lunedì 25 agosto 2014

La complessità della Quarta guerra mondiale

di Eugenio Orso
Fonte: Pauperclass



1. Il significato dei conflitti novecenteschi riassunto in poche righe.
Il primo conflitto mondiale fu un grande bagno di sangue elitistico alimentato dalla nazionalizzazione delle masse in Europa (ideologia nazionalista per il ceto medio di massa), dalle dinamiche dell’imperialismo europeo con accenti coloniali (quello avversato da Lenin), dalla competizione distruttiva fra le potenze europee – i gruppi dominanti capital-imperialisti – che gli usa avrebbero messo in ombra nel corso del novecento, acquisendo la preminenza. Questa guerra fu piuttosto “statica”, tipicamente di trincea, con grandi, sanguinose battaglie, ma limitati progressi in termini di conquiste territoriali (la Somme, oltre un milione di morti fra prussiani, francesi, inglesi e altri), coinvolgendo civili inermi, ma non ancora in modo così drammatico e totale come nei conflitti successivi. L’Europa, sconvolta dalla grande guerra, uscì definitivamente dal “clima” culturale del diciannovesimo secolo. L’episodio storico dell’Ottobre Rosso di Lenin, con la morte dell’impero zarista e la nascita dell’Urss, ebbe una grande, decisiva influenza anche sulla dinamica e sull’esito dei due conflitti successivi, pur non riuscendo a fermare sugli altri fronti la prima guerra mondiale. Altro elemento da considerare, d’importanza decisiva, fu l’intervento americano in Europa con milioni di uomini (dal 6 aprile 1917), che volse le sorti della guerra a favore di Gran Bretagna e Francia. Dopo la loro vittoriosa “irruzione” sulla scena internazionale nella guerra con la Spagna del 1898, per Cuba, le Filippine, Portorico e Guam, con questo conflitto gli usa, benché ancora inferiori militarmente agli europei, fecero un notevole passo avanti per diventare la prima potenza mondiale, strappando progressivamente il testimone alla Gran Bretagna.
Il secondo conflitto mondiale iniziò all’ombra dell’imperialismo europeo, si nutrì di elementi ideologici per mobilitare le masse e farle combattere (nazionalismo, nazismo, fascismo, comunismo, persino liberalismo “vecchia maniera”), in un’Europa che aveva ancora il primato nel mondo, ma finì con l’assoggettamento del vecchio continente, che perse definitivamente la preminenza a tutto vantaggio degli usa. La seconda guerra mondiale può essere letta come una reazione europea al capitalismo di matrice anglosassone, e un tentativo di riportare l’economia sotto il controllo della politica, ma soprattutto consentì il superamento definitivo della grande crisi capitalistica del ’29, confermando il drammatico intreccio fra guerra ed economia capitalista (oltre cinquanta milioni di morti e l’Europa semidistrutta, fino agli Urali). Non fu una guerra “statica”, ma dinamica, di movimento (blitzkrieg germanica,  uso di truppe aviotrasportate, penetrazioni in territorio nemico per centinaia di chilometri), e coinvolse in pieno i civili, diventati un obiettivo da colpire senza risparmio con i campi di sterminio, i bombardamenti aerei a tappeto, l’uso dei primi ordigni nucleari sulle città. Particolare non secondario, dal conflitto emerse il prossimo competitore della neonata potenza americana, cioè l’Unione Sovietica, che con il suo sacrificio in termini di perdite di vite umane (circa venti milioni) aveva permesso di sconfiggere la germania nazista.
