lunedì 6 ottobre 2014

Hong Kong, sotto l’ombrello

di Manlio Dinucci

Fonte: Il Manifesto


Di fronte alla «Umbrella Revo­lu­tion» (defi­ni­zione made in Usa), il governo bri­tan­nico si dice «pre­oc­cu­pato» che a Hong Kong siano garan­titi «i fon­da­men­tali diritti e le fon­da­men­tali libertà».
Lon­dra su que­sto può dare lezione.
Nell’Ottocento gli inglesi, per pene­trare in Cina, ricor­rono allo smer­cio di oppio che por­tano dall’India, pro­vo­cando enormi danni eco­no­mici e sociali. Quando le auto­rità cinesi con­fi­scano e bru­ciano a Can­ton l’oppio imma­gaz­zi­nato, inter­ven­gono le truppe inglesi costrin­gendo il governo a fir­mare nel 1842 il Trat­tato di Nan­chino, che impone tra l’altro la ces­sione di Hong Kong alla Gran Bre­ta­gna. Da allora fino al 1997 Hong Kong è colo­nia bri­tan­nica, sotto un gover­na­tore inviato da Lon­dra. I cinesi sono sfrut­tati dai mono­poli bri­tan­nici e segre­gati, esclusi anche dai quar­tieri abi­tati da bri­tan­nici. Scio­peri e ribel­lioni ven­gono dura­mente repressi.
Dopo la nascita della Repub­blica popo­lare nel 1949, Pechino, pur riven­di­cando la sovra­nità su Hong Kong, la usa come porta com­mer­ciale, favo­ren­done lo svi­luppo. L’Hong Kong rian­nessa alla Cina quale regione ammi­ni­stra­tiva spe­ciale, con 7,3 milioni di abi­tanti su quasi 1,4 miliardi della Cina, ha oggi un red­dito pro­ca­pite di 38420 dol­lari annui, più alto di quello ita­liano, quasi il sestu­plo di quello della Cina. Ciò per­ché Hong Kong, quale porta com­mer­ciale cinese, è il 10° espor­ta­tore mon­diale di merci e l’11° di ser­vizi com­mer­ciali. Inol­tre, essa viene visi­tata ogni anno da oltre 50 milioni di turi­sti, dei quali 35 milioni cinesi. La cre­scita eco­no­mica, pur ine­gual­mente distri­buita (vedi il sot­to­pro­le­ta­riato locale e stra­niero che campa con «l’arte di arran­giarsi»), ha por­tato a un gene­rale miglio­ra­mento delle con­di­zioni di vita, con­fer­mato dal fatto che la durata media della vita è salita a 84 anni (rispetto a 75 nell’intera Cina).
Il movi­mento stu­den­te­sco nato a Hong Kong per chie­dere che l’elezione del capo di governo sia diretta e non con­di­zio­nata da Pechino, è for­mato da gio­vani appar­te­nenti in genere agli strati sociali avvan­tag­giati dalla cre­scita eco­no­mica. Su que­sto sfondo si pone la domanda: per­ché, men­tre si igno­rano cen­ti­naia di milioni di per­sone che in tutto il mondo lot­tano ogni giorno per i più ele­men­tari diritti umani in con­di­zioni ben peg­giori, si tra­sfor­mano alcune migliaia di stu­denti di Hong Kong, al di là delle loro stesse riven­di­ca­zioni, in icona glo­bale di lotta per la democrazia?
La rispo­sta va cer­cata a Washing­ton. Gli ispi­ra­tori e i capi di quello che viene defi­nito «un movi­mento senza lea­der» – dimo­stra un’ampia docu­men­ta­zione – sono col­le­gati al Dipar­ti­mento di stato e a sue ema­na­zioni sotto forma di «orga­niz­za­zioni non-governative», in par­ti­co­lare la «Dona­zione nazio­nale per la demo­cra­zia» (Ned) e l’«Istituto demo­cra­tico nazio­nale» (Ndi) che, dotate di ingenti fondi, sosten­gono «gruppi demo­cra­tici non-governativi» in un cen­ti­naio di paesi.
Due esempi fra i tanti. Benny Tai, il docente di Hong Kong che ha lan­ciato il movi­mento «Occupy Cen­tral» (vedi il «South China Mor­ning Post» del 27 set­tem­bre), è dive­nuto influente gra­zie a una serie di forum finan­ziati da que­ste «ong». Mar­tin Lee, fon­da­tore del «Par­tito demo­cra­tico» di Hong Kong, è stato invi­tato a Washing­ton dalla Ned e, dopo un brie­fing tele­tra­smesso (2 aprile), è stato rice­vuto alla Casa Bianca il 7 aprile dal vice-presidente Biden.
Da que­sti e altri fatti emerge una stra­te­gia, ana­loga a quella delle «rivo­lu­zioni colo­rate» nell’Est euro­peo, che, stru­men­ta­liz­zando il movi­mento stu­den­te­sco, mira a ren­dere Hong Kong ingo­ver­na­bile e a creare movi­menti ana­lo­ghi in altre zone della Cina abi­tate da mino­ranze nazionali.

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