di Jean-Paul Pougala Fonte: Aurora sito
Crisi ucraina: il grande bluff delle sanzioni economiche occidentali contro la Russia
Ecco il 2 e 3 aprile 2014, i titoli dei principali quotidiani occidentali:
The New York Times del 2 aprile è il primo a pubblicare la nota interna di un certo Michael F. O’Brien, vicedirettore per le relazioni internazionali della NASA, “La NASA rompe il maggior contatto con la Russia” (NASA ha tagliato tutti i rapporti con la Russia).
Il giorno dopo, il 3 aprile, sono emittenti e giornali europei ad entrare in ballo:
“La NASA taglia i rapporti con Mosca a causa della crisi in Ucraina”, Info-RTS (Radio Télévision Suisse).
“La NASA sospende i “contatti” con la Russia”, Le Monde
“La NASA sospende i contatti con la Russia”, Le Figaro
Queste informazioni sono solo fumo, come il bluff delle pseudo-sanzioni economiche occidentali contro la Russia sulla crisi ucraina e ne capiremo immediatamente il perché.
Ecco il 2 e 3 aprile 2014, i titoli dei principali quotidiani occidentali:
The New York Times del 2 aprile è il primo a pubblicare la nota interna di un certo Michael F. O’Brien, vicedirettore per le relazioni internazionali della NASA, “La NASA rompe il maggior contatto con la Russia” (NASA ha tagliato tutti i rapporti con la Russia).
Il giorno dopo, il 3 aprile, sono emittenti e giornali europei ad entrare in ballo:
“La NASA taglia i rapporti con Mosca a causa della crisi in Ucraina”, Info-RTS (Radio Télévision Suisse).
“La NASA sospende i “contatti” con la Russia”, Le Monde
“La NASA sospende i contatti con la Russia”, Le Figaro
Queste informazioni sono solo fumo, come il bluff delle pseudo-sanzioni economiche occidentali contro la Russia sulla crisi ucraina e ne capiremo immediatamente il perché.
Oblio selettivo delle informazioni
Tutti i giornalisti che danno queste informazioni non comunicano quella più importante, di soli cinque giorni prima che contraddice tali presunte informazioni. Il 27 marzo 2014, al Congresso degli Stati Uniti d’America, il numero 1 dell’agenzia spaziale statunitense, la NASA, Charles Bolden dice ad alcuni deputati e senatori statunitensi che se ci saranno sanzioni tra Russia e Stati Uniti, gli Stati Uniti avranno più da perdere. Spiega perché in realtà gli Stati Uniti non potrebbero sostenere a lungo le sanzioni russe contro gli statunitensi nello spazio. In conclusione, secondo le agenzie, da AP a Reuters via AFP, ai membri del Congresso “conferma la fiducia nel partenariato spaziale con la Russia, da cui gli Stati Uniti dipendono per inviare i loro astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), nonostante le tensioni per la crisi ucraina“. Ecco le informazioni fornite dallo stesso direttore al Congresso degli Stati Uniti. Ma perché i giornali occidentali ignorano queste informazioni per concentrarsi invece su una nota interna del vicedirettore di una sottocommissione? Ancora più inquietante: perché Michael F. O’Brien può fare una dichiarazione in totale contraddizione con le dichiarazioni del suo capo di cinque giorni prima? Ecco in dettaglio la sua dichiarazione: “Data la violazione da parte della Russia della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, fino a nuovo avviso il governo statunitense ha deciso che qualsiasi contatto tra la NASA e funzionari del governo russo dovrebbe essere sospeso, salvo quanto diversamente ed espressamente previsto (…) L’agenzia spaziale degli Stati Uniti pone termine ai voli dipendenti dalla Russia, così come all’ospitalità data ai russi nei suoi edifici, e decreta il congelamento dei contatti via e-mail, teleconferenze o videoconferenze“. Chi ha ragione in questo gioco a poker truccato, dove entrambi i giocatori giocano lo stesso ruolo al fine di confondere il cittadino ignaro in una cortina di fumo e montature? In tutto ciò, vi sono due statunitensi nello spazio con tre russi che volano sulle nostre teste nella stazione spaziale internazionale, ISS. Dalla fine dei voli degli Shuttle nel 2011 ad oggi, è la Russia che ha i mezzi tecnici per inviare qualcuno su questa stazione. Il direttore della NASA cercava di spiegare ai congressisti che se la Russia si arrabbia, i due astronauti statunitensi rimarranno bloccati per sempre nello spazio.
E l’Agenzia spaziale europea? Il suo caso è ancora più grave, perché per inviare i propri cittadini nello spazio, gli europei sgomitano. E la Russia ne approfitta. La tariffa per visitare la Stazione Spaziale Internazionale ISS per qualsiasi cittadino non russo è di 71 milioni di dollari, 53 milioni di euro andata e ritorno. E i posti sono limitati, naturalmente. Nel caso di serie sanzioni contro la Russia, questa potrebbe semplicemente rimborsare il Paese occidentale del biglietto di ritorno chiedendogli di sbrogliarsela da solo nel far rientrare il suo astronauta. Si può quindi immaginare l’effetto devastante sull’opinione pubblica occidentale contro i propri capi politici che lasciano morire i propri astronauti nello spazio. Non è finzione, questo è il piano B che Mosca ha preparato in risposta agli occidentali, se superassero la linea rossa. Per saperlo basta ascoltare il viceprimo ministro russo Dmitrij Rogozin dopo la prima delle sanzioni del 28 aprile. Ecco cosa ha detto all’agenzia russa Interfax: “Se vogliono colpire l’industria dei missili russi, automaticamente abbandoneranno i loro cosmonauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (…) Onestamente, cominciano a dare sui nervi con le loro sanzioni e non capiscono nemmeno che gli ritorneranno come boomerang.(…)” E secondo l’agenzia Itar-Tass ecco cosa aggiunge sul suo account Twitter: “Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro la nostra industria spaziale. Ma abbiamo avvertito che risponderemo dichiarazione per dichiarazione e azione per azione (…) Gli statunitensi potranno inviare i loro astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) con un trampolino“. I due astronauti statunitensi sono Rick Mastracchio e Steve Swanson e il loro rientro è previsto per ottobre 2014. Salvo che nel frattempo la situazione si aggravi tra i due Paesi e che i russi semplicemente decidano di lasciarli morire nello spazio. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama avrebbe dovuto seguire il consiglio di un detto popolare akonolinga del Camerun, che recita: “Se vuoi entrare in lotta, per primo togliti il cesto di uova che hai sulla testa“. Prima di fare dichiarazioni sensazionali sulle sanzioni contro la Russia, si dovrebbe far prima rientrare gli astronauti. La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è un investimento da 150 miliardi di dollari forniti da diversi Paesi del mondo. Ma in realtà è gestita dalla Russia, dato che essa solo ha i mezzi tecnici per portarvi personale. Per ridurre la dipendenza dai voli del cargo da trasporti russo Progress, il governo degli Stati Uniti ha concluso accordi miliardari per inviarvi solo 40 tonnellate di carico con due società statunitensi, l’Orbital Sciences per 1,9 miliardi dollari (8 viaggi per consegnare 20 tonnellate di carico) e la SpaceX per 1,6 miliardi dollari (12 viaggi per trasportare 20 tonnellate di carico). Pertanto, senza i russi il programma spaziale degli Stati Uniti è un’avventura piuttosto rovinosa, senza risultati convincenti. L’uscita del 2 aprile 2014 della NASA, che denunciava la cooperazione con la Russia per la crisi ucraina, è un vero e proprio bluff, perché almeno in questo settore, gli statunitensi hanno bisogno dei russi e non il contrario. Ci sono per esempio sempre due navette russe Sojuz nella stazione spaziale, per evacuarne gli occupanti in caso di imprevisti o d’emergenza (incendi, mancanza di ossigeno, prolungata assenza di elettricità, ecc.). Tuttavia su ogni navetta ci sono solo tre posti. E in caso d’incidente, come regola sono i russi i primi a prendervi posto e Mosca poi decide il destino dei restanti occupanti, chi salvare e sacrificare tra europei e statunitensi. E questo non è tutto. Nel settore degli investimenti e dei lanci orbitali dei satelliti per comunicazioni militari o civili, gli Stati Uniti dipendono dalla Russia. Secondo il New York Times del 2 aprile 2014, il segretario della Difesa degli Stati Uniti d’America, Chuck Hagel, ha preteso rabbiosamente che l’US Air Force non si rivolga più alla Russia. Finge di dimenticare che i previsti satelliti militari statunitensi sono assegnati al vettore Atlas-5 della joint venture tra Boeing e Lockheed Martin. E queste due aziende da anni usano per i loro lanciatori motori realizzati in Russia, tra cui i famosi RD-180 che hanno superato tutti i record di lanci senza incidenti dovuti a guasti del motore. Dire a Boeing o Lockheed Martin di lasciare i motori russi, significa chiedergli di iniziare nel 2014 le ricerche su nuovi motori per equipaggiare i loro vettori. Tempo necessario, almeno 10 anni per avere i primi motori. Si tratta puramente e semplicemente di null’altro che stupidità strategica. Ma perché tale improvviso odio contro la Russia? È per amore dell’Ucraina? Ne dubito.