La terza guerra mondiale non fu un conflitto generalizzato, come fortunatamente sappiamo, ma un confronto di durata quasi cinquantennale (1945-1991) fra i due veri vincitori del secondo conflitto, cioè gli usa e l’Urss. Qualcuno l’ha definita addirittura “guerra civile mondiale”, dopo la lunga e sfibrante “guerra civile europea” iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre (o meglio con lo scoppio della grande guerra, nel 1914) e conclusasi nel 1945. Si trattò di una contrapposizione fra mondi – il primo mondo occidentale contrapposto al secondo mondo sovietico-collettivista – e di un confronto serrato fra sistemi economici alternativi, ma con qualche tratto comune. Il capitalismo liberista di matrice anglosassone, per emergere e affermarsi completamente, superando le ricette keynesiane, il costoso stato sociale e i compromessi Stato-Mercato, dovette vedersela con il collettivismo di matrice sovietica, che presentava, a sua volta, alcuni tratti capitalistici (persistenza della piccola proprietà privata, suddivisione classista della società, ma con minori differenze di ricchezza rispetto all’occidente, eccetera). La terza guerra mondiale fu “fredda” solo in apparenza, perché i blocchi contrapposti si affrontarono in molte aree del mondo e in tutti i continenti – per “interposta persona”, ma non di rado con l’intervento diretto dell’uno o dell’altro, come in Corea, Vietnam, Afghanistan – per cui nei conflitti locali (talora ipocritamente definiti “a bassa intensità”) vi furono milioni di morti e feriti, nonché immani distruzioni. La “guerra fredda” scoppiò subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, quasi senza soluzione di continuità,  non risparmiando l’Europa, se pensiamo alla guerra civile greca, combattuta dai comunisti contro i governativi filo-occidentali dal 1946 al 1949. Com’è arcinoto, il conflitto “freddo”, ma nella realtà storica di allora caldissimo, finì in seguito all’implosione del blocco sovietico nel triennio 1989-1991. Non per questo le guerre finirono, e anzi, un nuovo, insidioso conflitto, tale da mettere in pericolo gli stessi presupposti della civiltà umana, iniziò subito dopo il collasso sovietico.
2. Quarta guerra mondiale: due conflitti in uno.
La quarta guerra mondiale è in pieno corso, se gli eventi bellici in questi ultimi mesi si sono moltiplicati e aggravati, lambendo il Medio Oriente, L’Africa e anche l’Europa. I conflitti in Iraq, in Siria, in Libia, nella striscia di Gaza e in Ucraina orientale non sono “indipendenti” l’uno dall’altro, ma episodi di rilievo della quarta guerra mondiale. Ma le cose non sono così semplici e chiare come si crede. Fino ad ora abbiamo conosciuto almeno due conflitti paralleli, in cui l’ultima, grande guerra pare sdoppiarsi.
Il primo conflitto è scoppiato nel nord e nell’occidente del mondo, per distruggere i modelli di capitalismo novecenteschi d’importanti nazioni europee, come l’economia mista italiana, il capitalismo “renano” tedesco e l’economia mista francese con elementi di capitalismo “renano”, e imporre al vecchio continente il capitalismo ultraliberista anglosassone con respiro globale. O meglio, per imporre all’Europa un nuovo modo storico di produzione, all’apice del trionfo del capitale sul lavoro (e su gran parte dell’umanità), che possiamo chiamare in sintesi neocapitalismo finanziarizzato.
