lunedì 12 maggio 2014

Donetsk: «Chiediamo l’annessione a Mosca»

Ucraina. Il referendum conferma le volontà indipendentiste. Kiev riprende l’offensiva militare
Persone in fila per votare al referendum indipendentista in Ucraina
Con oltre il 90 per­cento dei favo­re­voli nella regione di Lugansk, e oltre l’80 per­cento in quella di Done­tsk, le due regioni sepa­ra­ti­ste hanno uffi­cia­liz­zato la pro­pria richie­sta di indi­pen­denza. Le imma­gini del week end hanno mostrato parec­chia gente accorsa ai seggi, accu­sati di non aver bril­lato per tra­spa­renza; ma d’altro canto il risul­tato era scon­tato e il refe­ren­dum rap­pre­senta il momento più sim­bo­lico della man­canza di fidu­cia, da parte delle regioni orien­tali, rispetto al governo uscito dalla bat­ta­glia di Maj­dan a Kiev.
Supe­rata la dome­nica di voto, dun­que, si ritorna a par­lare di poten­ziali solu­zioni alla crisi, anche se il risul­tato elet­to­rale delle regioni sepa­ra­ti­ste ha allon­ta­nato ancora di più le parti. Per Kiev, l’Unione euro­pea e gli Stati uniti si è trat­tato di una farsa; ben diverso il signi­fi­cato per i ribelli che hanno chie­sto, dopo l’ufficializzazione del voto, l’annessione alla Fede­ra­zione russa. Una richie­sta che segue le orme di quanto acca­duto in Cri­mea, ma che vede Mosca meno deter­mi­nata ad acco­gliere l’invito. Non solo, per­ché il capo degli insorti filo­russi dell’autoproclamata Repub­blica popo­lare di Done­tsk, Denis Pushi­lin, ha dichia­rato che le ele­zioni pre­si­den­ziali ucraine del pros­simo 25 mag­gio «non avranno luogo» nella regione di Done­tsk. Pushi­lin ha quindi affer­mato che per la set­ti­mana pros­sima non è pre­vi­sto alcun refe­ren­dum per l’annessione alla Rus­sia ipo­tiz­zato da alcuni osser­va­tori. La richie­sta di annes­sione, però, rimane. La regione di Lugansk ha invece chie­sto al governo ucraino «un’iniziativa di emer­genza» per modi­fi­care la Costi­tu­zione e adot­tare il federalismo.
Mosca ha fatto sapere di rispet­tare «l’espressione della volontà della popo­la­zione della regione di Done­tsk e Lugansk», con­fer­mando la pro­pria spe­ranza nel «dia­logo tra i rap­pre­sen­tanti di Kiev, di Done­tsk e di Lugansk». Que­sta è la linea di Mosca, già ripe­tuta più volte, arri­vata dopo alcune aper­ture piut­to­sto rile­vanti da parte del Crem­lino. Putin ha sot­to­li­neato tre aspetti per aprire nuo­va­mente il dia­logo tra le parti: stop all’offensiva di Kiev, in modo da assi­cu­rare le ele­zioni pre­si­den­ziali del 25 mag­gio e in attesa, dia­logo tra Maj­dan e i «sepa­ra­ti­sti».
Il pro­blema è che Kiev da que­sto punto di vista non sem­bra sen­tirci. Ieri dopo la pro­cla­ma­zione dei risul­tati del refe­ren­dum sono ripar­titi i bom­bar­da­menti alle città orien­tali, men­tre l’ipotesi di un dia­logo con gli espo­nenti delle regioni dell’est del paese non sem­bra rien­trare negli impe­gni segnati nell’agenda di Kiev.

D’altro canto Unione euro­pea e Stati uniti sem­brano fare ben poco per favo­rire un nego­ziato di que­sto tipo.
L’Ue, nono­stante le aper­ture di Hol­lande e Mer­kel del fine set­ti­mana, non pare avere la forza di costrin­gere Kiev a un dia­logo, nean­che sotto la minac­cia, magari, di con­ge­lare gli aiuti eco­no­mici. La man­cata forza di Bru­xel­les è evi­dente pen­sando ad altri due ele­menti: la Ue aveva chie­sto a gran voce un’indagine indi­pen­dente sui fatti di Maj­dan e una sul tra­gico togo di Odessa. Da Kiev nes­suna rispo­sta, né Bru­xel­les ha mai preso posi­zione sui 46 morti del palazzo del sindacato.

Dall’altro lato gli Usa, sono gli ultimi a poter mediare, vista la loro posi­zione così netta fin dall’inizio dello scon­tro in Ucraina. Non solo durante i giorni delle pro­te­ste e quelli della bat­ta­glia, l’ambasciata di Kiev è stata il quar­tier gene­rale della Cia, con tanto di capo al seguito, come ammesso da Washing­ton, non solo ha man­dato in Ucraina aiuti mili­tari non letali e uomini dell’Fbi, ma da quanto risulta dalla stampa tede­sca (Der Spie­gel) avrebbe inviato anche 400 mer­ce­nari a com­bat­tere nelle regioni orien­tali. Senza con­si­de­rare il fatto di aver finto di non vedere, al pari dell’Unione euro­pea, la pre­senza di neo­na­zi­sti all’interno dei mec­ca­ni­smi poli­tici e mili­tari del governo Yatseniuk.
Tutti invece si sono tro­vati con­cordi nel con­si­de­rare la Rus­sia come respon­sa­bile della crisi, tanto che ieri l’Unione euro­pea ha fatto par­tire nuove san­zioni con­tro Mosca. Il Con­si­glio Ue Affari esteri, in corso a Bru­xel­les, ha deciso di ampliare i cri­teri e la base legale delle san­zioni. Per la prima volta i mini­stri degli Esteri della Ue hanno deciso di col­pire due imprese della Cri­mea, nazio­na­liz­zate dalla Rus­sia a seguito dell’annessione della regione. Estesa anche la lista delle per­sone col­pite dal con­ge­la­mento degli asset finan­ziari e dalla restri­zione sui visti. In numero delle per­sone san­zio­nate è salito a 61. Nel frat­tempo Yatse­niuk, il pre­mier auto­pro­cla­mato di Kiev, ieri in serata ha incotn­rato a Kiev il pre­si­dente del Con­si­glio euro­peo Her­man Van Rom­puy e domani sarà ospite a Bruxelles.
La Com­mis­sione, ha ricor­dato l’esecutivo euroe­peo, «è deter­mi­nata ad aiu­tare l’Ucraina e ad assi­cu­rare che l’Ucraina abbia tutto il soste­gno di cui ha biso­gno, nel breve e nel lungo periodo».

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