Dal primo gennaio è nata l'unione doganale tra Russia, Bielorussia, Kazakistan e Armenia
di Simone Nastasi
Il 1 Gennaio 2015 non è stato soltanto il primo giorno del nuovo anno ma anche il primo giorno di vita dell'Unione Euroasiatica (UEA),
l' organizzazione internazionale che rappresenta l'unione politica tra
Stati dell'Europa e dell'Asia, nata in seguito agli accordi del 2011
firmati dai presidenti di Russia, Bielorussia e Kazakistan. Attuali membri dell'UEA sono appunto la Russia, la Bielorussia e il Kazhakistan ai quali si è aggiunta nel 2014 anche l'Armenia.
Le statistiche ufficiali rivelano che l'Unione Eurosiatica sarà una potenza demografica di 170 milioni di abitanti con un Pil aggregato complessivo che supera i 2700 miliardi di dollari ( con un potenziale di altri 900 miliardi stimati dalla Banca per la Ricostruzione e lo Sviluppo) e che controlla attualmente il 20% delle riserve di gas e il 15% di quelle petrolifere.
Le statistiche ufficiali rivelano che l'Unione Eurosiatica sarà una potenza demografica di 170 milioni di abitanti con un Pil aggregato complessivo che supera i 2700 miliardi di dollari ( con un potenziale di altri 900 miliardi stimati dalla Banca per la Ricostruzione e lo Sviluppo) e che controlla attualmente il 20% delle riserve di gas e il 15% di quelle petrolifere.
Se ad oggi, l'Unione Euroasiatica può apparire come una riproposizione
dell'Unione Sovietica in versione 2.0, quindi con una forte predominanza
russa e l'auspicato ingresso da parte di Mosca all'interno
dell'organizzazione, di tutti quei Paesi che un tempo rappresentavano la
“galassia di Mosca”, domani potrebbero esserci le basi per un ulteriore allargamento sia verso Paesi asiatici come l'India e la Cina, con i quali Mosca negli ultimi mesi ha stretto una serie di importanti accordi di natura economica, ma anche a Paesi più “occidentali” come Israele. A differenza dell'URSS quindi, nell'UEA non sembrano esserci limiti di portata ideologica.
Nonostante Putin abbia detto che l'UEA non voglia rappresentare
ufficialmente un'alternativa all'Unione Europea, sono molti i punti in
comune nel processo di formazione delle due organizzazioni. A partire
dal fattore storico, in base al quale anche l'Unione Euroasiatica, come
l'Unione Europea, è stata la naturale evoluzione di accordi precedenti: gli accordi di Dusambe del 2007 con
i quali i presidenti di Russia, Bielorussia e Kazakistan sancirono la
nascita dell'Unione doganale eurasiatica, seguirono alla costituzione
della precedente Comunità Economica Eurosiatica sorta nel 2000 e alla
quale presero parte oltre alla Russia, la Bielorussia e il Kazakistan
anche il Kirghizistan e il Tagikistan. Ma anche dal punto di vista
istituzionale non mancano le analogie con gli organismi dell'Unione
Europea: è questo il caso della Commissione economica eurasiatica, che
trova la sua ispirazione nel funzionamento della Commissione Europea ma
anche di tutti quegli altri organi istituzionali di cui si è dotata la
Comunità Economica Eurosiatica come il consiglio interstatale,
l'assemblea interparlamentare, la banca eurasiatica per lo sviluppo e la
corte comunitaria.
Ed inoltre, sono in molti coloro che guardano alla nascita dell'UEA,
non soltanto come un mercato comune tra gli ex Paesi dell'Unione
Sovietica ma soprattutto come un organo di rappresentanza
politica alternativo, in grado di interloquire alla pari sia con gli
Stati Uniti che con l'Unione Europea. Un altro importante polo
di aggregazione, dopo Stati Uniti e Unione Europea che sancisca
definitivamente l'esistenza di quello che gli esperti delle relazioni
internazionali, considerano già un “mondo multipolare” in cui non esiste
più un'unica grande superpotenza in grado di controllare da sola
l'ordine mondiale.