 L’attacco, in atto da un buon ventennio, è diretto contro lo stato sociale, la spesa pubblica (che dovrebbe avere funzione propulsiva nei periodi di crisi), l’intervento statale nell’economia, la protezione delle produzioni nazionali, i diritti dei lavoratori, i livelli di occupazione, i redditi popolari, e in ultimo ma non ultima, la sovranità politica e monetaria degli stati. Qui le armi economiche sostituiscono quelle tradizionali (raramente “si spara” sulla folla depauperata, non si bombardano i quartieri popolari, non si usano armi chimiche o proiettili all’uranio per contrastare gli scioperi) e un ruolo importante è assegnato alla disinformazione di sistema (tutti i media occidentali) che contribuisce, a braccetto con la precarizzazione e la flessibilizzazione dei lavoratori trasformati in semplice fattore-lavoro, alla costruzione di un uomo precario, scarsamente combattivo e ampiamente incosciente davanti alla realtà politica e sociale. L’attacco è diretto, quindi, contro i vecchi modelli capitalistici dal volto “socialmente quasi-umano”, la proprietà pubblica (dei mezzi di produzione, della moneta), la sovranità statale, la socialità nel suo complesso e tutte le classi dominate retaggio del novecento (ceti medi, proletariato industriale e rurale, eccetera). La guerra sociale è condotta con larga disponibilità di mezzi dalla glasse globale neodominante, che ha iniziato a formarsi negli usa durante gli ultimi due decenni della precedente “guerra fredda”, ed è diretta contro il resto della società, dai ceti medi figli del welfare novecentesco alle classi operaie, salariate e proletarie, nonché contro la persistenza di elementi culturali borghesi (caratteristici della vecchia classe dominante, l’alta borghesia proprietaria) e piccolo-borghesi. Se pensiamo alle condizioni in cui versano molti paesi europei, fra i quali anche l’Italia, l’attacco ha avuto successo  e la “guerra sociale neocapitalistica interna” è entrata nella sua fase finale, di annientamento culturale, sociale e politico del “nemico”, cioè di tutti noi. Inoltre, si è proceduto alla militarizzazione delle forze di polizia in previsione di estesi riots con l’ampliarsi delle disuguaglianze sociale e il moltiplicarsi dei comportamenti sistemici repressivi. Non è un caso se la polizia americana, come testimoniano i recenti disordini a sfondo razziale (e sociale) di Ferguson, Missouri, dispone di armamento militare, di squadra e pesante (veicoli corazzati). Questi conflitti, definibili “interni”, potranno rincrudire con il precipitare della situazione sociale, trasformandosi, in futuro, in autentici episodi bellici.
Il secondo conflitto è un puzzle sempre più inquietante di episodi bellici localizzati, invasioni, bombardamenti con aerei e droni, guerre civili più o meno artificialmente suscitate, destabilizzazioni violente, con afflussi in loco di armi, soldi e mercenari, di singoli stati da mettere fuori combattimento (Libia e Siria, ad esempio). Per ora, senza l’uso di armi nucleari, ma con violenze inaudite contro le popolazioni civili (primo, vero bersaglio degli attacchi armati), saccheggi, attenzione estrema dei mercenari, dei miliziani e dei paramilitari per gli obiettivi economici, energetici e per il sequestro violento di beni patrimoniali (come ben testimoniano le azioni stragiste del sanguinario stato islamosunnita e degli armati dello stato-canaglia filoatlantista ucraino). A costo di perdere il controllo dei mercenari che finanziano, armano, addestrano  e spediscono a combattere in vari paesi per il soldo, i globalisti occidentali (americani, europoidi, islamosauditi e giudeo-israeliani), stanno spingendo sull’acceleratore, in particolare nell’area siriano-irakena e nel Donbass ucraino, per raggiungere obiettivi strategici, frantumare le resistenze contrarie ai loro interessi (Assad con l’esercito regolare in Siria, patrioti russi e russofoni in ucraina) e per isolare e mettere in difficoltà la Federazione Russa e l’Iran. Sicuramente il rischio di perdita di controllo del “braccio armato”, dopo aver scatenato  il sanguinoso conflitto e supportato le entità criminali armate, è significativo in Iraq-Siria e riguarda il neonato stato islamocriminale, ma ciò non impedisce ai suddetti (dominanti globalisti occidentali, “sauditi” e giudeo-israeliti compresi) di permettere la continuazione di questi conflitti, e anzi, di estendere progressivamente le aree coinvolte nella guerra. Non vi è, ormai, alcuno scrupolo nel mutare con la violenza più cieca, principalmente rivolta contro i civili, i confini degli stati, sulla base delle convenienze globaliste. Notiamo come, davanti a questi episodi bellici sempre più gravi ed estesi, vi sia una certa, voluta, passività dei paesi succubi dell’occidente neocapitalistico. Se vi è intervento militare, contro qualcuna delle citate entità criminali – nella  fattispecie, conto lo stato-canaglia islamosunnita – questo è molto limitato, esclusivamente aereo, tale da non “depotenziare” del tutto l’organizzazione armata stragista, come nel caso dei bombardamenti usa nel nord dell’Iraq, ben localizzati quanto all’aerea interessata e non decisivi per decidere le sorti del conflitto.
