliseo Bertolasi, ricercatore associato dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e redattore della rivista “Geopolitica”, che direttamente da Kiev ci presenta il quadro della situazione.
-Dottor Bertolasi, lei è già stato in piazza Maidan nel mese di dicembre. La protesta continua. Dall’ultima volta ha osservato dei cambiamenti in Piazza e tra i manifestanti?
- Sì, dall’ultima volta ho notato dei cambiamenti significativi. Innanzitutto un avanzamento del perimetro delle barricate, che intorno alla piazza rappresentano ormai una specie di linea difensiva arretrata. Ne sono, infatti, sorte delle altre in posizione più avanzata, come ad esempio quelle su via Grushevskogo, teatro dei duri scontri con la polizia qualche settimana fa.
Osservo che, anche i manifestanti sono più organizzati, quando parlo di manifestanti non intendo le migliaia di persone che di domenica arrivano in piazza per sostenere la protesta, ma intendo coloro che in piazza, ormai, ci vivono stabilmente da dicembre.

È un dato inconfutabile che da semplici manifestanti si sono ormai trasformati in una specie di chiamiamoli “miliziani”: vestono mimetiche tedesche o Nato, spesso indossano bufetteria militare, portano caschi elmetti, sono armati di mazze, manganelli, in mano tengano dei veri e prori scudi metallici. Si muovono ordinati, presidiano i varchi alle barricate e agli ingressi di alcune baracche all’interno della piazza, dove, ad esempio, non è consentita l’entrata a tutti.
Ecco! Suppore che tutta questa organizzazione sia frutto di una semplice autogesione mi sembra vermante impossibile. Ci sono camion e frugoni che costantemente escono ed entrano nel perimetro protetto dalle barricate. Nella piazza sono state accumulate tonnellate di legname che viene bruciato sui fuochi ma anche utilizzato per rinforzare le baracche e le barricate.
Sorge, quindi, legittima questa domanda: ma chi sta pagando e organizzando tutto questo supporto logistico? È impossibile non scorgere, quanto meno, una regia e una organizzazione alle spalle. Ho molte perplessità sulla buona fede di chi continua a parlare di spontanea e pacifica protesta.
-Con chi ha parlato in Piazza Maidan? Qual è l’umore dei manifestanti?
- In piazza Maidan come al solito mi soffermo e faccio interviste. Cercando di tracciare un denominatore comune dalle interviste posso affermare il seguente: in primo luogo appare il supporto alla possibilità di un’integrazione all’Unione Europea, fatto dimostrato dalle sempre numerosissime bandiere dell’Europa presenti in piazza.
In secondo luogo il desiderio di veder cadere il presidente Yanukovich, che, ricordo, ha regolarmene vinto le elezioni. Lui però viene costantemente descritto come un nuovo dittatore. Ho visto foto con Yanukovich dietro le sbarre rappresentato con i baffi alla Hitler. Strana questa foto in una piazza dove si agitano movimenti ultra radicali di estrema destra!
Ho visto anche preti della chiesa autocefala ucraina benedire la rivolta. Questa è un’altra grande incongruenza, perché, come ben sappiamo, la protesta aspira all’Unione Europea, mentre al contario l’Unione Europea ha rifiutato di inscrivere nel suo atto costitutivo le sue radici cristiane!
-Lei è stato anche nelle zone orientali del Paese, cosa ne pensa di questa situazione la popolazione di queste regioni?
- Sono stato nella regione di Donetsk. Là, la vita scorre assolutamente normale, tutti sono impegnati dal loro lavoro, dalla loro routine quotidiana, anche se, la gente non nasconde un certo timore che si possa arrivare, prima o poi, ad una divisione del Paese.
Ho anche intervistato il governatore della provincia di Donetsk Andrej Shishazki. Persona veramente molto cordiale che mi ha espresso una posizione molto equilibrata e assolutamente corrispondente alle scelte del governo. Lui, infatti, auspica una pacifica risoluzione della crisi attraverso una negoziazione con i manifestanti, escludendo però le frange più estreme.
 