Tutti i giornalisti che danno queste informazioni non comunicano quella più importante, di soli cinque giorni prima che contraddice tali presunte informazioni. Il 27 marzo 2014, al Congresso degli Stati Uniti d’America, il numero 1 dell’agenzia spaziale statunitense, la NASA, Charles Bolden dice ad alcuni deputati e senatori statunitensi che se ci saranno sanzioni tra Russia e Stati Uniti, gli Stati Uniti avranno più da perdere. Spiega perché in realtà gli Stati Uniti non potrebbero sostenere a lungo le sanzioni russe contro gli statunitensi nello spazio. In conclusione, secondo le agenzie, da AP a Reuters via AFP, ai membri del Congresso “conferma la fiducia nel partenariato spaziale con la Russia, da cui gli Stati Uniti dipendono per inviare i loro astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), nonostante le tensioni per la crisi ucraina“. Ecco le informazioni fornite dallo stesso direttore al Congresso degli Stati Uniti. Ma perché i giornali occidentali ignorano queste informazioni per concentrarsi invece su una nota interna del vicedirettore di una sottocommissione? Ancora più inquietante: perché Michael F. O’Brien può fare una dichiarazione in totale contraddizione con le dichiarazioni del suo capo di cinque giorni prima? Ecco in dettaglio la sua dichiarazione: “Data la violazione da parte della Russia della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, fino a nuovo avviso il governo statunitense ha deciso che qualsiasi contatto tra la NASA e funzionari del governo russo dovrebbe essere sospeso, salvo quanto diversamente ed espressamente previsto (…) L’agenzia spaziale degli Stati Uniti pone termine ai voli dipendenti dalla Russia, così come all’ospitalità data ai russi nei suoi edifici, e decreta il congelamento dei contatti via e-mail, teleconferenze o videoconferenze“. Chi ha ragione in questo gioco a poker truccato, dove entrambi i giocatori giocano lo stesso ruolo al fine di confondere il cittadino ignaro in una cortina di fumo e montature? In tutto ciò, vi sono due statunitensi nello spazio con tre russi che volano sulle nostre teste nella stazione spaziale internazionale, ISS. Dalla fine dei voli degli Shuttle nel 2011 ad oggi, è la Russia che ha i mezzi tecnici per inviare qualcuno su questa stazione. Il direttore della NASA cercava di spiegare ai congressisti che se la Russia si arrabbia, i due astronauti statunitensi rimarranno bloccati per sempre nello spazio.
E l’Agenzia spaziale europea? Il suo caso è ancora più grave, perché per inviare i propri cittadini nello spazio, gli europei sgomitano. E la Russia ne approfitta. La tariffa per visitare la Stazione Spaziale Internazionale ISS per qualsiasi cittadino non russo è di 71 milioni di dollari, 53 milioni di euro andata e ritorno. E i posti sono limitati, naturalmente. Nel caso di serie sanzioni contro la Russia, questa potrebbe semplicemente rimborsare il Paese occidentale del biglietto di ritorno chiedendogli di sbrogliarsela da solo nel far rientrare il suo astronauta. Si può quindi immaginare l’effetto devastante sull’opinione pubblica occidentale contro i propri capi politici che lasciano morire i propri astronauti nello spazio. Non è finzione, questo è il piano B che Mosca ha preparato in risposta agli occidentali, se superassero la linea rossa. Per saperlo basta ascoltare il viceprimo ministro russo Dmitrij Rogozin dopo la prima delle sanzioni del 28 aprile. Ecco cosa ha detto all’agenzia russa Interfax: “Se vogliono colpire l’industria dei missili russi, automaticamente abbandoneranno i loro cosmonauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (…) Onestamente, cominciano a dare sui nervi con le loro sanzioni e non capiscono nemmeno che gli ritorneranno come boomerang.(…)” E secondo l’agenzia Itar-Tass ecco cosa aggiunge sul suo account Twitter: “Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro la nostra industria spaziale. Ma abbiamo avvertito che risponderemo dichiarazione per dichiarazione e azione per azione (…) Gli statunitensi potranno inviare i loro astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) con un trampolino“. I due astronauti statunitensi sono Rick Mastracchio e Steve Swanson e il loro rientro è previsto per ottobre 2014. Salvo che nel frattempo la situazione si aggravi tra i due Paesi e che i russi semplicemente decidano di lasciarli morire nello spazio. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama avrebbe dovuto seguire il consiglio di un detto popolare akonolinga del Camerun, che recita: “Se vuoi entrare in lotta, per primo togliti il cesto di uova che hai sulla testa“. Prima di fare dichiarazioni sensazionali sulle sanzioni contro la Russia, si dovrebbe far prima rientrare gli astronauti. La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è un investimento da 150 miliardi di dollari forniti da diversi Paesi del mondo. Ma in realtà è gestita dalla Russia, dato che essa solo ha i mezzi tecnici per portarvi personale. Per ridurre la dipendenza dai voli del cargo da trasporti russo Progress, il governo degli Stati Uniti ha concluso accordi miliardari per inviarvi solo 40 tonnellate di carico con due società statunitensi, l’Orbital Sciences per 1,9 miliardi dollari (8 viaggi per consegnare 20 tonnellate di carico) e la SpaceX per 1,6 miliardi dollari (12 viaggi per trasportare 20 tonnellate di carico). Pertanto, senza i russi il programma spaziale degli Stati Uniti è un’avventura piuttosto rovinosa, senza risultati convincenti. L’uscita del 2 aprile 2014 della NASA, che denunciava la cooperazione con la Russia per la crisi ucraina, è un vero e proprio bluff, perché almeno in questo settore, gli statunitensi hanno bisogno dei russi e non il contrario. Ci sono per esempio sempre due navette russe Sojuz nella stazione spaziale, per evacuarne gli occupanti in caso di imprevisti o d’emergenza (incendi, mancanza di ossigeno, prolungata assenza di elettricità, ecc.). Tuttavia su ogni navetta ci sono solo tre posti. E in caso d’incidente, come regola sono i russi i primi a prendervi posto e Mosca poi decide il destino dei restanti occupanti, chi salvare e sacrificare tra europei e statunitensi. E questo non è tutto. Nel settore degli investimenti e dei lanci orbitali dei satelliti per comunicazioni militari o civili, gli Stati Uniti dipendono dalla Russia. Secondo il New York Times del 2 aprile 2014, il segretario della Difesa degli Stati Uniti d’America, Chuck Hagel, ha preteso rabbiosamente che l’US Air Force non si rivolga più alla Russia. Finge di dimenticare che i previsti satelliti militari statunitensi sono assegnati al vettore Atlas-5 della joint venture tra Boeing e Lockheed Martin. E queste due aziende da anni usano per i loro lanciatori motori realizzati in Russia, tra cui i famosi RD-180 che hanno superato tutti i record di lanci senza incidenti dovuti a guasti del motore. Dire a Boeing o Lockheed Martin di lasciare i motori russi, significa chiedergli di iniziare nel 2014 le ricerche su nuovi motori per equipaggiare i loro vettori. Tempo necessario, almeno 10 anni per avere i primi motori. Si tratta puramente e semplicemente di null’altro che stupidità strategica. Ma perché tale improvviso odio contro la Russia? È per amore dell’Ucraina? Ne dubito.
