di Eugenio Orso
Fonte:
Pauperclass
1. Il significato dei conflitti novecenteschi riassunto in poche righe.
Il
primo conflitto mondiale fu un grande bagno di sangue elitistico
alimentato dalla nazionalizzazione delle masse in Europa (ideologia
nazionalista per il ceto medio di massa), dalle dinamiche
dell’imperialismo europeo con accenti coloniali (quello avversato da
Lenin), dalla competizione distruttiva fra le potenze europee – i gruppi
dominanti capital-imperialisti – che gli usa avrebbero messo in ombra
nel corso del novecento, acquisendo la preminenza. Questa guerra fu
piuttosto “statica”, tipicamente di trincea, con grandi, sanguinose
battaglie, ma limitati progressi in termini di conquiste territoriali
(la Somme, oltre un milione di morti fra prussiani, francesi, inglesi e
altri), coinvolgendo civili inermi, ma non ancora in modo così
drammatico e totale come nei conflitti successivi. L’Europa, sconvolta
dalla grande guerra, uscì definitivamente dal “clima” culturale del
diciannovesimo secolo. L’episodio storico dell’Ottobre Rosso di Lenin,
con la morte dell’impero zarista e la nascita dell’Urss, ebbe una
grande, decisiva influenza anche sulla dinamica e sull’esito dei due
conflitti successivi, pur non riuscendo a fermare sugli altri fronti la
prima guerra mondiale. Altro elemento da considerare, d’importanza
decisiva, fu l’intervento americano in Europa con milioni di uomini (dal
6 aprile 1917), che volse le sorti della guerra a favore di Gran
Bretagna e Francia. Dopo la loro vittoriosa “irruzione” sulla scena
internazionale nella guerra con la Spagna del 1898, per Cuba, le
Filippine, Portorico e Guam, con questo conflitto gli usa, benché ancora
inferiori militarmente agli europei, fecero un notevole passo avanti
per diventare la prima potenza mondiale, strappando progressivamente il
testimone alla Gran Bretagna.
Il secondo conflitto mondiale iniziò
all’ombra dell’imperialismo europeo, si nutrì di elementi ideologici
per mobilitare le masse e farle combattere (nazionalismo, nazismo,
fascismo, comunismo, persino liberalismo “vecchia maniera”), in
un’Europa che aveva ancora il primato nel mondo, ma finì con
l’assoggettamento del vecchio continente, che perse definitivamente la
preminenza a tutto vantaggio degli usa. La seconda guerra mondiale può
essere letta come una reazione europea al capitalismo di matrice
anglosassone, e un tentativo di riportare l’economia sotto il controllo
della politica, ma soprattutto consentì il superamento definitivo della
grande crisi capitalistica del ’29, confermando il drammatico intreccio
fra guerra ed economia capitalista (oltre cinquanta milioni di morti e
l’Europa semidistrutta, fino agli Urali). Non fu una guerra “statica”,
ma dinamica, di movimento (blitzkrieg germanica, uso di truppe
aviotrasportate, penetrazioni in territorio nemico per centinaia di
chilometri), e coinvolse in pieno i civili, diventati un obiettivo da
colpire senza risparmio con i campi di sterminio, i bombardamenti aerei a
tappeto, l’uso dei primi ordigni nucleari sulle città. Particolare non
secondario, dal conflitto emerse il prossimo competitore della neonata
potenza americana, cioè l’Unione Sovietica, che con il suo sacrificio in
termini di perdite di vite umane (circa venti milioni) aveva permesso
di sconfiggere la germania nazista.
