di Giampaolo Cada
Fonte: la Repubblica
DONETSK — La scritta sullo striscione, giusto sotto la statua di Lenin, non deve trarre in inganno. Dice: "Nasha Rodina SSSR", "Unione sovietica nostra patria". Ma sulla piazza di Donetsk i nostalgici sono pochissimi. In mezzo ai tanti tricolori russi solo un paio di bandiere con falce e martello indicano i presidi del partito comunista, che raccoglie firme e numero di telefono dei militanti disposti a restare qualche ora nel vento ghiacciato per sorvegliare il monumento a Vladimir Ilic e impedire che «i fascisti» lo danneggino. La fila di chi vuole difendere il gigantesco bronzo è lunga. Ma quando tacciono le grida «Rossiya, Rossiya», e nell'aria si alza una canzone, non è l'Internazionale, è un canto del Donbass. Tutti si affannano a chiarire: questa è la nostra identità, la nostra cultura. Il socialismo è passato, ma il cuore batte ancora per Mosca. Il legame resta solido per i minatori che scavano il carbone diretto a Est, per gli operai che producono parti metalliche per le fabbriche della Grande Madre Russia, per tutta la regione, che vuole un voto sull'autodeterminazione, come quello voluto da Putin per la Crimea.
Nel dissenso con Kiev, Donetsk è all'avanguardia: "Referendum, referendum", chiedono decine di striscioni. Chiarisce Aleksandr Matushin, giovane leader dell'associazione Donetska Republika: «Non vogliamo distaccarci dall'Ucraina, chiediamo maggiore autonomia, vogliamo una federazione. Ma se fosse necessario scegliere, preferiamo andare con Mosca che restare con questi golpisti di Kiev».
Dopo i discorsi, gli slogan e le poesie sugli eroi della resistenza antinazista nel Donbass, migliaia di persone si spostano davanti al palazzo del governo, scandendo slogan filorussi e invocando Pavel Gubarev. E' il leader del movimento filo-russo, arrestato giovedì con una sessantina di compagni dopo il blitz nel locale palazzo del governo. Adesso però strappar via la bandiera ucraina celeste e gialla per sostituirla con il tricolore russo, come i militanti hanno fatto lunedì scorso, è più difficile. Davanti alla siepe di filo spinato a rasoio, a difendere la sede delle autorità, ci sono centinaia di poliziotti, il volto imberbe rosso per il gelo sotto l'elmetto e lo scudo metallico ben serrato sul petto. Ma la gente di Donetsk scandisce: «La polizia è con il popolo».
Si dice che oggi sfileranno i sostenitori del nuovo governatore, incaricato da Kiev di controllare la riottosa regione delle miniere. L'uomo voluto da Yiulia Tymoshenko è l'oligarca Taruta, che si prende la sua parte di fischi: «Via, via!». I suoi sostenitori sono tutti hooligan da stadio, teppisti pagati per menare le mani, garantiscono i dimostranti. C'è il rischio di scontri. A piazza Lenin, Sergej esibisce il nastrino nero-arancio, simbolo della vittoria contro i nazisti. E' un fisioterapista, e mostra mani grandi come padelle: «Con queste posso fare del bene alle persone. Ma posso anche difendere quello in cui credo». Poi si volta e va a firmare per un turno di guardia alla statua.
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