La democrazia negli USA
Per comprendere la sequenza degli eventi in Ucraina negli ultimi mesi, può essere importante tornare al 1835 per leggere un libro di 438 pagine, attuale punto di riferimento per comprendere la politica degli Stati Uniti. Ecco cosa Alexis de Tocqueville scriveva nel primo volume del suo libro, “La democrazia negli Stati Uniti“: “Sulla terra oggi ci sono due grandi popoli che, partendo da diversi punti, sembrano muoversi verso lo stesso obiettivo: i russi e gli anglo-americani. Entrambi sono cresciuti nell’ombra; e mentre l’attenzione degli uomini era rivolta altrove, improvvisamente sono tra le prime nazioni, e il mondo ne ha appreso quasi allo stesso tempo nascita e grandiosità. Tutti gli altri popoli sembrano aver raggiunto i limiti che la natura gli ha tracciato non avendo che da conservare; ma loro avanzano: tutti gli altri si sono fermati o avanzano con estrema difficoltà; solo loro camminano con passo rapido e facile su un corso di cui non si possono ancora vedere i limiti. (…) Per raggiungere l’obiettivo, i primi puntano agli interessi personali e danno libero corso alla forza e alla ragione individuali. I secondi concentrano in qualche modo su un uomo tutto il potere della società. (…) Il loro punto di partenza è diverso, i loro percorsi sono diversi; tuttavia, ciascuno sembra chiamato a un disegno segreto della Provvidenza, che un giorno terrà nelle sue mani i destini di mezzo mondo“.
Quando analizziamo gli eventi in Ucraina, possiamo dire che dei due protagonisti principali, gli Stati Uniti sembrano agire con maggiore dilettantismo, nella mediocrità. Minacciare di sanzioni Putin, acclamato dal suo popolo con quasi l’80% di popolarità per aver annesso la Crimea, sperando che tremi come un bambino alla’asilo, è alquanto ingenuo per non dire sciocco. Ma perché? Secondo le analisi e le previsioni di Tocqueville, la democrazia statunitense è indebolita dalla totale assenza di libertà intellettuale, per via di ciò che chiamava “dispotismo delle masse” e “tirannia della maggioranza”. Dice che in questo Paese gli “ignoranti si credono saggi”. Sul dilettantismo statunitense nella politica internazionale sappiamo che non è dovuto a mancanza d’intelligenza dei suoi strateghi, ma piuttosto dal bisogno di compiacere e assoggettarsi alla “tirannia della maggioranza”, agli ignoranti che non sanno nemmeno dove siano i propri interessi. E’ in questo contesto che il presidente Obama annuncia e minaccia sanzioni economiche contro la Russia, quando tutti sanno che tali sanzioni non saranno mai messe in pratica senza colpire gli operatori economici degli Stati Uniti. Ciò vale per gli Stati Uniti, ma anche per i loro alleati. In termini puramente economici, si veda l’esempio di uno dei Paesi occidentali che brandisce le sanzioni contro la Russia, la Germania.
Per comprendere la sequenza degli eventi in Ucraina negli ultimi mesi, può essere importante tornare al 1835 per leggere un libro di 438 pagine, attuale punto di riferimento per comprendere la politica degli Stati Uniti. Ecco cosa Alexis de Tocqueville scriveva nel primo volume del suo libro, “La democrazia negli Stati Uniti“: “Sulla terra oggi ci sono due grandi popoli che, partendo da diversi punti, sembrano muoversi verso lo stesso obiettivo: i russi e gli anglo-americani. Entrambi sono cresciuti nell’ombra; e mentre l’attenzione degli uomini era rivolta altrove, improvvisamente sono tra le prime nazioni, e il mondo ne ha appreso quasi allo stesso tempo nascita e grandiosità. Tutti gli altri popoli sembrano aver raggiunto i limiti che la natura gli ha tracciato non avendo che da conservare; ma loro avanzano: tutti gli altri si sono fermati o avanzano con estrema difficoltà; solo loro camminano con passo rapido e facile su un corso di cui non si possono ancora vedere i limiti. (…) Per raggiungere l’obiettivo, i primi puntano agli interessi personali e danno libero corso alla forza e alla ragione individuali. I secondi concentrano in qualche modo su un uomo tutto il potere della società. (…) Il loro punto di partenza è diverso, i loro percorsi sono diversi; tuttavia, ciascuno sembra chiamato a un disegno segreto della Provvidenza, che un giorno terrà nelle sue mani i destini di mezzo mondo“.
Quando analizziamo gli eventi in Ucraina, possiamo dire che dei due protagonisti principali, gli Stati Uniti sembrano agire con maggiore dilettantismo, nella mediocrità. Minacciare di sanzioni Putin, acclamato dal suo popolo con quasi l’80% di popolarità per aver annesso la Crimea, sperando che tremi come un bambino alla’asilo, è alquanto ingenuo per non dire sciocco. Ma perché? Secondo le analisi e le previsioni di Tocqueville, la democrazia statunitense è indebolita dalla totale assenza di libertà intellettuale, per via di ciò che chiamava “dispotismo delle masse” e “tirannia della maggioranza”. Dice che in questo Paese gli “ignoranti si credono saggi”. Sul dilettantismo statunitense nella politica internazionale sappiamo che non è dovuto a mancanza d’intelligenza dei suoi strateghi, ma piuttosto dal bisogno di compiacere e assoggettarsi alla “tirannia della maggioranza”, agli ignoranti che non sanno nemmeno dove siano i propri interessi. E’ in questo contesto che il presidente Obama annuncia e minaccia sanzioni economiche contro la Russia, quando tutti sanno che tali sanzioni non saranno mai messe in pratica senza colpire gli operatori economici degli Stati Uniti. Ciò vale per gli Stati Uniti, ma anche per i loro alleati. In termini puramente economici, si veda l’esempio di uno dei Paesi occidentali che brandisce le sanzioni contro la Russia, la Germania.