La terza guerra mondiale non
fu un conflitto generalizzato, come fortunatamente sappiamo, ma un
confronto di durata quasi cinquantennale (1945-1991) fra i due veri
vincitori del secondo conflitto, cioè gli usa e l’Urss. Qualcuno l’ha
definita addirittura “guerra civile mondiale”, dopo la lunga e sfibrante
“guerra civile europea” iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre (o meglio
con lo scoppio della grande guerra, nel 1914) e conclusasi nel 1945. Si
trattò di una contrapposizione fra mondi – il primo mondo occidentale
contrapposto al secondo mondo sovietico-collettivista – e di un
confronto serrato fra sistemi economici alternativi, ma con qualche
tratto comune. Il capitalismo liberista di matrice anglosassone, per
emergere e affermarsi completamente, superando le ricette keynesiane, il
costoso stato sociale e i compromessi Stato-Mercato, dovette vedersela
con il collettivismo di matrice sovietica, che presentava, a sua volta,
alcuni tratti capitalistici (persistenza della piccola proprietà
privata, suddivisione classista della società, ma con minori differenze
di ricchezza rispetto all’occidente, eccetera). La terza guerra mondiale
fu “fredda” solo in apparenza, perché i blocchi contrapposti si
affrontarono in molte aree del mondo e in tutti i continenti – per
“interposta persona”, ma non di rado con l’intervento diretto dell’uno o
dell’altro, come in Corea, Vietnam, Afghanistan – per cui nei conflitti
locali (talora ipocritamente definiti “a bassa intensità”) vi furono
milioni di morti e feriti, nonché immani distruzioni. La “guerra fredda”
scoppiò subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, quasi senza
soluzione di continuità, non risparmiando l’Europa, se pensiamo alla
guerra civile greca, combattuta dai comunisti contro i governativi
filo-occidentali dal 1946 al 1949. Com’è arcinoto, il conflitto
“freddo”, ma nella realtà storica di allora caldissimo, finì in seguito
all’implosione del blocco sovietico nel triennio 1989-1991. Non per
questo le guerre finirono, e anzi, un nuovo, insidioso conflitto, tale
da mettere in pericolo gli stessi presupposti della civiltà umana,
iniziò subito dopo il collasso sovietico.
2. Quarta guerra mondiale: due conflitti in uno.
La
quarta guerra mondiale è in pieno corso, se gli eventi bellici in
questi ultimi mesi si sono moltiplicati e aggravati, lambendo il Medio
Oriente, L’Africa e anche l’Europa. I conflitti in Iraq, in Siria, in
Libia, nella striscia di Gaza e in Ucraina orientale non sono
“indipendenti” l’uno dall’altro, ma episodi di rilievo della quarta
guerra mondiale. Ma le cose non sono così semplici e chiare come si
crede. Fino ad ora abbiamo conosciuto almeno due conflitti paralleli, in
cui l’ultima, grande guerra pare sdoppiarsi.
Il primo conflitto è
scoppiato nel nord e nell’occidente del mondo, per distruggere i
modelli di capitalismo novecenteschi d’importanti nazioni europee, come
l’economia mista italiana, il capitalismo “renano” tedesco e l’economia
mista francese con elementi di capitalismo “renano”, e imporre al
vecchio continente il capitalismo ultraliberista anglosassone con
respiro globale. O meglio, per imporre all’Europa un nuovo modo storico
di produzione, all’apice del trionfo del capitale sul lavoro (e su gran
parte dell’umanità), che possiamo chiamare in sintesi neocapitalismo
finanziarizzato.