venerdì 7 febbraio 2014

Alcune cose non dette sull'Ucraina

di Federico Capnist 

7 febbraio, 2014 :

Fonte: Eurasia
 
ALCUNE COSE NON DETTE SULL’UCRAINA
Tanto infuriano in questi giorni i violenti scontri in Ucraina, quanto abbondano le semplificazioni, le distorsioni e le lacune storico-politiche riguardo all’intera vicenda; sulla quale è utile, per dovere di cronaca, chiarire brevemente alcuni fra i suoi aspetti più importanti.
Il “dittatore” e “despota” Yanukovich è Presidente dell’Ucraina perché democraticamente eletto, così come il suo Partito delle Regioni presiedeva il governo, fino a pochi giorni fa, per lo stesso motivo. Viene spontaneo chiedersi perché un governo legittimato dal voto popolare non abbia diritto a sedare violente manifestazioni di piazza come accade in tutti i paesi del mondo – democrazie occidentali in primis – senza provocare simili indignazioni. Sono ancora sotto gli occhi di tutti le violente repressioni avvenute in Francia e Inghilterra dopo le rivolte delle periferie a seguito di omicidi perpetrati dalle forze dell’ordine, così come quella del movimento pacifico Occupy Wall-Street in America o ancor peggio, quella contro il corteo a sostegno della famiglia tradizionale, sempre in Francia. Solo per citarne alcune ed evidenziare, in quei casi, la mancanza del medesimo sdegno da parte della comunità internazionale. Se a questo si aggiunge l’incomparabilità delle violenze appena citate (spontanee, disorganizzate e senza alcun utilizzo di armi da fuoco) con quanto stia accadendo ora a Kiev, è facile intravedere una lettura iniqua dei fatti e, come spesso accade, due pesi e due misure. Nella capitale ucraina agiscono corpi inquadrati, armati e preparati agli scontri di piazza, in grado di attuare sistemi di collaudata guerriglia urbana grazie anche alla presenza, fra le loro fila, di ex appartenenti alle forze armate. Come reagirebbe la polizia americana di fronte a cittadini che occupano palazzi governativi e riducono in fin di vita decine di agenti?
Altra considerazione: il fronte della protesta che tanta compassione ha ispirato in Europa e negli Stati Uniti, è composto solo in minima parte da quella porzione di società d’ispirazione liberal che si vuol spesso considerare trainante e decisiva nella spinte verso politiche riformiste di stampo occidentale (in Ucraina e non solo, “primavera araba” docet). Al contrario, fulcro dei moti di piazza sono movimenti violenti e marcatamente nazionalisti, quando non addirittura filo-nazisti. Un elemento che sembra passare in secondo piano ma che genera un legittimo dubbio: se i movimenti definiti di “estrema destra” sono sistematicamente vittima di violentissimi attacchi ed infamanti accuse da parte dei media di tutta Europa, è solo quando si pongono in funzione anti-russa – e vengono, nell’occasione, spacciati per paladini dell’europeismo – che le loro gesta vengono stigmatizzate o il loro (abitualmente enfatizzato) antisemitismo viene sminuito, se non taciuto?
Poi. Non sarà sfuggita ai lettori più attenti – e che attingono le loro informazioni anche oltre i media mainstream – una valutazione già fatta altrove ma che merita di essere annoverata: cosa sarebbe accaduto e quale clamore mediatico si sarebbe scatenato, se figure di primissimo piano della politica russa (o anche cinese) si fossero apertamente schierate dalla parte dei rivoltosi in una sommossa in chiave antiamericana scoppiata, putacaso, in Messico? E se continui attestati di stima, solidarietà ed istigazione ai rivoltosi continuassero a giungere in questa direzione? Pochi giorni fa, il ministro degli Esteri russo Lavrov si è trovato a dover definire “strana” questa concezione della libertà acclamata da diversi paesi occidentali. Concezione che prevede l’incitamento alla violenza dei rivoltosi e la