Germania
“I politici europei sono veramente incoscienti“. Non lo dico io, ma è ciò che pensa e dice apertamente chi conta nell’economia tedesca, soprattutto industriali chimici, automobilistici e bancari riguardo le dichiarazione dei vari capi europei sulla crisi ucraina. In un articolo del quotidiano economico francese “La Tribune” del 13 marzo, con il suggestivo titolo: “I padroni tedeschi riluttanti a punire la Russia“, il giornalista Romaric Godin ci dice come praticamente tutti i boss tedeschi siano in prima linea nel difendere Vladimir Putin e la sua decisione di annettere la Crimea. E per non offendere il padrone statunitense questo sostegno non apparirà mai sui giornali tedeschi che all’unisono hanno condannato il malvagio Vladimir ed espresso il loro sostegno ai manifestanti Euro-Majdan a Kiev, che entreranno nella storia per aver attuato la rivoluzione più idiota regalando al nemico che volevano umiliare, la Russia, una regione dalle dimensioni del Belgio. Ci sono state delle eccezioni, tuttavia, nell’allineamento unanime della stampa tedesca dietro il presidente Obama. Questo è il quotidiano “Handelsblatt“, espressione della confindustria tedesca. Nel suo editoriale del 13 marzo, l’editore in persona, Gabor Steingart, denuncia gli occidentali per il confronto fatto da Hillary Clinton tra Vladimir Putin e Hitler. Va oltre, restituendo al mittente le accuse di espansionismo mosse dall’occidente contro Putin. Risponde l’ex-vice di McCain nelle presidenziali del 2008 degli Stati Uniti, Sara Palin, che ha trovato Obama troppo morbido sul caso ucraino e ha suggerito la necessità di un duro per bloccare un altro duro; Steingart si beffa completamente di ciò che chiama la politica chiacchierona dei “pitbull” occidentali. Ma in questa fase, c’è ancora qualcosa che intriga: perché diavolo la confindustria tedesca sostiene Vladimir Putin, al punto da prendere in giro i propri politici? Questi capi tedeschi hanno presentato alla cancelleria Merkel il risultato di un sondaggio che dice che il 69% del popolo tedesco è con Vladimir Putin e contro le sanzioni. Ciò ha spinto il vicecancelliere Gabriel a cercare di calmare il malcontento degli industriali tedeschi con promesse che contraddicono il comunicato finale di Bruxelles che conferma le sanzioni contro i funzionari russi, in questi termini: “La Germania farà di tutto per evitare nuove sanzioni contro la Russia“.
Il motivo di questo attendismo è più facile di quanto si possa immaginare: il buon senso. I tedeschi hanno rinunciato all’energia nucleare. Hanno bisogno di produrre energia termica, soprattutto dall’energia fossile in cui il gas fa la parte del leone. Oggi il prezzo del gas che la Russia applica per la Germania non è il risultato di un negoziato, l’equilibrio di potere è completamente a favore della Russia perché non vi è partita, la Germania non ha alcuna alternativa credibile al gas russo, e i russi lo sanno. Quindi, indipendentemente dal prezzo che i russi imporrebbero, i tedeschi dovrebbero pagare senza batter ciglio. Ma la Russia non ne abusa. Sostenendo la competitività tedesca la Russia mantiene il prezzo del gas in modo corretto, sufficiente a che queste aziende possano soddisfare sempre più clienti e quindi aver sempre più bisogno del gas russo. Ecco perché la quasi unanimità degli industriali tedeschi nell’indignazione verso la cancelliera Merkel che supporta la causa dell’opposizione ucraina sostenendo apertamente i manifestanti anti-russi. Questo è anche il motivo per cui gli industriali tedeschi, noti per la loro discrezione, hanno gettato le loro riserve. Ad esempio, il 12 marzo 2014 Jürgen Fitschen, presidente della federazione delle banche private BdB, co-direttore della Deutsche Bank, ha fatto dichiarazioni ufficiali mendicando dalla cancelliera Angela Merkel di smetterla d’innervosire la Russia, perché dice “non si sa mai cosa può succedere nella testa di un Putin arrabbiato“. E che la Germania non può permettersi il lusso di solleticarlo per scoprirlo. In altre parole, prega i politici tedeschi di non aderire all’unanimità europea contro il presidente Putin, e di fare tutto “per evitare assolutamente di far rivivere la Guerra Fredda”. Quando ho provato a chiedere ad alcuni degli industriali tedeschi del loro sostegno alla Russia, più o meno ho avuto l’essenza del loro ragionamento assai pragmatico: la Germania versa ogni anno alla Russia 40 miliardi di euro per acquistare soprattutto gas. E la Germania non ha risolto il problema del deficit commerciale per bilanciare i conti tra i due Paesi. Ciò che dicono è facile da capire anche per i bambini all’asilo: la Germania paga 40 miliardi di euro alla Russia. E’ responsabilità degli industriali tedeschi recuperare questi soldi con tutti i mezzi, perché un deficit commerciale con un Paese significa essere sempre più poveri rispetto a quel Paese. E ogni anno i risultati sono incoraggianti, la Germania recupera dalla Russia circa l’8% annuo del suo debito. E una crisi con la Russia rovinerebbe tutto il lavoro degli industriali tedeschi per ridurre lo squilibrio tedesco nei confronti della Russia, dove sono presenti 6000 aziende tedesche.
Si comprende dunque perché il 12 marzo di quest’anno, il presidente della Federazione degli esportatori tedeschi, BDA, ha convocato una riunione di emergenza a Berlino seguita da una conferenza stampa per dire, forte e chiaro, che gli industriali tedeschi sono con la Russia. Ha continuato suggerendo al governo di prendere tempo. Ecco cosa ha detto in una conferenza stampa: “l’essenziale obiettivo principale da raggiungere nella crisi con la Russia è guadagnare tempo e non lanciare immediatamente i missili delle sanzioni“. Per coloro che non capiscono, dice che si deve fingere di condannare la Russia ufficialmente, ma in sordina continuare gli affari, dopo tutto queste aziende hanno investito 20 miliardi di euro in Russia.