La nascita dell'Unione Eurosiatica, arriva nel momento forse più delicato dall'avvento di Putin al Cremlino.
Prima le sanzioni economiche imposte dall'Unione Europea, sotto la
pressione degli Stati Uniti, poi il crollo del prezzo del petrolio,
sceso alla fine di dicembre a quota 54 dollari al barile dopo la
decisione dell'Opec di non diminuire la produzione giornaliera (fissata a
30 milioni di barili), hanno avuto infatti come effetto primario quello
di indebolire fortemente l'economia di Mosca, per una cifra complessiva
che si aggira intorno ai 130 miliardi di dollari. Proprio nel 2015 secondo le previsioni della Banca Centrale Russa, il Pil di Mosca dovrebbe registrare una flessione del 4,5%.
Sia le esportazioni petrolifere, che pesano per il 15% del totale, sia
la spesa pubblica dipendono infatti molto dal prezzo del greggio e per
questo, c'è anche chi arrivi a presagire il rischio di un possibile
default sul debito come accadde nel 1998.
Tuttavia, rispetto a 17 anni fa, la situazione di Mosca verso l'estero è notevolmente migliorata, come evidenziato dall'economista Dmitry Dolgin di Alpha Bank intervistato da L'Espresso, per cui il livello di indebitamento estero della Russia è passato da un 50% del 1998 all'attuale 3%. Una simile esposizione, ridotta al minimo, scongiurerebbe il rischio di una pressione dei mercati con contemporaneo aumento del tasso di interesse sui titoli di Stato. E' per questo che il rischio maggiore per l'economina di Mosca secondo Chiris Weafer di Macro Advisory, sarebbe rappresentato allora dalla situazione interna, nella quale un tasso di interesse maggiore avrebbe come effetto l'innalzamento del costo del denaro che andrebbe a tradursi in un probabile calo dei consumi privati.
Tuttavia, rispetto a 17 anni fa, la situazione di Mosca verso l'estero è notevolmente migliorata, come evidenziato dall'economista Dmitry Dolgin di Alpha Bank intervistato da L'Espresso, per cui il livello di indebitamento estero della Russia è passato da un 50% del 1998 all'attuale 3%. Una simile esposizione, ridotta al minimo, scongiurerebbe il rischio di una pressione dei mercati con contemporaneo aumento del tasso di interesse sui titoli di Stato. E' per questo che il rischio maggiore per l'economina di Mosca secondo Chiris Weafer di Macro Advisory, sarebbe rappresentato allora dalla situazione interna, nella quale un tasso di interesse maggiore avrebbe come effetto l'innalzamento del costo del denaro che andrebbe a tradursi in un probabile calo dei consumi privati.
Dal Cremlino continuano a mostrarsi fiduciosi rispetto ad un miglioramento della situazione economica russa,
già a partire dalla seconda metà del 2015. Infatti, come riportato dal
sito The Bricspost se il presidente Putin confida in una stabilizzazione
del prezzo del greggio che dovrebbe avvenire intorno alla metà del
2015, il ministro dello Sviluppo Economico Alexey Ulyukayev ha più volte
ribadito che il crollo del prezzo del petrolio non avrà un impatto così
rovinoso sul budget di spesa del governo russo. La ragione secondo il
ministro andrebbe cercata nella sostanziale stabilità del prezzo del
greggio ridenominato in rubli che nonostante il forte deprezzamento
della valuta russa, sarebbe rimasto inalterato a quota 3600 rubli al
barile. “Per la nostra capacità di spesa pubblica – ha detto il
ministro – l'importante nel prezzo del greggio è la sua ridenominazione
in rubli piuttosto che il suo valore in dollari”.
Fonte: L'Antidiplomatico
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