2. Complessità e scopi della Quarta guerra mondiale.
La complessità della quarta guerra mondiale, non deriva soltanto dallo sviluppo parallelo dei conflitti, quello socioeconomico-culturale contro le classi subalterne in occidente e quello armato, suddiviso in molti episodi bellici e di distruzione, contro i paesi riottosi per “normalizzarli” eliminando effettivi e potenziali avversari. Soprattutto non si deve pensare, “ottimisticamente”, che la guerra in corso finirà con il raggiungimento di alcuni obiettivi strategici, come l’isolamento della Russia e/o collasso del regime di Putin, la fine di Assad in Siria, il ridimensionamento dell’Iran, il mantenimento del dollaro come valuta di riserva. Si tratta di un conflitto con caratteristiche asimmetriche, combattuto su più livelli: azioni terroristiche, flussi di mercenari e armi, penetrazione preventiva di organizzazioni non governative compiacenti, sostegno politico e finanziario a opposizioni interne per destabilizzare, “rivoluzioni colorate” come antefatto. Un conflitto unico, benché scomponibile in parti nelle analisi, di grande valenza strategica e di natura culturale, combattuto senza quartiere, e senza delle vere tregue, con tutte le armi a disposizione, nell’evidente squilibro di forze che esiste a vantaggio dei globalisti occidentali. Lo scopo ultimo è la sottomissione, alle dinamiche neocapitalistico-finanziarie e agli interessi privati della classe dominante deterritorializzata, di tutto il pianeta. Un conflitto che s’intreccia con quello verticale fra gruppi dominanti, disposti a usare i popoli l’uno contro l’altro, non essendo i loro destini, a differenza della vecchia borghesia proprietaria, indissolubilmente legati alle sorti e alla potenza di uno specifico stato nazionale o federazione di stati (neppure per quanto riguarda gli usa). Se un elemento strutturale neocapitalistico irrinunciabile, fra i pilastri dell’intera costruzione, è la crisi economica perpetua, a questo si accompagna l’attuale “guerra senza fine” interna ed esterna. Cioè, la quarta guerra mondiale contro le classi dominate in occidente e contro i popoli dell’ex terzo mondo, riottosi ad accettare l’ordine nuovo-capitalistico. Prima della battaglia decisiva per la supremazia mondiale, economico-finanziaria, monetaria, militare, con i globalisti orientali “emergenti” della Cina neocapitalista – che continua a fingersi socialista contro ogni evidenza – gli occidentali intendono “fare terra bruciata” di ogni paese, popolo o potenza resistente, dalle coste atlantiche africane fino ai confini con la Cina stessa. Indubbiamente la nato sta cercando ad ogni costo, e a costo di ogni sorta di provocazione (facendo abbattere arerei di linea, cercando di bloccare convogli umanitari e facendogli sparare addosso), la guerra con la Russia in Europa orientale, e non è escluso che si punti a un conflitto nucleare. Se vi saranno episodi di scontro nucleare localizzato, e anche se questi non porteranno alla distruzione completa del pianeta (ma con quali danni?), possiamo star certi che non porranno la parola “fine” al quarto conflitto mondiale in corso. Dopo aver piegato la resistenza russa, preluderanno alla battaglia finale con la Cina neocapitalista e ultramercatista, la cui classe dominante di globalisti “orientali” vorrebbe  esprimere, nel corso di questo secolo, la leadership mondiale, togliendo definitivamente lo scettro dalle mani dei “colleghi” occidentali

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