condanna dell’operato delle forze di polizia, quando all’interno dei loro confini si pronuncerebbero in senso esattamente opposto. Gli si può dar torto? Il divieto d’ingerenza negli affari interni di uno Stato è uno dei pochi principi di jus cogens previsti dalla Carta delle Nazioni Unite, nel caso ucraino più volte calpestato. Accadde durante la “rivoluzione arancione” quando ONG straniere (polacche e americane soprattutto) fomentarono le manifestazioni antirusse e accade nuovamente oggi. Solo Sergio Romano – nel panorama intellettuale e giornalistico di casa nostra – pare essere in grado di ricordarlo?
E ancora. Checché se ne dica sul passato dell’Ucraina, è assai difficile scindere la sua storia da quella della Russia. Il suo territorio odierno rappresenta (esclusa la parte più occidentale, con una storia parzialmente diversa) la culla della nazione russa in quanto patria della Rus’ kieviana; ha sofferto e condiviso la dominazione mongola tanto quanto i principati vicini e, in seguito alla reconquista russa, è sempre stato parte integrante dell’impero zarista, prima, e di quello sovietico, poi. Lo stato ucraino così come lo vediamo oggi, è qualcosa di molto recente così come il suo sciovinismo esasperato e che lascia spesso il tempo che trova. Le ragioni storico-culturali sbandierate negli ultimi due mesi sulla necessità per Kiev di associarsi all’Unione Europea piuttosto che legarsi a Mosca non trovano, come spesso accade, un riscontro oggettivo: mettendo su di una bilancia storia, costumi, religione, economia e lingua, il piatto pende senza indugi dalla parte della Russia.
Infine, numeri alla mano, vi sono come sempre ragioni prettamente economiche in ballo di cui evidentemente piazza Maidan non è a conoscenza (o finge di non esserlo) e che i capi di Stato europei sembrano, invece, conoscere anche troppo bene; visto l’approccio idealistico ma poco pragmatico verso il cuore della vicenda. L’economia ucraina è in grave crisi, il governo arriverà – secondo le previsioni più rosee – a pagare gli stipendi e le pensioni solo fino a giugno. Chi interverrà a salvare il Paese se non la Russia con la sua offerta (ricordiamola, 15 miliardi di dollari in bond ucraini e sconto di un terzo sul prezzo del gas) rimasta l’unica seria, sul tavolo, oramai da due mesi? L’UE a quella cifra non può e non vuole arrivarci. Il FMI neppure e per molto meno ha posto condizioni inaccettabili. E gli Stati Uniti, come giustificherebbero un simile esborso alla propria opinione pubblica, trovandosi all’alba di un proclamato periodo di disimpegno internazionale? A questo si aggiunge poi il dubbio, più che legittimo, sul fatto che gli ucraini siano veramente a conoscenza di ciò che spetta loro entrando a far parte dell’UE. In un paese dove lo stipendio medio ammonta a 300 dollari, con produzioni di scarsa qualità e che dipende dalle importazioni della Russia, che effetti avrebbero l’apertura del mercato secondo regole europee e l’instaurazione delle rigide politiche di austerità in atto già ora fra i Paesi membri?
Alla luce di queste incongruenze e forti, purtroppo, di altri simili casi avvenuti nel recente passato, è davvero un delirio da Guerra Fredda intravedere in questo sostegno alle rivolte ucraine nient’altro che la prosecuzione – in spregio alle promesse fatte allora da Bush Sr. a Gorbaciov – del piano di accerchiamento ordito contro la Russia all’indomani della caduta dell’URSS e tessuto con calma, ma inesorabilmente, negli anni? Se la partita in Asia Centrale ha regole, giocatori e scenari favorevoli a Mosca, in Europa orientale tutto è ancora in bilico. L’Ucraina costituisce un tassello fondamentale per il ristabilimento dell’influenza russa nella sua storica (e legittima) sfera di competenza. Questo lo sanno al Cremlino, così come alla Casa Bianca.