“I politici europei sono veramente incoscienti“. Non lo dico io, ma è ciò che pensa e dice apertamente chi conta nell’economia tedesca, soprattutto industriali chimici, automobilistici e bancari riguardo le dichiarazione dei vari capi europei sulla crisi ucraina. In un articolo del quotidiano economico francese “La Tribune” del 13 marzo, con il suggestivo titolo: “I padroni tedeschi riluttanti a punire la Russia“, il giornalista Romaric Godin ci dice come praticamente tutti i boss tedeschi siano in prima linea nel difendere Vladimir Putin e la sua decisione di annettere la Crimea. E per non offendere il padrone statunitense questo sostegno non apparirà mai sui giornali tedeschi che all’unisono hanno condannato il malvagio Vladimir ed espresso il loro sostegno ai manifestanti Euro-Majdan a Kiev, che entreranno nella storia per aver attuato la rivoluzione più idiota regalando al nemico che volevano umiliare, la Russia, una regione dalle dimensioni del Belgio. Ci sono state delle eccezioni, tuttavia, nell’allineamento unanime della stampa tedesca dietro il presidente Obama. Questo è il quotidiano “Handelsblatt“, espressione della confindustria tedesca. Nel suo editoriale del 13 marzo, l’editore in persona, Gabor Steingart, denuncia gli occidentali per il confronto fatto da Hillary Clinton tra Vladimir Putin e Hitler. Va oltre, restituendo al mittente le accuse di espansionismo mosse dall’occidente contro Putin. Risponde l’ex-vice di McCain nelle presidenziali del 2008 degli Stati Uniti, Sara Palin, che ha trovato Obama troppo morbido sul caso ucraino e ha suggerito la necessità di un duro per bloccare un altro duro; Steingart si beffa completamente di ciò che chiama la politica chiacchierona dei “pitbull” occidentali. Ma in questa fase, c’è ancora qualcosa che intriga: perché diavolo la confindustria tedesca sostiene Vladimir Putin, al punto da prendere in giro i propri politici? Questi capi tedeschi hanno presentato alla cancelleria Merkel il risultato di un sondaggio che dice che il 69% del popolo tedesco è con Vladimir Putin e contro le sanzioni. Ciò ha spinto il vicecancelliere Gabriel a cercare di calmare il malcontento degli industriali tedeschi con promesse che contraddicono il comunicato finale di Bruxelles che conferma le sanzioni contro i funzionari russi, in questi termini: “La Germania farà di tutto per evitare nuove sanzioni contro la Russia“.
Il motivo di questo attendismo è più facile di quanto si possa immaginare: il buon senso. I tedeschi hanno rinunciato all’energia nucleare. Hanno bisogno di produrre energia termica, soprattutto dall’energia fossile in cui il gas fa la parte del leone. Oggi il prezzo del gas che la Russia applica per la Germania non è il risultato di un negoziato, l’equilibrio di potere è completamente a favore della Russia perché non vi è partita, la Germania non ha alcuna alternativa credibile al gas russo, e i russi lo sanno. Quindi, indipendentemente dal prezzo che i russi imporrebbero, i tedeschi dovrebbero pagare senza batter ciglio. Ma la Russia non ne abusa. Sostenendo la competitività tedesca la Russia mantiene il prezzo del gas in modo corretto, sufficiente a che queste aziende possano soddisfare sempre più clienti e quindi aver sempre più bisogno del gas russo. Ecco perché la quasi unanimità degli industriali tedeschi nell’indignazione verso la cancelliera Merkel che supporta la causa dell’opposizione ucraina sostenendo apertamente i manifestanti anti-russi. Questo è anche il motivo per cui gli industriali tedeschi, noti per la loro discrezione, hanno gettato le loro riserve. Ad esempio, il 12 marzo 2014 Jürgen Fitschen, presidente della federazione delle banche private BdB, co-direttore della Deutsche Bank, ha fatto dichiarazioni ufficiali mendicando dalla cancelliera Angela Merkel di smetterla d’innervosire la Russia, perché dice “non si sa mai cosa può succedere nella testa di un Putin arrabbiato“. E che la Germania non può permettersi il lusso di solleticarlo per scoprirlo. In altre parole, prega i politici tedeschi di non aderire all’unanimità europea contro il presidente Putin, e di fare tutto “per evitare assolutamente di far rivivere la Guerra Fredda”. Quando ho provato a chiedere ad alcuni degli industriali tedeschi del loro sostegno alla Russia, più o meno ho avuto l’essenza del loro ragionamento assai pragmatico: la Germania versa ogni anno alla Russia 40 miliardi di euro per acquistare soprattutto gas. E la Germania non ha risolto il problema del deficit commerciale per bilanciare i conti tra i due Paesi. Ciò che dicono è facile da capire anche per i bambini all’asilo: la Germania paga 40 miliardi di euro alla Russia. E’ responsabilità degli industriali tedeschi recuperare questi soldi con tutti i mezzi, perché un deficit commerciale con un Paese significa essere sempre più poveri rispetto a quel Paese. E ogni anno i risultati sono incoraggianti, la Germania recupera dalla Russia circa l’8% annuo del suo debito. E una crisi con la Russia rovinerebbe tutto il lavoro degli industriali tedeschi per ridurre lo squilibrio tedesco nei confronti della Russia, dove sono presenti 6000 aziende tedesche.
Si comprende dunque perché il 12 marzo di quest’anno, il presidente della Federazione degli esportatori tedeschi, BDA, ha convocato una riunione di emergenza a Berlino seguita da una conferenza stampa per dire, forte e chiaro, che gli industriali tedeschi sono con la Russia. Ha continuato suggerendo al governo di prendere tempo. Ecco cosa ha detto in una conferenza stampa: “l’essenziale obiettivo principale da raggiungere nella crisi con la Russia è guadagnare tempo e non lanciare immediatamente i missili delle sanzioni“. Per coloro che non capiscono, dice che si deve fingere di condannare la Russia ufficialmente, ma in sordina continuare gli affari, dopo tutto queste aziende hanno investito 20 miliardi di euro in Russia.