L’attacco, in atto da un buon ventennio, è
diretto contro lo stato sociale, la spesa pubblica (che dovrebbe avere
funzione propulsiva nei periodi di crisi), l’intervento statale
nell’economia, la protezione delle produzioni nazionali, i diritti dei
lavoratori, i livelli di occupazione, i redditi popolari, e in ultimo ma
non ultima, la sovranità politica e monetaria degli stati. Qui le armi
economiche sostituiscono quelle tradizionali (raramente “si spara” sulla
folla depauperata, non si bombardano i quartieri popolari, non si usano
armi chimiche o proiettili all’uranio per contrastare gli scioperi) e
un ruolo importante è assegnato alla disinformazione di sistema (tutti i
media occidentali) che contribuisce, a braccetto con la precarizzazione
e la flessibilizzazione dei lavoratori trasformati in semplice
fattore-lavoro, alla costruzione di un uomo precario, scarsamente
combattivo e ampiamente incosciente davanti alla realtà politica e
sociale. L’attacco è diretto, quindi, contro i vecchi modelli
capitalistici dal volto “socialmente quasi-umano”, la proprietà pubblica
(dei mezzi di produzione, della moneta), la sovranità statale, la
socialità nel suo complesso e tutte le classi dominate retaggio del
novecento (ceti medi, proletariato industriale e rurale, eccetera). La
guerra sociale è condotta con larga disponibilità di mezzi dalla glasse
globale neodominante, che ha iniziato a formarsi negli usa durante gli
ultimi due decenni della precedente “guerra fredda”, ed è diretta contro
il resto della società, dai ceti medi figli del welfare novecentesco
alle classi operaie, salariate e proletarie, nonché contro la
persistenza di elementi culturali borghesi (caratteristici della vecchia
classe dominante, l’alta borghesia proprietaria) e piccolo-borghesi. Se
pensiamo alle condizioni in cui versano molti paesi europei, fra i
quali anche l’Italia, l’attacco ha avuto successo e la “guerra sociale
neocapitalistica interna” è entrata nella sua fase finale, di
annientamento culturale, sociale e politico del “nemico”, cioè di tutti
noi. Inoltre, si è proceduto alla militarizzazione delle forze di
polizia in previsione di estesi riots con l’ampliarsi delle
disuguaglianze sociale e il moltiplicarsi dei comportamenti sistemici
repressivi. Non è un caso se la polizia americana, come testimoniano i
recenti disordini a sfondo razziale (e sociale) di Ferguson, Missouri,
dispone di armamento militare, di squadra e pesante (veicoli corazzati).
Questi conflitti, definibili “interni”, potranno rincrudire con il
precipitare della situazione sociale, trasformandosi, in futuro, in
autentici episodi bellici.
Il secondo conflitto è un puzzle sempre
più inquietante di episodi bellici localizzati, invasioni,
bombardamenti con aerei e droni, guerre civili più o meno
artificialmente suscitate, destabilizzazioni violente, con afflussi in
loco di armi, soldi e mercenari, di singoli stati da mettere fuori
combattimento (Libia e Siria, ad esempio). Per ora, senza l’uso di armi
nucleari, ma con violenze inaudite contro le popolazioni civili (primo,
vero bersaglio degli attacchi armati), saccheggi, attenzione estrema dei
mercenari, dei miliziani e dei paramilitari per gli obiettivi
economici, energetici e per il sequestro violento di beni patrimoniali
(come ben testimoniano le azioni stragiste del sanguinario stato
islamosunnita e degli armati dello stato-canaglia filoatlantista
ucraino). A costo di perdere il controllo dei mercenari che finanziano,
armano, addestrano e spediscono a combattere in vari paesi per il
soldo, i globalisti occidentali (americani, europoidi, islamosauditi e
giudeo-israeliani), stanno spingendo sull’acceleratore, in particolare
nell’area siriano-irakena e nel Donbass ucraino, per raggiungere
obiettivi strategici, frantumare le resistenze contrarie ai loro
interessi (Assad con l’esercito regolare in Siria, patrioti russi e
russofoni in ucraina) e per isolare e mettere in difficoltà la
Federazione Russa e l’Iran. Sicuramente il rischio di perdita di
controllo del “braccio armato”, dopo aver scatenato il sanguinoso
conflitto e supportato le entità criminali armate, è significativo in
Iraq-Siria e riguarda il neonato stato islamocriminale, ma ciò non
impedisce ai suddetti (dominanti globalisti occidentali, “sauditi” e
giudeo-israeliti compresi) di permettere la continuazione di questi
conflitti, e anzi, di estendere progressivamente le aree coinvolte nella
guerra. Non vi è, ormai, alcuno scrupolo nel mutare con la violenza più
cieca, principalmente rivolta contro i civili, i confini degli stati,
sulla base delle convenienze globaliste. Notiamo come, davanti a questi
episodi bellici sempre più gravi ed estesi, vi sia una certa, voluta,
passività dei paesi succubi dell’occidente neocapitalistico. Se vi è
intervento militare, contro qualcuna delle citate entità criminali –
nella fattispecie, conto lo stato-canaglia islamosunnita – questo è
molto limitato, esclusivamente aereo, tale da non “depotenziare” del
tutto l’organizzazione armata stragista, come nel caso dei bombardamenti
usa nel nord dell’Iraq, ben localizzati quanto all’aerea interessata e
non decisivi per decidere le sorti del conflitto.
