A Belgrado ho respirato aria di libertà e volontà
di indipendenza. I Serbi sanno meglio di chiunque altro cosa siano
realmente gli Stati Uniti d’America: l’hanno sperimentato sulla loro
pelle nel 1999, e non può esservi ideologia o retorica in grado di
ingannarli.
di Diego Fusaro
- 21 ottobre 2014
Fonte: L'intellettuale dissidente
Sono stato alla parata organizzata a
Belgrado in onore dell’arrivo di Putin in Serbia. È stato un evento
grandioso, che mi ha immensamente colpito. L’aspetto che, tra tutti,
maggiormente mi ha stupito è stata la sentita partecipazione del popolo:
migliaia di studenti, lavoratori, uomini e donne, di ogni strato
sociale, hanno sfilato con entusiasmo, assistendo alla parata.
A Belgrado ho respirato aria di libertà e
di futuro: è stata una sensazione bellissima soprattutto per chi, come
me, è abituato in Italia a respirare l’aria stantia e asfissiante del
pensiero unico globale; quel pensiero unico globale che santifica a
priori l’impero USA e i suoi cani da guardia e demonizza senza sosta la
Russia di Putin e ogni Stato che non si pieghi al dominio americano. A
Belgrado si respirava aria di libertà, volontà di lottare per un futuro
diverso e per un mondo migliore, in cui non vi siano solo gli USA del
presidente Obama – imperialista insignito del premio Nobel per la pace!
–, ma in cui ogni popolo, ogni cultura, ogni lingua abbia il diritto di
esistere.
È stata, dicevo, una boccata d’aria
fresca e di speranza. La vecchia Europa e, in particolare, l’Italia è
obnubilata dal pensiero unico: non siamo uno Stato libero, sovrano e
democratico. Il nostro territorio nazionale è ad oggi occupato da 114
basi militari USA, il cui obiettivo pretestuoso è di “difenderci”.
Difenderci da chi? Da chi dovremmo oggi difenderci a settant’anni dalla
fine del nazifascismo e a vent’anni dalla fine del comunismo sovietico?
Da noi stessi, ovviamente: ossia dall’eventualità che l’Italia torni a
essere uno Stato nazionale democratico e indipendente.
Proprio in questo risiede uno dei
principali drammi del nostro presente: a determinare il carattere
“postdemocratico” dell’odierno panorama globale è il dominio unipolare
del mondo ad opera di uno Stato a forte vocazione imperiale – gli Stati
Uniti – che, con la sua fitta rete di basi militari disseminate per il
mondo, è in grado di sottoporre l’intero pianeta a un ricatto atomico
permanente, che svuota ogni sovranità nazionale. Noto di passaggio che
già per un ateniese del tempo di Pericle e di Socrate, sarebbe stato
assurdo pensare che potesse esserci “democrazia” in presenza di una base
militare spartana stabilmente insediata sull’Acropoli! Eppure questa è
la situazione dell’Italia e, sia pure in misura diversa, degli altri
Stati della vecchia Europa.
Nulla di tutto questo in Serbia. A
Belgrado ho respirato aria di libertà e volontà di indipendenza. I Serbi
sanno meglio di chiunque altro cosa siano realmente gli Stati Uniti
d’America: l’hanno sperimentato sulla loro pelle nel 1999, e non può
esservi ideologia o retorica in grado di ingannarli. Hanno subito il
vigliacco bombardamento del 1999 ad opera della NATO, tramite l’usuale
ipocrisia del bombardamento etico, dell’interventismo umanitario e
dell’embargo terapeutico. A ciò si aggiunge l’usuale riduzione a nuovo
Hitler del governante di turno (Miloševic): se si inventa il nuovo
Hitler, diventa possibile la nuova Hiroshima, il “bombardamento
necessario”. La creazione di Camp Bondsteel – la più grande base
militare americana sul territorio europeo – fu il vero scopo del
conflitto nei Balcani: l’obiettivo consisteva nel controllo capillare e
incondizionato dell’Europa, alla quale, peraltro, venne imposta la
partecipazione subalterna alle operazioni militari. Già Carl Schmitt,
ne Il concetto del politico, aveva con lungimiranza compreso la logica
illogica dell’odierno imperialismo USA:
“Un imperialismo fondato su basi economiche cercherà naturalmente di creare una situazione mondiale nella quale esso possa impiegare apertamente, nella misura che gli è necessaria, i suoi strumenti economici di potere, come restrizione dei crediti, blocco delle materie prime, svalutazione della valuta straniera e così via. Esso considererà come violenza extraeconomica il tentativo di un popolo o di un altro gruppo umano di sottrarsi agli effetti di questi metodi ‘pacifici’”.