I miliardi della Crimea
Si osservino i volti dei capi dell’Ucraina alle riunioni con i capi occidentali. Notate qualcosa di strano? Osservate ancora con cura. Ancora non vedete niente di strano? Beh, ci sono persone che hanno appena preso il potere con un golpe nella rivoluzione popolare, dovrebbero essere molto felici. Beh no, hanno una faccia da funerale. Sono in lutto. Guardate Obama quando riceve il nuovo primo ministro ucraino alla Casa Bianca. La si confronti con la conferenza stampa in Olanda del mese prima. Sono in lutto, sì anche Obama è in lutto. Pensate che il lutto sia per la Crimea? Bingo, indovinato. Ma ciò che non sapete è che non si tratta solo della Crimea. E perché sono in lutto? Per capirlo, indaghiamo con un po’ di brainstorming e dalle nostre informazioni su alcune situazioni reali. Quando a Kiev vi è stato tale sorta di passaggio di poteri da un governo legittimamente eletto dal popolo dell’Ucraina a estremisti di destra sostenuti da Stati Uniti ed Unione europea, in quel preciso momento il gigante russo del gas Gazprom accelerava la costruzione del gasdotto South Stream che dovrebbe bypassare l’Ucraina a sud rifornendo Paesi come l’Italia o l’Austria del gas russo, aggiudicando l’appalto per la costruzione della prima delle 4 sezioni del gasdotto alla società italiana Saipem, per un importo di 2 miliardi di euro. Stessa cosa con due altre aziende, la tedesca Wintershall già partner del progetto al 15% e la francese EDF che possiede sempre il 15% del progetto, sei giorni prima dell’occupazione della Crimea da parte delle cosiddette SDF russe. Ma questa informazione non dice nulla. Per comprenderne la portata, scopriamo dalle notizie pubblicate il giorno stesso dell’occupazione della Crimea da parte delle truppe russe, su un giornale russo specializzato in questioni energetiche del marzo 2014, il mensile “Ekspert” che titola: “Con la Crimea, la Russia risparmia 20 miliardi di dollari sul gasdotto South Stream“. Per comprendere il significato di questa informazione, dobbiamo ricordare che la Russia ha deciso di costruire due gasdotti, uno a Nord attraverso il Mar Baltico, portando il gas in Germania, Paesi Bassi, Belgio e Francia bypassando l’Ucraina, evitando la crisi del 2007 e i ricatti che Kiev potrebbe imporre sulle forniture di gas russo all’Unione europea. Quindi il secondo gasdotto denominato South Stream che passa per Mar Nero, Turchia e Grecia, rifornendo Italia, Grecia, ecc., sempre bypassando il territorio ucraino. Solo che quando il progetto fu tracciato, si basava su una Crimea ucraina e quindi l’evitava. Occupando la Crimea, ha ridotto la lunghezza della pipeline e quindi il lavoro per completarlo. Risparmio totale: 20 miliardi di dollari. Finora, e non dico sempre, Obama e i nuovi dirigenti a Kiev sono in lutto per la perdita della Crimea. Ciò semplicemente perché la Crimea era l’unica possibilità per l’Ucraina d’indipendenza energetica dalla Russia da quando furono scoperti, su un’area di 1400 kmq al largo della Crimea orientale, i giacimenti di gas e petrolio più importanti della regione. Secondo il quotidiano economico italiano “Il Sole 24 ore” del 15 marzo 2014, le scoperte fatte dagli occidentali, tra cui ENI, Shell e Exxon, sono fenomenali. Il quotidiano italiano spiega che l’ENI dovrebbe controllare il 50% dell’operazione e la società pubblica ucraina Chornomornaftogaz, come spesso accade in Africa, solo il 10%.
Il progetto South Stream sarebbe costato ai russi 46 miliardi dollari. Recuperando la Crimea, il costo passa a 25 miliardi di dollari. E inoltre la Russia nega l’unica possibilità dell’Ucraina di produrre petrolio e gas. La questione ora è come l’Ucraina senza la Crimea potrà pagare i propri debiti con l’occidente. La Russia potrebbe anche condonarglieli ma in ogni caso i giacimenti di gas e petrolio dalla Crimea consoleranno i russi. Ecco perché le sanzioni pseudo-economiche contro la Russia non fanno né freddo né caldo al Presidente Putin e al Primo ministro Medvedev, cosa che quest’ultimo ha detto in una dichiarazione del 22 aprile. Tornando al gasdotto South Stream e alla Crimea. La Russia ha già steso una mano agli europei, offrendo alle società Saipem, Wintershall ed EDF un buon prezzo. La velocità della proposta dimostra che è una manovra per dividere gli europei, e che funziona: da allora, da quando si parla di sanzioni economiche dell’Unione Europea contro la Russia, non c’è unanimità su una dura presa di posizione contro la Russia. E la statunitense Exxon e l’olandese Shell? Anch’esse si sono rivoltate contro i loro rispettivi governi pur di evitare il confronto con i russi per le sanzioni. Saranno escluse dalle operazioni in Crimea su petrolio e gas? Il beneficio finanziario della Crimea è troppo grande per la Russia per farsi emozionare dalle sanzioni occidentali ed inoltre penalizzerà gli stessi investitori in terra russa. La Russia attraverso Gazprom ha diviso le briciole del progetto South Stream tra diversi Paesi, come Austria, Bulgaria, Croazia, Grecia… Paesi che in sordina soffrono l’ira della Commissione Europea, che si giustifica così: “Nella sua forma attuale, il gasdotto South Stream non opererà sul territorio dell’Unione europea”. Per la Commissione ci sono tre ragioni per non andare avanti: “nessuna separazione tra produzione e trasmissione, monopolio dei trasporti e opacità della struttura tariffaria“.
Si osservino i volti dei capi dell’Ucraina alle riunioni con i capi occidentali. Notate qualcosa di strano? Osservate ancora con cura. Ancora non vedete niente di strano? Beh, ci sono persone che hanno appena preso il potere con un golpe nella rivoluzione popolare, dovrebbero essere molto felici. Beh no, hanno una faccia da funerale. Sono in lutto. Guardate Obama quando riceve il nuovo primo ministro ucraino alla Casa Bianca. La si confronti con la conferenza stampa in Olanda del mese prima. Sono in lutto, sì anche Obama è in lutto. Pensate che il lutto sia per la Crimea? Bingo, indovinato. Ma ciò che non sapete è che non si tratta solo della Crimea. E perché sono in lutto? Per capirlo, indaghiamo con un po’ di brainstorming e dalle nostre informazioni su alcune situazioni reali. Quando a Kiev vi è stato tale sorta di passaggio di poteri da un governo legittimamente eletto dal popolo dell’Ucraina a estremisti di destra sostenuti da Stati Uniti ed Unione europea, in quel preciso momento il gigante russo del gas Gazprom accelerava la costruzione del gasdotto South Stream che dovrebbe bypassare l’Ucraina a sud rifornendo Paesi come l’Italia o l’Austria del gas russo, aggiudicando l’appalto per la costruzione della prima delle 4 sezioni del gasdotto alla società italiana Saipem, per un importo di 2 miliardi di euro. Stessa cosa con due altre aziende, la tedesca Wintershall già partner del progetto al 15% e la francese EDF che possiede sempre il 15% del progetto, sei giorni prima dell’occupazione della Crimea da parte delle cosiddette SDF russe. Ma questa informazione non dice nulla. Per comprenderne la portata, scopriamo dalle notizie pubblicate il giorno stesso dell’occupazione della Crimea da parte delle truppe russe, su un giornale russo specializzato in questioni energetiche del marzo 2014, il mensile “Ekspert” che titola: “Con la Crimea, la Russia risparmia 20 miliardi di dollari sul gasdotto South Stream“. Per comprendere il significato di questa informazione, dobbiamo ricordare che la Russia ha deciso di costruire due gasdotti, uno a Nord attraverso il Mar Baltico, portando il gas in Germania, Paesi Bassi, Belgio e Francia bypassando l’Ucraina, evitando la crisi del 2007 e i ricatti che Kiev potrebbe imporre sulle forniture di gas russo all’Unione europea. Quindi il secondo gasdotto denominato South Stream che passa per Mar Nero, Turchia e Grecia, rifornendo Italia, Grecia, ecc., sempre bypassando il territorio ucraino. Solo che quando il progetto fu tracciato, si basava su una Crimea ucraina e quindi l’evitava. Occupando la Crimea, ha ridotto la lunghezza della pipeline e quindi il lavoro per completarlo. Risparmio totale: 20 miliardi di dollari. Finora, e non dico sempre, Obama e i nuovi dirigenti a Kiev sono in lutto per la perdita della Crimea. Ciò semplicemente perché la Crimea era l’unica possibilità per l’Ucraina d’indipendenza energetica dalla Russia da quando furono scoperti, su un’area di 1400 kmq al largo della Crimea orientale, i giacimenti di gas e petrolio più importanti della regione. Secondo il quotidiano economico italiano “Il Sole 24 ore” del 15 marzo 2014, le scoperte fatte dagli occidentali, tra cui ENI, Shell e Exxon, sono fenomenali. Il quotidiano italiano spiega che l’ENI dovrebbe controllare il 50% dell’operazione e la società pubblica ucraina Chornomornaftogaz, come spesso accade in Africa, solo il 10%.