2. Complessità e scopi della Quarta guerra mondiale.
La
complessità della quarta guerra mondiale, non deriva soltanto dallo
sviluppo parallelo dei conflitti, quello socioeconomico-culturale contro
le classi subalterne in occidente e quello armato, suddiviso in molti
episodi bellici e di distruzione, contro i paesi riottosi per
“normalizzarli” eliminando effettivi e potenziali avversari. Soprattutto
non si deve pensare, “ottimisticamente”, che la guerra in corso finirà
con il raggiungimento di alcuni obiettivi strategici, come l’isolamento
della Russia e/o collasso del regime di Putin, la fine di Assad in
Siria, il ridimensionamento dell’Iran, il mantenimento del dollaro come
valuta di riserva. Si tratta di un conflitto con caratteristiche
asimmetriche, combattuto su più livelli: azioni terroristiche, flussi di
mercenari e armi, penetrazione preventiva di organizzazioni non
governative compiacenti, sostegno politico e finanziario a opposizioni
interne per destabilizzare, “rivoluzioni colorate” come antefatto. Un
conflitto unico, benché scomponibile in parti nelle analisi, di grande
valenza strategica e di natura culturale, combattuto senza quartiere, e
senza delle vere tregue, con tutte le armi a disposizione, nell’evidente
squilibro di forze che esiste a vantaggio dei globalisti occidentali.
Lo scopo ultimo è la sottomissione, alle dinamiche
neocapitalistico-finanziarie e agli interessi privati della classe
dominante deterritorializzata, di tutto il pianeta. Un conflitto che
s’intreccia con quello verticale fra gruppi dominanti, disposti a usare i
popoli l’uno contro l’altro, non essendo i loro destini, a differenza
della vecchia borghesia proprietaria, indissolubilmente legati alle
sorti e alla potenza di uno specifico stato nazionale o federazione di
stati (neppure per quanto riguarda gli usa). Se un elemento strutturale
neocapitalistico irrinunciabile, fra i pilastri dell’intera costruzione,
è la crisi economica perpetua, a questo si accompagna l’attuale “guerra
senza fine” interna ed esterna. Cioè, la quarta guerra mondiale contro
le classi dominate in occidente e contro i popoli dell’ex terzo mondo,
riottosi ad accettare l’ordine nuovo-capitalistico. Prima della
battaglia decisiva per la supremazia mondiale, economico-finanziaria,
monetaria, militare, con i globalisti orientali “emergenti” della Cina
neocapitalista – che continua a fingersi socialista contro ogni evidenza
– gli occidentali intendono “fare terra bruciata” di ogni paese, popolo
o potenza resistente, dalle coste atlantiche africane fino ai confini
con la Cina stessa. Indubbiamente la nato sta cercando ad ogni costo, e a
costo di ogni sorta di provocazione (facendo abbattere arerei di linea,
cercando di bloccare convogli umanitari e facendogli sparare addosso),
la guerra con la Russia in Europa orientale, e non è escluso che si
punti a un conflitto nucleare. Se vi saranno episodi di scontro nucleare
localizzato, e anche se questi non porteranno alla distruzione completa
del pianeta (ma con quali danni?), possiamo star certi che non porranno
la parola “fine” al quarto conflitto mondiale in corso. Dopo aver
piegato la resistenza russa, preluderanno alla battaglia finale con la
Cina neocapitalista e ultramercatista, la cui classe dominante di
globalisti “orientali” vorrebbe esprimere, nel corso di questo secolo,
la leadership mondiale, togliendo definitivamente lo scettro dalle mani
dei “colleghi” occidentali
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