I Serbi hanno capito ciò che i popoli
d’Europa, colonie USA, non riescono a capire: che gli USA non sono
liberatori, benefattori, amanti dell’umanità, ma sono esattamente il
contrario. Hanno capito che la fabbrica dei consensi del circo mediatico
induce ad amare gli oppressori e a odiare gli oppressi. Hanno capito
che oggi la Russia di Putin è una speranza: ed è una speranza perché
permette di creare un nuovo blocco alternativo rispetto a quello
dominante USA. La Russia ha oggi il compito di resistere agli USA e,
insieme, di coordinare gli Stati resistenti, Serbia inclusa. Con la
potenza russa, è come se al ritratto stilizzato del presidente americano
Obama accompagnato dall’asserto yes, we can si affiancasse un’analoga
immagine di Putin, a sua volta associata alla scritta no, you can’t. Per
questo, vi è bisogno di una Russia geopoliticamente e militarmente
solida e indipendente, che sappia frenare – nel tempo della morte del
comunismo storico novecentesco – il delirio dell’estensione illimitata
del fanatismo dell’economia a guida statunitense.
A
provare inequivocabilmente che la Russia di Putin deve essere
geopoliticamente appoggiata è non solo l’odio diplomatico e mediatico
del circo giornalistico e intellettuale occidentale – cassa di risonanza
del potere neocapitalistico e finanziario –, ma anche il moltiplicarsi
delle basi americane in Romania e in Ungheria, nonché la speranza
occidentalistica di incorporare nella Nato l’Ucraina, destabilizzandola
nel 2014 tramite una “rivoluzione colorata” gestita dalla potenza
americana e, in subordine, dall’Unione Europea. La monarchia universale
non può tollerare la presenza di potenze antagoniste dell’ordine
mondiale, globalizzato dalla grande finanza e dal mercato
sovranazionale: e la Russia di Putin è indubbiamente, non meno della
Cina, una potenza economica e militare non subalterna all’ordine
americano.
La Russia di Putin si pone oggi come l’equivalente
funzionale delle prestazioni di senso del comunismo ormai defunto. Come
la pur ambigua e contraddittoria presenza di quest’ultimo nel corso
della Guerra Fredda, analogamente quella dei cosiddetti “Stati canaglia”
(versione globale delle efferate proscrizioni di Silla condotte
dall’imperialismo umanitario), di cui non si intendono certo
sottovalutare i limiti spesso profondissimi, continua a segnalare il
carattere non unico, né destinale del Nomos dell’economia: e
rende, per ciò stesso, possibile pensare un’alterità – rispetto sia al
capitale, sia agli “Stati canaglia” stessi – in nome della quale
orientare l’azione e la programmazione di futuri alternativi.
La parata a Belgrado è stata una
magnifica dimostrazione di tutto questo: i Serbi ci sono, e hanno capito
il ruolo fondamentale della Russia di Putin. La popolazione soprattutto
l’ha capito, con buona pace di eventuali intellettuali e politici di
regime che, immagino, esistano anche in Serbia e che, al soldo degli
USA, proveranno in ogni modo a diffamare la Russia e a elogiare gli USA
con la solita retorica propagandistica (diritti umani, ecc.). Per questo
non posso che concludere con un auspicio: Serbi, non deludeteci!
Nessun commento:
Posta un commento