Il progetto South Stream sarebbe costato ai russi 46 miliardi dollari. Recuperando la Crimea, il costo passa a 25 miliardi di dollari. E inoltre la Russia nega l’unica possibilità dell’Ucraina di produrre petrolio e gas. La questione ora è come l’Ucraina senza la Crimea potrà pagare i propri debiti con l’occidente. La Russia potrebbe anche condonarglieli ma in ogni caso i giacimenti di gas e petrolio dalla Crimea consoleranno i russi. Ecco perché le sanzioni pseudo-economiche contro la Russia non fanno né freddo né caldo al Presidente Putin e al Primo ministro Medvedev, cosa che quest’ultimo ha detto in una dichiarazione del 22 aprile. Tornando al gasdotto South Stream e alla Crimea. La Russia ha già steso una mano agli europei, offrendo alle società Saipem, Wintershall ed EDF un buon prezzo. La velocità della proposta dimostra che è una manovra per dividere gli europei, e che funziona: da allora, da quando si parla di sanzioni economiche dell’Unione Europea contro la Russia, non c’è unanimità su una dura presa di posizione contro la Russia. E la statunitense Exxon e l’olandese Shell? Anch’esse si sono rivoltate contro i loro rispettivi governi pur di evitare il confronto con i russi per le sanzioni. Saranno escluse dalle operazioni in Crimea su petrolio e gas? Il beneficio finanziario della Crimea è troppo grande per la Russia per farsi emozionare dalle sanzioni occidentali ed inoltre penalizzerà gli stessi investitori in terra russa. La Russia attraverso Gazprom ha diviso le briciole del progetto South Stream tra diversi Paesi, come Austria, Bulgaria, Croazia, Grecia… Paesi che in sordina soffrono l’ira della Commissione Europea, che si giustifica così: “Nella sua forma attuale, il gasdotto South Stream non opererà sul territorio dell’Unione europea”. Per la Commissione ci sono tre ragioni per non andare avanti: “nessuna separazione tra produzione e trasmissione, monopolio dei trasporti e opacità della struttura tariffaria“.
Conclusione parziale
Le eventuali sanzioni dell’occidente contro la Russia sono una spada a doppio taglio che farà più danni all’occidente che alla Russia, Continente-Stato di 17 milioni kmq che può tranquillamente vivere in completa autarchia isolandosi dal mondo senza soffrirne indebitamente. Meglio, viviamo nel ventunesimo, piuttosto che nel ventesimo secolo. Le sanzioni economiche saranno solo simboliche perché i beni rifiutati a un Paese vengono rapidamente sostituito da altri. E su questo punto i cinesi non si fanno pregare sostituendo i Paesi che applicano sanzioni. L’abbiamo visto in Iran, s’è visto anche in Corea democratica dove, nonostante le sanzioni occidentali, non manca nulla. S’è visto anche in Zimbabwe, dove quasi ci si dimentica che c’è un embargo economico europeo contro questo Paese, perché lì i voli giornalieri da Harare per Londra sono stati sostituiti dai voli giornalieri per Pechino. Seguendo la strategia della Cina in occidente, la Russia mette le mani su tutti i gioielli dell’economia occidentale, perché ha i soldi, un sacco di soldi. La Russia ha una chiara strategia per controllare il mercato azionario e comprare tutte le aziende che operano in Russia su aree strategiche. Così, British Petroleum fu acquistata dai russi per 55 miliardi di dollari, vale a dire 27500 miliardi di franchi CFA. L’azienda dei trasporti francese GEFCO è ora di proprietà al 100% di una società delle ferrovie russe. In Italia, Pirelli è inghiottita dai miliardi russi. In un caso o nell’altro i russi non sono africani. Sanno quali sono i loro interessi e sanno come difenderli. Qualsiasi sanzione contro di loro riduce due volte in ginocchio coloro che le impongono.
Le eventuali sanzioni dell’occidente contro la Russia sono una spada a doppio taglio che farà più danni all’occidente che alla Russia, Continente-Stato di 17 milioni kmq che può tranquillamente vivere in completa autarchia isolandosi dal mondo senza soffrirne indebitamente. Meglio, viviamo nel ventunesimo, piuttosto che nel ventesimo secolo. Le sanzioni economiche saranno solo simboliche perché i beni rifiutati a un Paese vengono rapidamente sostituito da altri. E su questo punto i cinesi non si fanno pregare sostituendo i Paesi che applicano sanzioni. L’abbiamo visto in Iran, s’è visto anche in Corea democratica dove, nonostante le sanzioni occidentali, non manca nulla. S’è visto anche in Zimbabwe, dove quasi ci si dimentica che c’è un embargo economico europeo contro questo Paese, perché lì i voli giornalieri da Harare per Londra sono stati sostituiti dai voli giornalieri per Pechino. Seguendo la strategia della Cina in occidente, la Russia mette le mani su tutti i gioielli dell’economia occidentale, perché ha i soldi, un sacco di soldi. La Russia ha una chiara strategia per controllare il mercato azionario e comprare tutte le aziende che operano in Russia su aree strategiche. Così, British Petroleum fu acquistata dai russi per 55 miliardi di dollari, vale a dire 27500 miliardi di franchi CFA. L’azienda dei trasporti francese GEFCO è ora di proprietà al 100% di una società delle ferrovie russe. In Italia, Pirelli è inghiottita dai miliardi russi. In un caso o nell’altro i russi non sono africani. Sanno quali sono i loro interessi e sanno come difenderli. Qualsiasi sanzione contro di loro riduce due volte in ginocchio coloro che le impongono.
Quali lezioni per l’Africa?
Quando il 2 maggio 2014 49 ucraini chiamati dagli occidentali “filo-russi” e dai russi “sostenitori del federalismo ucraino” sono stati bruciati vivi in un edificio del sindacato a Odessa, nel sud dell’Ucraina, dai “filo-occidentali” o “partigiani dell’unione”, le reazioni più di ogni altro hanno chiarito che l’Ucraina gioca ancora una parte nella Guerra Fredda tra gli Stati Uniti d’America e la Russia, per interposti attori. Gli statunitensi sanno di essere stati ancora una volta intrappolati dai russi nella famosa conferenza di Ginevra del 17 aprile 2014. Gli statunitensi credevano di avere i russi in pugno facendoli sedere per la prima volta su un tavolo con coloro che l’amministrazione Putin ha definito “estremisti che hanno preso il potere a Kiev illegalmente“. Gli statunitensi scoprirono, solo dopo la riunione, che in fondo hanno dovuto convalidare l’annessione della Crimea alla Russia, dato che tutto sarà discusso a Ginevra, ma senza alcuna traccia della Crimea, formalizzando di fatto l’accettazione degli Stati Uniti dell’annessione della Crimea alla Russia. E’ questa consapevolezza che frustra Washington mettendo sotto pressione la sua gente al potere a Kiev per sferrare l’attacco armato contro i separatisti in Ucraina orientale. In fondo fu lo stesso Obama che chiese e ottenne la risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel marzo 2011, per proteggere gli abitanti di Bengasi in Libia perché, disse, “Gheddafi spara al proprio popolo”. Forse il presidente degli Stati Uniti Obama riesce a spiegarci la differenza tra il popolo di Bengasi in Libia, che riceve il suo sostegno, e le popolazioni di Slavjansk, Odessa, Kostantinovka, Marjupol, Kramatorsk, ecc., uccise e bruciate dai militari del proprio Paese inviati dai golpisti di Kiev agli ordini di Washington. Forse Obama è l’unico a spiegare la differenza tra le dichiarazioni del capo dei servizi antiterrorismo ucraino, Vassilij Krutov, in una conferenza stampa a Kiev il 3 maggio 2014: “L’Ucraina è ora in una situazione di guerra, perché ciò che accade nella regione di Donetsk e nelle regioni orientali non è un evento passeggero, ma una guerra“.
Le affermazioni della Guida libica Gheddafi, nel febbraio 2011, dicevano: “Ciò che succede a Bengasi non è una rivolta del popolo scontento, ma terroristi stranieri di al-Qaida che ci hanno dichiarato guerra. E a Bengasi c’è la guerra“. Su qualunque cosa Obama decide a geometria variabile i buoni e definisce gli altri, i cattivi da combattere, secondo gli interessi del momento degli Stati Uniti. Ma temo che questa volta il presidente degli Stati Uniti non sia nemmeno in grado di scoprire perché sostiene il caos in Ucraina o, peggio, sia incapace di dire come i morti nella parte orientale e meridionale dell’Ucraina siano utili agli interessi degli Stati Uniti. O tutti questi morti servono solo a flettere i muscoli contro il nemico, la Russia? Oggi la Repubblica del Sud Sudan creata da Obama con il fuoco e il sangue, con il solito aiuto della razzista Corte penale internazionale che aveva decretato che i malvagi si trovavano a Khartoum, il cui peggiore difetto è avere accordi strategici con la Cina, escludendo le società statunitensi dall’operare nel suo sottosuolo. L’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale del Sud Sudan aprì il giorno dell’indipendenza, al fine di far godere al Sud Sudan i miracoli forniti dalla democrazia. Obama non ha nemmeno lasciato un giorno di tregua a questi nuovi capi nel decidere con quali Paesi avere relazioni diplomatiche, così come hanno avuto l’indipendenza con il caos che gli statunitensi erano riusciti a creare in Sudan con l’aiuto dei loto illustri attori di Hollywood, che dalle loro sontuose ville in California scorgevano il genocidio in Darfur. E quando hanno diviso il Sudan in due parti, il miracolo s’è avverato: il genocidio in Darfur è improvvisamente scomparso. La staffetta è passata al Sud Sudan sotto il controllo di Washington. E se la Russia minacciasse sanzioni economiche e militari agli Stati Uniti, se la pace non tornasse rapidamente in Sud Sudan?
Quando il 2 maggio 2014 49 ucraini chiamati dagli occidentali “filo-russi” e dai russi “sostenitori del federalismo ucraino” sono stati bruciati vivi in un edificio del sindacato a Odessa, nel sud dell’Ucraina, dai “filo-occidentali” o “partigiani dell’unione”, le reazioni più di ogni altro hanno chiarito che l’Ucraina gioca ancora una parte nella Guerra Fredda tra gli Stati Uniti d’America e la Russia, per interposti attori. Gli statunitensi sanno di essere stati ancora una volta intrappolati dai russi nella famosa conferenza di Ginevra del 17 aprile 2014. Gli statunitensi credevano di avere i russi in pugno facendoli sedere per la prima volta su un tavolo con coloro che l’amministrazione Putin ha definito “estremisti che hanno preso il potere a Kiev illegalmente“. Gli statunitensi scoprirono, solo dopo la riunione, che in fondo hanno dovuto convalidare l’annessione della Crimea alla Russia, dato che tutto sarà discusso a Ginevra, ma senza alcuna traccia della Crimea, formalizzando di fatto l’accettazione degli Stati Uniti dell’annessione della Crimea alla Russia. E’ questa consapevolezza che frustra Washington mettendo sotto pressione la sua gente al potere a Kiev per sferrare l’attacco armato contro i separatisti in Ucraina orientale. In fondo fu lo stesso Obama che chiese e ottenne la risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel marzo 2011, per proteggere gli abitanti di Bengasi in Libia perché, disse, “Gheddafi spara al proprio popolo”. Forse il presidente degli Stati Uniti Obama riesce a spiegarci la differenza tra il popolo di Bengasi in Libia, che riceve il suo sostegno, e le popolazioni di Slavjansk, Odessa, Kostantinovka, Marjupol, Kramatorsk, ecc., uccise e bruciate dai militari del proprio Paese inviati dai golpisti di Kiev agli ordini di Washington. Forse Obama è l’unico a spiegare la differenza tra le dichiarazioni del capo dei servizi antiterrorismo ucraino, Vassilij Krutov, in una conferenza stampa a Kiev il 3 maggio 2014: “L’Ucraina è ora in una situazione di guerra, perché ciò che accade nella regione di Donetsk e nelle regioni orientali non è un evento passeggero, ma una guerra“.
Le affermazioni della Guida libica Gheddafi, nel febbraio 2011, dicevano: “Ciò che succede a Bengasi non è una rivolta del popolo scontento, ma terroristi stranieri di al-Qaida che ci hanno dichiarato guerra. E a Bengasi c’è la guerra“. Su qualunque cosa Obama decide a geometria variabile i buoni e definisce gli altri, i cattivi da combattere, secondo gli interessi del momento degli Stati Uniti. Ma temo che questa volta il presidente degli Stati Uniti non sia nemmeno in grado di scoprire perché sostiene il caos in Ucraina o, peggio, sia incapace di dire come i morti nella parte orientale e meridionale dell’Ucraina siano utili agli interessi degli Stati Uniti. O tutti questi morti servono solo a flettere i muscoli contro il nemico, la Russia? Oggi la Repubblica del Sud Sudan creata da Obama con il fuoco e il sangue, con il solito aiuto della razzista Corte penale internazionale che aveva decretato che i malvagi si trovavano a Khartoum, il cui peggiore difetto è avere accordi strategici con la Cina, escludendo le società statunitensi dall’operare nel suo sottosuolo. L’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale del Sud Sudan aprì il giorno dell’indipendenza, al fine di far godere al Sud Sudan i miracoli forniti dalla democrazia. Obama non ha nemmeno lasciato un giorno di tregua a questi nuovi capi nel decidere con quali Paesi avere relazioni diplomatiche, così come hanno avuto l’indipendenza con il caos che gli statunitensi erano riusciti a creare in Sudan con l’aiuto dei loto illustri attori di Hollywood, che dalle loro sontuose ville in California scorgevano il genocidio in Darfur. E quando hanno diviso il Sudan in due parti, il miracolo s’è avverato: il genocidio in Darfur è improvvisamente scomparso. La staffetta è passata al Sud Sudan sotto il controllo di Washington. E se la Russia minacciasse sanzioni economiche e militari agli Stati Uniti, se la pace non tornasse rapidamente in Sud Sudan?
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Jean-Paul Pougala insegna Geostrategia Africana al Master II presso l’Istituto Superiore di Management, ISMA, di Douala, Camerun
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